Quale rilevanza all'induzione della promessa usuraria?

24 Ottobre 2019

Con la decisione in oggetto la S.C. è stata chiamata a decidere sulla penale rilevanza di una promessa di prestito di natura usuraria- corredata, per altro, dalla consegna di assegni a garanzie della stessa. Nello specifico, la difesa lamentava il fatto che non sarebbe stata rilevabile alcuna forma di condotta induttiva rispetto alla promessa...
Massima

Ai fini dell'integrazione del reato di usura, non occorre che l'iniziativa di instaurare la negoziazione sia stata presa dall'usuraio, e non rileva che la conclusiva pattuizione connotata da usura sia stata accettata dalla vittima senza subire pressioni, poichè la ratio dell'incriminazione s'incentra sul carattere oggettivamente usurario della pattuizione.

È configurabile il reato di usura o di estorsione a seconda che l'iniziale pattuizione usuraria sia stata spontaneamente accettata dalla vittima, ovvero accettata per effetto della violenza o minaccia esercitata dal soggetto attivo; i due reati possono concorrere quando la violenza o la minaccia siano esercitate al fine di ottenere il pagamento degli interessi pattuiti o degli altri vantaggi usurari.

Il caso

Con la decisione in oggetto la S.C. è stata chiamata a decidere sulla penale rilevanza di una promessa di prestito di natura usuraria- corredata, per altro, dalla consegna di assegni a garanzie della stessa. Nello specifico, la difesa lamentava il fatto che non sarebbe stata rilevabile alcuna forma di condotta induttiva rispetto alla promessa, non avendo l'imputato esercitato alcuna pressione sulla persona offesa e che anzi quest'ultimo avrebbe preso l'iniziativa, richiedendo il prestito. Inoltre, gli assegni la cui consegna avrebbe materializzato la promessa usuraria sarebbero stati scoperti, come tali privi di valore economico. Elemento che denoterebbe la mancanza di serietà della promessa - che non potrebbe essere considerata effettiva - così che il fatto-reato non sussisterebbe dovendo rilevarsi, ai sensi dell'art. 49 c.p., l'inidoneità della promessa usuraria stipulata con la riserva mentale di non adempiere.

La questione

Il tema sottoposto all'attenzione della S.C. implica in primo luogo la ricognizione degli elementi della fattispecie di cui all'art. 644 c.p.; in particolare, se una condotta di induzione al prestito assuma un significato nella valutazione della sussistenza della penale responsabilità e se – allo stesso modo - un rilievo in tal senso possa essere riconosciuto al fatto che la richiesta di addivenire alla promessa di vantaggi usurari derivi da un'iniziativa della persona offesa. In particolare, deve essere chiarito se ai fini dell'integrazione del delitto di usura, sia sufficiente l'oggettiva usurarietà delle condizioni economiche stabilite dalle parti, con la conseguenza che non sarebbe necessario che l'agente abbia posto in essere una condotta volta ad indurre la persona offesa a dargli o promettergli interessi o altri vantaggi usurari. Inoltre, devono essere correttamente delineati i “confini” tra il delitto di usura e quello di estorsione, risultando non infrequentemente il secondo quale “conseguenza” del primo.

Le soluzioni giuridiche

In termini generali, si deve preliminarmente sottolineare che la l. n. 108/1996 non ha inserito nella fattispecie del reato di usura, nella due accezioni proposte, un dolo specifico. In punto di elemento soggettivo, le più recenti indicazione della S.C. impongono di ritenere che il reato dì usura sarebbe punibile solo a titolo di dolo diretto, consistente nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari; ciò in quanto il dolo eventuale o indiretto postulerebbe una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) non ravvisabili nel reato di usura, in cui vi è l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (Cass.pen., Sez.II, 21/11/2016, n. 49318, in questa rivista con nota di C. Parodi, Usura bancaria: dolo diretto o dolo eventuale)

In termini tanto chiari quanto lapidari, la S.C. ritiene priva di fondamento la prospettazione del ricorrente, precisando che «ai fini dell'integrazione del delitto di usura non è richiesta una condotta induttiva da parte di chi pone in essere la condotta usuraria, rilevando unicamente l'usurarietà oggettiva delle condizioni pattuite (a nulla rilevando anche che esse siano state volontariamente accettate dalla P.O.), in quanto il nucleo essenziale dell'elemento oggettivo consiste ora nel "farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità", non "nell'indurre taluno a farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità».

Per giungere a tale conclusione, la decisione considera, nondimeno, alcune indicazioni risalenti a precedenti massime giurisprudenziali (segnatamente Cass.pen., Sez. II, 10 dicembre 2003, n. 11837, CED 228381; Cass.pen., Sez. II, 1° ottobre 2008, n. 38812, CED 241452). Tali decisioni, per altro, rinviano a un'altre precedente decisione che aveva affrontato il tema della condotta di induzione (Cass.pen., Sez. II, 30 aprile 1999, n. 6015, CED 213380), formulato non certo per riconoscere allo stesso natura di elemento costitutivo del reato, ma con riferimento alla norma incriminatrice vigente prima dell'entrata in vigore delle modifiche alle disposizioni in tema di usura apportate dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356. Norma che, ai fini dell'integrazione della materialità del reato, attribuiva ancora rilievo all'approfittamento - da parte del soggetto attivo - dello stato di bisogno della vittima, oggi previsto come mera circostanza aggravante del reato.

In particolare, la l. n 108/1996 non ha inserito nella fattispecie del reato di usura, nella due accezioni proposte, un dolo specifico. Per la fattispecie di cui all'art. 644, comma 1,c.p., è, pertanto, sufficiente la volontà di farsi dare o promettere, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi superiori al limite legale. Un dolo quindi “generico”, anche se profondamente differente da quello richiesto nella fattispecie introdotta dal codice Rocco, per la quale l'elemento psicologico era rappresentato dal consapevole approfittamento della situazione di bisogno del soggetto passivo.

La previsione dell'”approfittamento” nell'ambito della fattispecie abrogata aveva creato non solo problemi ermeneutici, ma anche criticità sul piano strettamente probatorio. Difficile ipotizzare che l'approfittamento potesse essere assimilato all'abuso dei bisogni, delle passioni o dell'inesperienza previsto dal delitto di circonvenzione di incapace di cui all'art. 643 c.p., non foss'altro per la previsione, da parte del legislatore, di due distinte ipotesi. In ogni caso, tuttavia, l'avere il legislatore escluso dalla fattispecie la nozione di “approfittamento” – e quindi qualsiasi rilievo ad attività di “induzione”- ha rappresentato una modifica di grande rilievo sul piano è probatorio, non soltanto perché ha escluso la necessità di una ricostruzione in fatto di tale aspetto, quanto soprattutto perché ancora la valutazione dell'elemento soggettivo a parametri “oggettivi” e predeterminati la cui conoscenza (e conoscibilità) si deve ritenere sostanzialmente equiparati a quella del dato normativo.

La decisione in oggetto si sofferma altresì rilevanza della condotta della persona offesa del reato e in particolare sull'iniziativa di questi rispetto all'autore della condotta usuraria. Osserva la S.C. che “ai fini dell'integrazione del reato di usura, nonostante il fatto che la formulazione legislativa "si fa dare o promettere" sembri presupporre l'iniziativa dell'usuraio, non rileva neppure il fatto che l'iniziativa di dare il via alla negoziazione usuraria sia stata presa (non dall'usuraio, bensì) dal soggetto che ha necessità del prestito (come invero accade nella gran parte dei casi di usura).”

Una soluzione supportata da un richiamo alla ratio dell'incriminazione, da individuarsi nell'esigenza di impedire le pattuizioni ad usura. Al proposito, non vi sarebbe alcuna ragione sostanziale per ritenere che l'usura implichi un'iniziativa del soggetto attivo e per escludere il delitto nei casi, fra l'altro statisticamente più frequenti, in cui sia la vittima a rivolgersi all'usuraio. A comprova di tale tesi, la decisione sottolinea che non constano precedenti di legittimità nei quali sia stata riconosciuto rilevanza, ai fini dell'integrazione del reato, al fatto che l'iniziativa sia stata presa dall'una piuttosto che dall'altra parte della negoziazione usuraria.

La S.C. affronta anche il tema del rapporto tra il delitto di usura e quello di estorsione, considerando che con uno dei motivi di ricorso l'assenza di pressioni operate dall'imputato per indurre la p.o. ad accettare il prestito de quo a condizioni di usura è stata indicata come circostanza tale da non consentire di ritenere integrato il reato contestato.

Dopo aver ribadito che, ai fini dell'integrazione del reato di usura, non assume rilievo il fatto che le condizioni da usura siano state volontariamente accettate dalla p.o., la decisione sottolinea come nel ricorso si confonda il delitto di usura con quello - non contestato all'imputato - di estorsione. Per la S.C., il reato di usura, che rientra tra i delitti contro il patrimonio mediante frode, si distingue dall'estorsione, che rientra tra i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, perchè, ai fini dell'integrazione della sua materialità, non occorre che il soggetto attivo ponga in essere, in danno di quello passivo, una violenza o min accia. In particolare “la condotta tipica del reato di usura non richiederebbe che il suo autore assuma atteggiamenti intimidatori o minacciosi nei confronti del soggetto passivo, atteso che tali comportamenti caratterizzano la diversa fattispecie dell'estorsione” (Cass.pen., Sez. II, 22 novembre 2007, n. 2988, CED 238747). Viene, inoltre, riconosciuta la possibilità di concorso tra i delitti d'usura e di estorsione, “ove la violenza o la minaccia, assenti al momento della stipula del patto usurario, siano in un momento successivo impiegate per ottenere il pagamento dei pattuiti interessi o degli altri vantaggi usurari: diversamente, sussiste il solo reato di estorsione ove la violenza o la minaccia siano usate ab initio al fine di ottenere la dazione dei suddetti vantaggi.” (Cass.pen., Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 5231, CED 243283).

Particolarmente chiara la ricostruzione finale del rapporto tra le due fattispecie proposta nella decisione; in questo senso:

  • quando la violenza o la minaccia vengano poste in essere dal soggetto attivo per "farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità" risulterà integrato il solo reato di estorsione, in virtù dell'elemento specializzante della violenza o minaccia per indurre il soggetto ad accettare la pattuizione usuraia, non l'usura, che sarebbe integrata dalla mera dazione o promessa, del tutto "spontanea" (quindi, non indotta dalla coercizione) di "interessi o altri vantaggi usurari": in tal caso, infatti, l'agente, con violenza o minaccia, perchè procura a sè un ingiusto profitto consistente nell'ottenere un vantaggio (interessi usurari) vietato dalla legge;
  • l'usura e l'estorsione possono, tuttavia, concorrere, nel caso in cui la violenza o minaccia sia esercitata in un momento successivo rispetto all'iniziale pattuizione usuraia, ovvero al fine di ottenere l'ingiusto profitto consistente nella corresponsione dei pattuiti "interessi o altri vantaggi usurari" che il soggetto passivo non possa o non voglia più corrispondere.

La sentenza, infine, ricorda come il reato di usura si possa consumare anche con la mera promessa usuraria, precisando che conseguentemente le successive vicende del rapporto inter partes non incidono sulla configurabilità del reato, anche in caso d'inadempimento della P.O.

Sul tema, la S.C. ha con sempre maggiore convinzione preso atto dell'usura come reato a schema “duplice”, che si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dall'effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l'integrale adempimento dell'obbligazione usuraria (Cass. pen., Sez. feriale, 19 agosto 2010, n. 32362, CED 32362). Un reato costituito pertanto da due fattispecie destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria - aventi in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato.

Ne consegue che, nella prima fattispecie, il verificarsi dell'evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell'illecito, il quale, nel caso di integrale adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito. Nella seconda - che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta - il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta. Ne deriva, in tema di prescrizione, che il relativo termine decorre dalla data in cui si è verificato l'ultimo pagamento degli interessi usurari (Cass.pen., Sez. II, 1gennaio 2008, n. 38812, CED 241452). Naturalmente, nel caso in cui la pattuizione usuraria sia adempiuta, la prima fattispecie assorbe l'altra.

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