Ergastolo ostativo incostituzionale: la riserva di giurisdizione esplica ancora funzione di garanzia

Lorenzo Cattelan
24 Ottobre 2019

La Corte costituzionale ha dichiarato incompatibile con la Costituzione la previsione dell'articolo 4 -bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata.

La Corte costituzionale ha dichiarato incompatibile con la Costituzione la previsione dell'articolo 4 -bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.

Nell'attesa di autorevoli commenti alla decisione, del deposito della sentenza e al fine di una rapida informazione sul decisum, si riporta di seguito parte del comunicato stampa diffuso dalla stessa Corte Costituzionale il 23 ottobre 2019 dopo aver reso nota l'inammissibilità della costituzione in giudizio del Garante dei detenuti, dell'Unione Camere Penali e dell'Associazione Nessuno tocchi Caino:

In questo caso, la Corte – pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti – ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo” (secondo cui i condannati per i reati previsti dell'articolo 4 -bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall'Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti).

In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui violazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Come noto, il caso sottoposto all'esame dei giudici a quo prende avvio dall'ordinanza emessa il 10 aprile 2018 dal Tribunale di Sorveglianza dell'Aquila che ha rigettato il reclamo proposto dal Sig. Cannizzaro avverso il decreto di inammissibilità di una sua richiesta di permesso premio formulata ex art. 30-ter ord. pen., pronunciato in data 16 novembre 2017 dal Magistrato di Sorveglianza del medesimo Ufficio.

La rilevanza della questione è legata alla posizione giuridica del ricorrente, condannato alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di anni uno per aver commesso, tra il 1996 e il 1998, i reati di associazione mafiosa, omicidio, soppressione di cadavere nonché di porto e detenzione illegale di armi.

I predetti delitti, in quanto rientranti nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, risultano (rectius, risultavano) infatti essere ex lege ostativi rispetto alla concessione dei benefici penitenziari, fatta salva l'ipotesi di collaborazione con la giustizia nei termini indicati dall'art. 58-ter ord. pen.

L'odierna pronuncia della Corte Costituzionale si riferisce alla sospensione del procedimento disposta il 20 novembre 2018 dalla Corte di Cassazione, adita dai legali del Sig. Cannizzaro, e alla contestuale proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ord. pen. – in relazione agli artt. 27, comma 3, e 3 Cost. – nella parte in cui esclude che il condannato all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dalla stessa norma, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio.

A sostegno della tesi avanzata dalla Corte di Cassazione, anche il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, con ordinanza del 23 maggio 2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame essendo chiamato a giudicare un caso analogo a quello del Sig. Cannizzaro.

A distanza di sedici anni (Corte Cost., sent. n. 135 del 2003) e a pochi mesi dalla sentenza Marcello Viola c. Italia (n.2) pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (divenuta definitiva lo scorso 8 ottobre 2019), i giudici della Consulta sono tornati a occuparsi dell'ergastolo ostativo, peraltro mutando il precedente indirizzo – sostenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. I, sent. 20 dicembre 2017, n. 26703, Rv. 27123) – secondo cui la preclusione stabilita dal citato art. 4-bis ord. pen. non rivestiva carattere assoluto, essendo efficacemente superabile dalla scelta del detenuto di collaborare con la giustizia.

Con la pronuncia in commento, i giudici della Consulta hanno valorizzato il ruolo della Magistratura di Sorveglianza rimuovendo la presunzione assoluta di “pericolosità sociale”, nonché proseguendo il percorso ermeneutico seguito in passato per negare la compatibilità tra il divieto previsto dall'art. 4-bis o.p. e i principi che governano l'esecuzione della pena (Corte Cost., sent. n. 239 del 2014 e Corte Cost., sent. n. 76 del 2017), sostenendo la relatività dell'asserzione per cui la cessazione dei legami consortili di un detenuto con il gruppo criminale di riferimento possa essere dimostrata solo attraverso le condotte collaborative di cui all'art. 58-ter ord. pen.

Preme, infine, rilevare che l'istituto del permesso premio di cui all'art. 30-ter o.p. possiede una connotazione di contingenza che non ne consente l'assimilazione integrale alle misure alternative alla detenzione, in quanto non suscettibile di modificare le condizioni detentive del condannato. Nel quadro della progressività trattamentale, siffatto beneficio penitenziario si pone “in attuazione del canone costituzionale della finalità rieducativa della pena” (Corte Cost., sent. n. 149 del 2018) nonché del principio di progressività (Corte Cost., sent. n. 227 del 1995), assolvendo una funzione efficacemente qualificata in termini pedagogico-propulsivi (Corte Cost., sent. n. 504 del 1995).

In conclusione, la Consulta sottolinea il criterio costituzionalmente vincolante di “esclusione di rigidi automatismi in materia penitenziaria” (Corte Cost., sent. n. 436 del 1999) e, con esso, il diritto valido per tutti i soggetti condannati a pena detentiva, ivi compresi gli ergastolani, a che il protrarsi della pretesa punitiva dello Stato “venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo” (Corte Cost., sent. n. 214 del 1976).

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