Cleptomania, un disturbo della personalità idoneo a determinare il vizio parziale di mente?

Guglielmo Gulotta
21 Ottobre 2019

La recentissima sentenza n. 170/19 emessa dal Tribunale di Spoleto riconosce la cleptomania tra i disturbi che possono incidere sulla capacità di volere. Alla luce di questa pronuncia risulta ulteriormente ampliata la categoria del vizio parziale di mente, circostanza attenuante del reato ai sensi dell'art. 89 c.p.
Abstract

La recentissima sentenza n. 170/19 emessa dal Tribunale di Spoleto riconosce la cleptomania tra i disturbi che possono incidere sulla capacità di volere. Alla luce di questa pronuncia risulta ulteriormente ampliata la categoria del vizio parziale di mente, circostanza attenuante del reato ai sensi dell'art. 89 c.p.

L'Autore, attraverso un'analisi del provvedimento, illustra come la sussistenza in capo all'imputata di tratti di personalità patologici di tipo Evitante, Antisociale e Borderline sia in rapporto di causalità con la condotta criminosa.

Quadro normativo e la sentenza delle sezioni unite n. 9163/2005

L'importante tematica del vizio di mente rientra nell'ambito della capacità di intendere e di volere del soggetto attivo del reato. Come noto, il vizio totale di mente determina la non imputabilità dell'agente: se la sua capacità di intendere o di volere è totalmente esclusa nel momento in cui egli ha commesso il fatto, allora l'agente non è punibile ai sensi dell'art. 88 c.p. Tuttavia, se l'infermità determina soltanto una diminuzione di queste capacità, il soggetto attivo può ottenere una riduzione di pena, come previsto dall'art. 89 c.p.

Nel corso degli anni si è sviluppato un notevole dibattito giurisprudenziale e dottrinale in merito ai tipi di infermità che possono determinare l'esclusione o la diminuzione della capacità di intendere o di volere.

Un punto di svolta in questo dibattito è rappresentato dalla sentenza n. 9163/2005 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La Suprema Corte, infatti, ha stabilito che, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi di personalità non inquadrabili nel novero delle malattie mentali possono rientrare nel concetto di infermità previsto dal codice penale, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente.

La condizione predominante è che sussista un nesso di causa con la specifica condotta criminosa: il reato deve essere causalmente determinato dal disturbo mentale.

L'importante riconoscimento da parte dei giudici di legittimità dell'influenza dei disturbi mentali sul vizio di mente pone tuttavia delle difficoltà nel coniugare la diagnosi clinica con la diagnosi forense. La prima costituisce l'ambito entro cui si muove il professionista che si esprime in termini di disturbi di personalità e si riferisce a categorie diagnostiche indicate nei manuali clinici (DSM-5, ICD-11); la seconda, invece, richiede di accertare oggi se al momento del fatto la persona era capace di intendere e di volere. Da ciò nasce la necessità di valutare l'intensità e la gravità del disturbo di personalità, oltre alla sua incidenza sulla capacità del soggetto di rappresentare la realtà, e, quindi, di comprendere il significato e le conseguenze delle proprie azioni.

Partendo così dall'assunto clinico tale per cui il disturbo di personalità comporta necessariamente una compromissione del funzionamento – personale, relazionale, sociale o lavorativo – del soggetto, è importante verificare se nello specifico del fatto reato per cui si procede, il disturbo ha inciso sulla capacità del soggetto di comprendere il significato delle proprie intenzioni, le loro conseguenze, pianificarle e adeguarle al contesto, controllando cognitivamente l'azione durante il suo svolgimento. Va da sé che il discrimine sottile tra causalità e casualità diventa essenziale per potersi esprimere in termini di imputabilità o di riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente.

Le infermità di mente nella giurisprudenza

Il numero delle ipotesi di infermità è particolarmente ampio e ingloba anche malattie a base psicopatologica. Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p., comunque, il disturbo della personalità deve determinare una seria diminuzione delle facoltà intellettive e volitive.

Sono diverse le pronunce della Suprema Corte in merito al riconoscimento di un determinato disturbo nella categoria del vizio di mente.

A titolo di esempio è opportuno ricordare che i giudici di legittimità hanno individuato tra queste patologie il vizio del gioco d'azzardo (Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2018, n. 33463). Al contrario, sono stati escluse l'epilessia (Cass. pen., Sez. II, 27 marzo 2013, n. 17086), la dipendenza da internet (Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 2013, n. 1161) e la parafilia (Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2014, n. 6818).

In questo ambito risulta interessante la sentenza del Tribunale di Spoleto che si occupa della tendenza impulsiva al furto.

In passato la Cassazione ha trattato un altro caso di cleptomania e ha affermato che il disturbo psichico dell'imputato (un ritardo mentale lieve), che aveva in passato condizionato frequenti episodi di furti di piccole somme di denaro, non costituiva uno stato di parziale infermità di mente. Nello specifico la Suprema Corte ha escluso il nesso di causale tra la cleptomania e la condotta contestata all'imputato, che era accusato di rapina e lesioni personali. Un caso decisamente diverso rispetto a quello in oggetto dal momento che la signora giudicata dal Tribunale umbro è accusata di furto.

Imputabilità e disturbi di personalità: la decisione del Tribunale di Spoleto

Il Tribunale di Spoleto, nel giudicare l'imputata per il delitto di furto, pone un attento vaglio sulla patologia psichiatrica in capo alla donna, certificata dal Dott. Raponi, il terapeuta che segue la signora dal 2016.

Il Dott. Raponi evidenzia nella propria relazione, acquisita agli atti del giudizio celebrato con il rito abbreviato, come la signora fosse affetta da un Disturbo di Personalità con Altra Specificazione, caratterizzato da tratti di personalità misti.

Tale diagnosi fa riferimento ai criteri stabiliti dal DSM-5, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali utilizzato da clinici e ricercatori per diagnosticare e classificare i disturbi mentali attraverso criteri concisi ed espliciti che possano rendere il più oggettiva possibile la valutazione diagnostica. Nello specifico, il Disturbo di Personalità con Altra Specificazione è una diagnosi che si applica alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo di personalità, che causano un disagio clinicamente significativo, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per uno specifico disturbo ed il clinico sceglie di comunicare la ragione specifica (in questo caso i tratti di personalità misti) per cui la manifestazione non soddisfa tali criteri.

Nel concreto, la diagnosi fornita dal dott. Raponi certifica la sussistenza in capo all'imputata di tratti di personalità patologici di tipo Evitante, Antisociale e Borderline, che comportano una compromissione del funzionamento personale, sociale e relazionale di rilevante importanza. Lo stesso Dott. Raponi correttamente evidenzia come tali disturbi di personalità devono essere considerati “diagnosi principale e invalidante” alla luce dei quali è “legittimo prevedere comportamenti pulsionali antisociali di tipo rivendicativo o acting out non completamente controllati dai sistemi inibitori”. Le conclusioni cui giunge il terapeuta consentono di ragionare, in termini giuridici, sulla capacità di intendere e di volere dell'imputata al momento della commissione del fatto reato. È necessario che vi sia un nesso causale tra il disturbo di personalità e la condotta delittuosa.

Nel caso in oggetto, la presenza di tratti di personalità borderline e antisociali, nella loro invasività e gravità, comporta necessariamente una compromissione della capacità della signora di rappresentare la realtà esterna e, soprattutto, di comprendere la valenza delle proprie azioni. Basti pensare che il Disturbo di Personalità Antisociale, di per sé, è caratterizzato da un pattern pervasivo di inosservanza e violazione dei diritti degli altri, che porta il soggetto a credere di poter compiere azioni disoneste poiché non ne comprende a pieno il disvalore. Questo, sommato all'impulsività caratteristica del Disturbo di Personalità Borderline, va a costituire un quadro sintomatologico grave, ampiamente inficiante il funzionamento del soggetto.

In termini giuridici, un quadro patologico così raffigurato comporta la necessità di valutare attentamente la possibilità che vi sia un vizio, totale o parziale, di mente, poiché vengono meno le precondizioni che vi stanno alla base. La differenza tra vizio totale o parziale di mente è determinata dalla gravità della sintomatologia del Disturbo di cui un soggetto è affetto: il vizio totale di mente (che comporta quindi la non imputabilità) prevede che la capacità di intendere e di volere sia esclusa, mentre il vizio parziale di mente (che diminuisce l'imputabilità ma prevede una pena ridotta) vuole che la capacità di intendere e di volere al momento del fatto sia grandemente scemata. Il primo caso (vizio totale di mente) si applica specialmente all'infermità di mente, che comporta una completa compromissione del funzionamento psichico del soggetto. Il secondo caso (vizio parziale di mente) si applica a tutti quei Disturbi di Personalità pervasivi e cronici, che comportano una compromissione parziale del funzionamento del soggetto, che al di fuori delle aree di funzionamento compromesse è tuttavia in grado di vivere autonomamente la propria quotidianità. Diventa quindi essenziale in questi casi comprendere ove il funzionamento sia effettivamente compromesso e quindi vi possa essere un nesso causale tra le azioni e la psicopatologia.

Le azioni delittuose commesse dalla signora possono essere lette alla luce del disturbo di cui è affetta, in quanto sono caratterizzate da quei tratti tipici dei Disturbi di Personalità che determinano un impulso ad agire incontrollato di cui il soggetto non sa fornire una motivazione. Spesso tali tratti sono egosintonici, ossia fanno parte del funzionamento del soggetto in modo così cronico e pervasivo da far sì che quest'ultimo li normalizzi rispetto alla propria quotidianità, senza comprenderne la gravità o l'intensità. L'assenza di consapevolezza rispetto ai propri comportamenti può portare il soggetto a compiere condotte delittuose che, diversamente, non avrebbe compiuto.

Risulta condivisibile quindi la conclusione cui perviene il Tribunale, che riconosce la circostanza attenuante del vizio parziale di mente ritenendo l'imputata affetta da “un disturbo che, per gravità ed intensità, può essere assimilato ad una vera e propria infermità mentale, incidendo sulla capacità di volere del soggetto al punto da farla grandemente scemare”.

In conclusione

Attraverso la sentenza n. 170/19 il Tribunale di Spoleto contribuisce a definire i tipi di infermità che possono determinare la diminuzione della capacità di intendere o di volere. Il Giudice di merito, infatti, riconosce che cleptomania tra i disturbi che possono causare il vizio di mente. Quando in un soggetto è riscontrabile una tendenza impulsiva al furto, presente con caratteri gravi e particolarmente invasivi, allora questo disturbo non permette all'agente di comprendere il disvalore delle condotte delittuose e influisce concretamente sulla commissione del reato di furto. Di conseguenza all'imputato deve essere riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 89.

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