La responsabilità civile del magistrato per errore nella interpretazione delle norme di diritto civile e processuale civile

24 Ottobre 2019

L' intervento della Cassazione a Sezioni Unite del 3 maggio 2019, n.11747, sebbene originato da una ipotesi ricadente, ratione temporis, nell'ambito di applicazione della l. 13 aprile 1988, n. 117 (c.d. Legge Vassalli), offre lo spunto per approfondire il tema della responsabilità civile del magistrato per errore di diritto alla luce anche della disciplina contenuta nella l. 27 febbraio 2015, n. 18.
L'intervento delle Sezioni Unite

L' intervento della Cassazione a Sezioni Unite del 3 maggio 2019, n. 11747, sebbene originato da una ipotesi ricadente, ratione temporis, nell'ambito di applicazione della l. 13 aprile 1988, n. 117 (c.d. Legge Vassalli), offre lo spunto per approfondire il tema della responsabilità civile del magistrato per errore di diritto alla luce anche della disciplina contenuta nella l. 27 febbraio 2015, n. 18.

La questione esaminata delle Sezioni Unite riguardava l'«individuazione del discrimine nella grave violazione di legge contemplata dalle fattispecie illecite individuate dalla l. n. 117 del 1988, art. 2, comma 3, lett. a) (nel testo previgente alla modifica della l. n. 18 del 2015) e dal d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. g), tra attività interpretativa insindacabile ed attività sussumibile nella fattispecie illecita, con specifico riferimento alla violazione di norma di diritto in relazione al significato ad essa attribuito da orientamenti giurisprudenziali da ritenersi consolidati»(così testualmente l'ordinanza di rimessione).

L'esigenza di una chiarimento sul punto derivava dalla antinomia tra la c.d. clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 2, l. 117/1988, che esclude che potesse dar luogo a responsabilità civile, così dello Stato come del singolo magistrato, l'attività di interpretazione di norme di diritto, e il combinato disposto dei commi 1 e 3 della stessa norma che include tra le ipotesi di colpa grave integranti responsabilità la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile.

Il contrasto tra tali norme deriva dal fatto che esse mirano a tutelare valori contrapposti, una la libertà di interpretazione della disposizione di legge, l'altra il principio di responsabilità del magistrato.

L'equilibrio tra tali valori, si legge nella pronuncia sopra citata: «è stato individuato, nel testo originario, privilegiando una ampia affermazione di operatività della clausola di salvaguardia, a fronte della quale le ipotesi di responsabilità per colpa grave espressamente previste operano soltanto in relazione all'area sottratta alla operatività di essa: può configurarsi una responsabilità civile del magistrato per colpa grave soltanto se, in negativo, non si tratti di una attività sottratta alla responsabilità, in quanto riconducibile alla interpretazione di norme di diritto (nonché alla valutazione dei fatti e delle prove) e purché, in positivo, sia stata accertata l'esistenza di una grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile».

Il corollario di tale ricostruzione, secondo le Sezioni Unite, è che «solo l'attività che non può essere considerata prodotto del percorso intellettivo di interpretazione (e di valutazione) è assoggettabile a responsabilità e purché il giudice si renda responsabile di una grave violazione di legge, dovuta ad inescusabile negligenza».

La pronuncia non si limita a tale affermazione di principio ma elenca anche le tipologie di violazione di legge (per errore di diritto) che esulano dalla attività interpretativa.

Si tratta:

- dell'errore nella individuazione della disposizione, che si colloca a monte del lavorio interpretativo, nella fase di analisi della fattispecie (la Corte lo qualifica come errore percettivo), e può derivare da un difetto di conoscenza, che può mancare o essere troppo superficiale (qualora non si individui la disposizione da applicare alla fattispecie, in caso di successione delle leggi nel tempo o di altre variazioni, o si individui una disposizione in luogo di un'altra);

- dell'errore nell'applicazione della norma, che sussiste quando, individuata correttamente la disposizione, non si applica alla fattispecie, ovvero non se ne fanno discendere gli effetti dovuti;

- dell'errore consistente nella attribuzione alla norma di un significato che essa non può avere, né linguisticamente né giuridicamente, ad esempio perché è proprio di un'altra norma, di un altro istituto.

Tutte queste ipotesi rilevano come fonte di responsabilità civile del magistrato qualora superino la soglia della negligenza inescusabile.

A ben vedere, sebbene la Corte le accomuni, è possibile differenziarle:

se la prima prescinde completamente dall'esame della norma, perché questa è ignorata dal giudice, le altre due ipotesi consistono in una mancata comprensione della disposizione (dei suoi effetti o del suo significato) e quindi in un errore di valutazione.

Secondo la Corte però questo tipo di errore è così macroscopico da stravolgere la portata o il significato della norma, trasmodando, al pari del primo caso, in una violazione di essa.

Queste conclusioni sono coerenti con la pregressa giurisprudenza della Suprema Corte che aveva ravvisato i presupposti della responsabilità di cui al citato art. 2, allorquando vi fosse stata una lettura della norma «in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero» (Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2008, n. 7272; Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2016 n.6791)

Il nuovo quadro normativo

Si tratta ora di vedere se la ricostruzione proposta dalle Sezioni Unite sia valida anche dopo i correttivi apportati al testo originario della l. 117/1988 dalla l. 18/2015.

Ora, secondo la sentenza n. 11747/2019, tale modifica sarebbe stata rilevante poiché al comma 2, dell'art. 2, della legge Vassalli e è stato aggiunto un incipit, che avrebbe mutato equilibri e limiti della clausola salvaguardia: esso inizia ora con la previsione limitativa «Fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di dolo...» cui segue l'affermazione preesistente per cui «nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto nè quella di valutazione del fatto e delle prove».

Anche parte della dottrina è dello stesso avviso poiché reputa che, con l'aggiunta suddetta, è stato invertito il rapporto tra regola ed eccezione.

In tale prospettiva, secondo l'originario testo della legge Vassalli « … sussisteva colpa grave nei casi previsti dal terzo comma, fatte salve le ipotesi previste dal secondo comma (interpretazione della legge e valutazione del fatto o delle prove). Oggi invece, l'interpretazione della legge e la valutazione del fatto o delle prove non daranno luogo a responsabilità salvo che nei casi di colpa grave previsti dai successivi commi 2 e 3» (F.BONACCORSI, La nuova legge sulla responsabilità civile dello Stato per illecito del magistrato, in Danno e resp., 2015, 448).

Ad avviso di chi scrive invece il legislatore della novella ha solo inteso esprimere in maniera più esplicita e diretta quanto era già desumibile dalla disciplina originaria nel suo complesso, ovvero che l'attività interpretativa di norme non dà luogo a responsabilità, salvo che non integri uno dei casi di colpa grave, ora elencati al comma 3, che è stato interamente riscritto, e al comma 3-bis, di conio completamente nuovo.

Occorre quindi esaminare queste due previsioni per stabilire se contengano elementi di novità rispetto alla disciplina previgente.

Il comma 3 ripropone i medesimi casi di colpa grave già elencati dal precedente testo, con la sola sostituzione della «violazione manifesta di legge» alla previgente ipotesi di «grave violazione di legge», ma ha eliminato per ciascuno di essi il riferimento alla negligenza inescusabile.

La nozione di inescusabilità è però rinvenibile nel nuovo comma 3-bis dell'art. 2, che la indica, insieme al grado di chiarezza e precisione delle norme violate e alla gravità dell'inosservanza, tra i criteri utilizzabili, insieme ad altri non tipizzati, per stabilire quando vi sia una violazione manifesta della legge o del diritto della Unione Europea (si noti come tale criterio non sia menzionato invece rispetto alle differenti ipotesi di travisamento del fatto o delle prove).

È bene evidenziare come tale norma abbia trasposto in un precetto normativo le indicazioni che la Corte di giustizia Ue aveva dato nella nota sentenza Kobler, resa nella causa C 224-01, (punti 53-56), a proposito dei presupposti della responsabilità dello Stato per violazione del diritto della Ue estendendole così quasi integralmente anche alla violazione di legge nazionale.

Al fine di dare una logica alla modifica, anche in virtù di tale sua origine, in dottrina si è sostenuto che il precedente riferimento alla negligenza inescusabile riguardava il comportamento del magistrato a cui era addebitata la grave violazione di legge, mentre l'attuale riferimento alla inescusabilità e gravità dell'inosservanza concernerebbe l'atto, da valutarsi quindi in un'ottica oggettiva e non più soggettiva.

Questa lettura però non persuade poiché la nozione di inescusabilità rimanda necessariamente alla valutazione in primis della condotta del singolo magistrato, costituendo anche il presupposto per l'esercizio nei suoi confronti dell'azione di rivalsa (art. 7 l. 18/2015).

Deve pertanto concludersi che in realtà la novella non ha mutato i presupposti della responsabilità civile del magistrato per errore interpretativo, così come sono stati individuati dalla Cassazione nella sentenza n. 11747/2019

Casistica

Una volta delineato, nel precedente paragrafo, il quadro normativo di riferimento è utile, sotto il profilo applicativo, tentare di individuare le fattispecie concrete rientranti in ciascuna delle categorie di errore indicate dalle Sezioni Unite.

Con riferimento all'errore nella individuazione della norma nazionale (con riguardo alla legge straniera l'art. 14 della l. 218/1995 indica gli strumenti al quale può ricorrere il giudice per conoscerla. occorre tener presente che, in virtù del principio sancito dall'art. 113, comma 1, c.p.c. (iura novit curia), nel giudizio civile il giudice è tenuto a ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti e assegnando una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa.

La Suprema Corte peraltro ha da tempo precisato che «tale regola deve essere … coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa» (Cass. civ., 24 luglio 2012 n. 12943).

Sulla base di tali premesse non si potrà quindi addebitare al magistrato la mancata applicazione di una determinata disciplina se l'individuazione di essa dipenda dall'allegazione, da parte dell'interessato di determinate circostanze di fatto, come potrebbe accadere, ad esempio, nei giudizi di impugnazione o in quello di opposizione a sanzione amministrativa, disciplinato dagli art. 22 e 23 della legge n. 689/1981.

Questo tipo di giudizio infatti risponde ai principi, della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. Da ciò consegue il giudice non può rilevare d'ufficio vizi diversi da quelli dedotti dal medesimo opponente, entro i termini di legge (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2007, n. 1173, con riguardo al giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione e, in termini analoghi, Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2010, n. 656, con riguardo al giudizio di opposizione al verbale di contestazione di violazione del codice della strada).

Parimenti occorre tener presente che il principio iura novit curia non viene in rilievo, e non potrebbe quindi fondare un giudizio di responsabilità nei confronti del magistrato, qualora si discuta dell'applicazione di disposizioni che non hanno valore di norme di legge.

La questione si è posta infatti con riguardo ai contratti collettivi di lavoro e la Cassazione ha distinto in proposito a seconda che «si versi in un'ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico o di un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre nel primo caso il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell'adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell'onere della prova e sul contraddittorio (che non vengono meno neppure nell'ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4, c.p.c.), nel secondo caso il giudice procede con mezzi propri, secondo il principio iura novit curia(Cass. civ., sez. VI, 5 marzo 2019, n.6394)».

Analoga questione si è posta rispetto ai decreti ministeriali, rilevanti ai fini della prova del tasso usura, nel caso di controversie bancarie, e le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che la loro natura di atti meramente amministrativi “rende ad essi inapplicabile il principio iura novit curia, da coordinarsi, sul piano ermeneutico, con il disposto dell'art. 1 delle preleggi che non comprende, appunto, i detti decreti tra le fonti del diritto (sent. 29 aprile 2009, n. 9441).

È opportuno chiarire poi che, una volta che fosse acclarata la ignoranza della norma di legge da parte del magistrato, ciò non comporterebbe un giudizio di sua responsabilità, occorrendo per questo la negligenza inescusabile, da intendersi, secondo la definizione che ne ha dato la Suprema Corte, come quid pluris rispetto alla colpa grave delineata dall'art. 2236 c.c., «nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come "non spiegabile", e cioè priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, l'errore del magistrato» (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2007, n.15227).

Volendo esemplificare si può pensare al caso, ipotizzato in dottrina (P. TRIMARCHI, Colpa grave e limiti della responsabilità civile dei magistrati nella nuova legge, in Corr. Giur. 2015, pag. 896), di un provvedimento che non tenga conto di una disposizione che sia nascosta fra una moltitudine di commi di una legge finanziaria, risalente nel tempo e di cui nessuno abbia parlato durante il processo. In questo caso la violazione sarà manifesta, nel senso di indiscutibile), ma l'errore del magistrato scusabile.

Vi possono poi essere casi in cui l'ignoranza (recte mancata applicazione) della norma può dipendere da un travisamento del fatto o della prova (si tratta delle condotte contemplate dall'art. 2 comma 3, l. 18/2015) da parte del magistrato, sebbene il significato di tali nozioni sia tuttora alquanto incerto.

È dubbio infatti che esse coincidano con le previgenti ipotesi dell'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del processo (sul punto si veda Trib. Verona 12 maggio 2015, che sul punto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma).

A fronte di tali ipotesi si dovrà appurare se l'errore di valutazione commesso dal giudice è scusabile o meno, atteso che la negligenza inescusabile, seppure non più richiamata tra gli elementi integrativi della responsabilità dello Stato costituisce comunque presupposto per l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato ai sensi dell'art. 7, comma 1, l. 18/2015.

È opportuno a questo punto tentare di individuare alcune ipotesi riconducibili alle altre categorie di errore individuate dalle Sezioni Unite.

Come caso di errore inescusabile nell'applicazione della norma merita di essere menzionato quello ravvisato da Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2016, n. 6791: la decisione di un magistrato che, con un'interpretazione che destituiva di ogni funzionalità l'istituto di cui all'art. 2943 c.c. in relazione alla fattispecie di cui all'art. 1669, comma 2, c.c., aveva escluso la possibilità per il committente di interrompere, con successive contestazioni, il decorso del termine annuale di prescrizione, argomentando che, in tal modo, il termine non sarebbe mai venuto a maturare.

Può ritenersi dello stesso tipo la topica in cui è incorsa una recente ordinanza della Suprema Corte, che, nel decidere sulla tempestività della opposizione a decreto ingiuntivo relativo a compensi di avvocato, introdotta con atto di citazione, prima ha affermato la necessità di applicare, la disciplina speciale dell'art. 4 d.lgs. 150/2011 ma poi ha risolto la questione in virtù del principio per cui le decadenze vanno decise in base del rito che si sarebbe dovuto utilizzare (Cass. civ., 14 maggio 2019, n. 12796).

È riconducibile invece all'errore nella comprensione del significato della norma quello sottostante alla tesi secondo cui il diritto al compenso spettante all'avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato è sottoposto al regime di prescrizione presuntiva di cui all' art. 2956, comma 2, c.c. ed il giudice richiesto della liquidazione può rilevare d'ufficio l'intervenuta prescrizione, trattandosi di procedimento avente ad oggetto un credito erariale che ricade nell'ambito delle obbligazioni c.d. pubbliche (Trib. Milano, sez. IX, 2 aprile 2015).

In contrario è invece agevole osservare che nel testo unico sulle spese di giustizia non si rinvengono deroghe alla disciplina codicistica in tema di prescrizione ed in particolare alla regola (art. 2938 c.c.) secondo cui essa può essere rilevata solo su eccezione di parte.

Ancora, non va trascurato che, nel caso di specie, è la stessa presunzione di estinzione dell'obbligazione fondante l'eccezione che può essere esclusa ab origine, atteso che cancelleria e giudice, a fronte della istanza di liquidazione del compenso, devono innanzitutto escludere che vi sia stato un precedente pagamento.

Vi è da chiedersi peraltro se, ai fini della valutazione di scusabilità o inescusabilità di tali tipologie di errore, possano rilevare circostanze come l'esperienza o le funzioni (di legittimità o di merito) o la qualità (onorario o togato) del magistrato che lo commette (a seguito della modifica dell'art. 7 l. Vassalli ora anche il giudice onorario risponde per colpa grave e non più solo per dolo come nel regime previgente).

È invece indubbio che non potrà ritenersi errata per colpa grave la decisione che si fondi su tesi dottrinali o giurisprudenziali isolate, purché di esse si dia conto nella motivazione.

Infatti è stato affermato che «resta nell'area di esenzione da responsabilità la lettura della legge secondo uno dei significati possibili, sia pure il meno probabile e convincente, quando dell'opzione interpretativa seguita si dia conto e ragione nella motivazione (v. in tal senso anche i lavori preparatori)», sicchè «può parlarsi di negligenza inescusabile non sulla base della mera non conformità della decisione a diritto, ma in quanto, tenuto conto delle ragioni con le quali il giudice abbia motivato detta decisione, essa non trovi alcun aggancio nell'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale né abbia, in mancanza di detti referenti, una qualsiasi plausibile giustificazione sul piano logico» (Cass. civ., 20 settembre 2001, n. 11859).

Tale principio si collega a quello, ribadito nella sentenza n. 11747/2019, secondo il quale nemmeno il dissenso dall'interpretazione di una norma di legge, propugnata dalle sezioni unite della Corte di cassazione, determina responsabilità civile per colpa grave del magistrato di merito dissenziente ove sia motivato in diritto, pur in assenza dell'opportuno richiamo alle pronunzie disattese, in quanto è comunque espressione dell'attività di interpretazione delle norme riservata al magistrato (così già Cass. civ., sez. I, 30 luglio 1999, n. 8260).

Conclusioni

A conclusione di queste riflessioni è opportuno ricordare che l'accertamento di una negligenza inescusabile nella interpretazione della norma non è comunque di per sé sufficiente a giustificare l'accoglimento della domanda di risarcimento danni da responsabilità civile del magistrato.

Infatti a tal fine è necessario, in base ai principi generali dettati dall'art. 2043 c.c. e all'applicazione che di questi fa l'art. 2 l. n. 117 del 1988, che il danno sia ricollegabile al comportamento, all'atto o al provvedimento giudiziario posto in essere dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni con un nesso di causa ed effetto (Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 1996, n.991)

Questo presupposto si potrà ritenere sussistente quando l'interpretazione corretta della norma, secondo un giudizio controfattuale, avrebbe potuto condurre ad un esito del giudizio al quale fosse conseguita almeno la possibilità di ottenere un incremento patrimoniale o quella di evitare un pregiudizio.

Sicuramente rientrano in tale tipo di conseguenze le spese sostenute nei diversi gradi di giudizio affrontati per giungere all'accertamento dell'errore.

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