Lo stato di flagranza tra stare decisis e distinguishing

25 Ottobre 2019

La pronuncia in commento assume anzitutto la diversità della concreta vicenda alla base del sentenza delle Sezioni Unite - dove, afferma la Corte, l'arresto era stato eseguito sulla base delle sole indicazioni della persona offesa, riguardanti le generalità dell'aggressore - rispetto a quella oggetto di attuale giudizio...
Massima

Ai fini dell'accertamento dello stato di flagranza - e dunque della legittimità dell'arresto eseguito - la nozione di cose o tracce dalle quali emerga che egli abbia commesso il reato poco prima non coincide necessariamente con il compendio del reato ben potendo identificarsi con il vestiario dell'arrestato indicato dalla persona offesa, il corpo del reato lasciato sulla via di fuga, il luogo di rintraccio dell'indagato ed infine il diretto riconoscimento della persona offesa.

Il caso

Quanto deciso dalla Suprema Corte prende le mosse da una vicenda nell'ambito della quale personale della Questura, su richiesta della Centrale Operativa, si portava in luogo dove era stata segnalata la consumazione di uno scippo ai danni di una ragazza. Ivi giunti, gli operanti identificavano la persona offesa la quale riferiva che poco prima un giovane, dopo essersi avvicinato con la scusa di chiederle un'informazione, era riuscito ad impossessarsi della sua borsa che era posta all'interno della sua vettura – parcheggiata sulla pubblica via – sul sedile lato passeggero.

Sentita la P.O. una parte dell'equipaggio di Polizia si poneva immediatamente alla ricerca dell'autore del reato che grazie alla descrizione del vestiario operata dalla vittima veniva rintracciato nelle vicinanze e subito bloccato.

L'informazione alla Centrale Operativa era stata data dal padre della vittima, informato dal di lei fratello, a sua volta avvisato per telefono dalla P.O. Quest'ultima inoltre, raggiunti gli agenti, riconosceva senza incertezze nell'indagato l'autore dell'illecito subito.

A breve distanza dal luogo di consumazione del reato la P.G. rinveniva una borsa riconosciuta come propria dalla P.O. e contenente i suoi documenti di identificazione.

La questione

A fronte di tale fattispecie concreta e del ricorso dell'indagato la Suprema Corte si pone dunque nell'ottica di verificare l'effettivo essere stato l'indagato “subito dopo il reato (…) inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone” ovvero l'essere stato “sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.”, ai sensi e per gli effetti dell'art. 382 c.p.p.

Il tutto alla luce del dictum – precisamente invocato dalla Difesa del ricorrente nella contestazione del provvedimento di convalida del Giudice per le indagini preliminari – di cui a Cass.pen., S.U. n. 39131/2015, secondo cui “Non può procedersi all'arresto in flagranza sulla base delle informazioni della vittima o di terzi fornite nell'immediatezza del fatto.

Prima di analizzare il decisum della sentenza in commento giova richiamare il contesto giurisprudenziale in cui la citata Cass S.U. n. 39131/2015 risulta essere intervenuta, con l'affermazione del netto principio di diritto di cui sopra, indicato dal preciso angolo visuale dell'ubi consistam dell'“inseguimento” di cui all'art. 382 c.p.p.

Secondo un orientamento prevalente - fatto proprio dal Collegio nella massima composizione - non sussiste la condizione di cosiddetta quasi flagranza qualora l'inseguimento dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a causa della diretta percezione dei fatti da parte della stessa polizia giudiziaria, bensì per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni dalla persona offesa o da altri testi presenti in loco al momento della commissione del reato (vd. ex plurimis Cass. pen., Sez. III, n. 34899/2015, Amistà, Rv. 264734; Cass.pen., Sez. I, n. 43394/2014, Quaresima, Rv. 260527; Cass.pen.,Sez. IV, n. 15912/2013, Cecconi, Rv. 254966).

Tale indirizzo valorizza il carattere eccezionale della privazione della libertà personale che si traduce nell'arresto e ravvisa il fondamento e la giustificazione dell'istituto nella diretta percezione della polizia giudiziaria dell'azione delittuosa, ovvero dell'inseguimento del reo o, infine, della circostanza che costui presenti tracce (o rechi cose) le quali rivelino che egli immediatamente prima abbia commesso il reato.

A siffatte condizioni che abilitano all'arresto non sono assimilabili - si afferma - le investigazioni e le ricerche che la polizia giudiziaria, subito dopo la commissione del reato, intraprende tempestivamente, sulla base di dichiarazioni assunte, anche informalmente, dalle persone presenti al fatto, così pervenendo alla individuazione della persona dell'indagato.

L'orientamento contrario – presente in modo significativo nella giurisprudenza più risalente nel tempo e comunque ribadito in più recenti pronunce in consapevole contrasto con l'orientamento prevalente – ravvisa le ipotesi della flagranza anche qualora, subito dopo la commissione del reato, la polizia giudiziaria intervenga, assuma le informazioni del caso dalla persona offesa o dai testimoni presenti al fatto, e immediatamente si ponga, sulla scorta delle stesse, all'“inseguimento” dell'autore del reato, celermente pervenendo – senza alcuna interruzione dell'attività di investigazione e di ricerca, tempestivamente intrapresa – all'arresto dell'indagato.

Secondo il principio conseguentemente affermato “lo stato di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l'inseguimento […] sia iniziato […] per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purchè non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato” (vd. ex plurimis Cass. pen., Sez. III n. 22136/2015, B.; Rv. 263663; Cass. pen., Sez. I n. 6916/2011, Vinetti, Rv. 252915; Cass. pen., Sez. II n. 44369/2010, Rv. 249169).

Alla base dell'indirizzo in parola risiede la convinzione che la giuridica essenza del “concetto di flagranza o quasi flagranza” consista nella relazione di “continuità” tra la commissione del delitto e “la reazione diretta ad arrestarne” l'autore. (vd. Cass. pen., Sez. III n. 22136/2015).

Rilevante è che la polizia giudiziaria si attivi immediatamente post delictum e inneschi una sequela ininterrotta di atti (della più varia tipologia: di natura investigativa, di materiale ricerca, di vero e proprio inseguimento) che, senza soluzione di continuità, culminino nell'arresto del reo.

Come già accennato, le Sezioni Unite della Suprema Corte risultano aver aderito alle ragioni proprie del primo orientamento esposto.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento assume anzitutto la diversità della concreta vicenda alla base del sentenza delle Sezioni Unite - dove, afferma la Corte, l'arresto era stato eseguito sulla base delle sole indicazioni della persona offesa, riguardanti le generalità dell'aggressore - rispetto a quella oggetto di attuale giudizio dove “le cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” sono costituite non già dalla identificazione operata dalla parte offesa che indichi le generalità del presunto autore del delitto, come era nell'ipotesi considerata dalle Sezioni Unite, bensì dal vestiario indossato dall'arrestato all'atto dell'individuazione da parte della Polizia, come descritto dalla vittima.

Secondo la Corte la nozione di cose o tracce dalle quali emerga che egli abbia commesso il reato poco prima non fa coincidere necessariamente quelle cose o quelle tracce con il compendio del reato. Al vestiario – afferma la Corte – si affianca la stessa borsa, rinvenuta sulla via percorsa per allontanarsi dal parcheggio teatro della rapina e il luogo di rintraccio del ricorrente, quale elemento di materiale conferma del tragitto di rapido allontanamento e infine il diretto riconoscimento della persona offesa. In tale prospettiva, la linea di ininterrotta e rapida continuità spazio-temporale, nella quale trovano collocazione le cose costituite dalla borsa abbandonata sulla via di fuga e dal vestiario indossato, integrano un profilo di elevatissima probabilità che l'arrestato sia l'autore del fatto, tale da fondare la sussistenza nel caso concreto della quasi flagranza.

Osservazioni

Pare non totalmente condivisibile l'angolo visuale proposto dalla Suprema Corte - relativo alla sussistenza o meno di cose o tracce suscettibili di porre in luce una commissione del reato immediatamente prima - recando invero il caso di specie il diverso profilo problematico, già proprio dell'arresto delle Sezioni Unite, della nozione di inseguimento da parte della polizia giudiziaria ex art. 382 c.p.p.

In disparte tale rilievo, come autorevolmente affermato in letteratura, è materia di analisi clinica stabilire sin dove gli accadimenti fenomenici siano ancora flagranti ed appare del tutto fisiologico, oltreché opportuno, che dalla prassi fuoriescano direttive ragionevolmente flessibili, nel costante e difficile bilanciamento tra le esigenze, fortemente avvertite nell'ambito della pubblica opinione, di assicurare la pronta reazione istituzionale da un lato e i canoni costituzionali di eccezionalità dell'intervento de libertate non giurisdizionale dall'altro.

Tanto riconosciuto, ove ci si ponga nell'ottica di una verifica di coerenza rispetto a principi di diritto precedentemente formulati, pare a chi scrive che la pronuncia in analisi, pur muovendosi su un piano di formale ossequio alle indicazioni delle Sezioni Unite, determini, di fatto, una frattura vistosa rispetto alle stesse, con tutte le equivocità ragionevolmente prevedibili sul piano nomofilattico.

A fronte di un principio di diritto formulato in termini netti e perentori, nei termini sopra già riportati, la sentenza in commento propone, a nostro avviso, un'operazione di distinguishing poco convincente sul piano formale ed apparentemente frutto della concreta finalità di discostarsi dal detto principio.

Costituisce circostanza ben nota agli operatori giuridici di common law che l'assumere la diversità della fattispecie oggetto di giudizio - quantunque rappresenti operazione del tutto lecita sul piano logico e in taluni casi doverosa - rappresenti invero il principale strumento di elusione della regola dello stare decisis, specie ove la vicenda oggetto del precedente decisum venga apprezzata senza un adeguato margine di astrazione.

Ciò che, stante l'ontologica diversità di qualsivoglia vicenda umana, determina una possibilità pressochè illimitata di affermare la diversità della fattispecie oggetto del precedente, non potendosi assumere la sostanziale diversità della vicenda oggetto del giudizio rispetto al decisum della massima composizione.

Non condivisibile appare in particolare l'assunto della Suprema Corte circa la presenza nella fattispecie oggetto di giudizio di elementi obiettivi ulteriori ed estrinseci rispetto alla rappresentazione della P.O., tali non potendosi ritenere, a rigore, il vestiario dell'indagato - comunque indicato dalla predetta - o, ancor più, il certo riconoscimento da parte da parte della vittima, quantunque intervenuto nell'immediatezza.

Appare evidente trattarsi di due precise indicazioni della P.O. inidonee a rientrare, per quanto se ne voglia dilatare il significato letterale, nell'ambito dei concetti di “cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.ex art 382 c.p.p.

In altri termini, la vicenda oggetto di giudizio non risulta aver presentato nulla di eccedente rispetto al contenuto delle dichiarazioni della P.O. e alle ricerche attivate sulla relativa base, risultando altresì dato neutro, ove si ragioni di cose o tracce idonee a indicare in maniera eloquente l'autore dell'illecito, il rinvenimento della borsa nelle immediate vicinanze del luogo del commesso reato.

Appare poi evidente come la nozione estensiva di “cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.” – apparentemente fatta propria dalla pronuncia in commento – non trovi giustificazione sulla base argomentativa delle Sezioni Unite.

Come da queste evidenziato con fermezza, l'art. 13 terzo comma Cost. stabilisce, infatti, che “in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisoride libertate sottoposti alla comunicazione ala autorità giudiziaria e alla convalida della stessa, da eseguirsi entro termini perentori, a pena della perdita di ogni effetto.

La sancita eccezionalità delle ipotesi di privazione della libertà personale ad opera dell'Autorità di polizia, di iniziativa e senza provvedimento dell'Autorità Giudiziaria, osta alla espansione in senso figurato della previsione dell'inseguimento così da includere l'accezione confinante del “perseguimento” del reo attraverso la sollecita attività di investigazione e ricerca.

Il Giudice delle leggi, in relazione alle disposizioni sull'arresto contenute nel previgente codice di rito, non ha mancato di rilevare trattarsi di ius singulare, norme “di stretta interpretazione” non suscettibili di applicazione estensiva in quanto trovano collocazione nell'ambito della deroga al principio “che incentra nella sola autorità Giudiziaria ogni potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone” (così Corte Cost. n. 89/1970).

L'eccezionalità dell'arresto in flagranza – affermano le Sezioni Unite – si rinsalda alla considerazione che la privazione della libertà personale ad opera della polizia giudiziaria ovvero, nei casi ammessi, da parte del privato, trova giustificazione nella constatazione da parte di chi procede all'arresto della condotta del reo, all'atto stesso della commissione del delitto, ovvero della diretta percezione di condotte o situazioni personali dell'autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazioni e obiettivamente rivelatrici della colpevolezza; sicché appare assai remota (e praticamente esclusa) l'eventualità di ingiustificate privazioni della libertà personale.

Non pare un caso, sotto tale ultimo profilo, che nell'ambito della pronuncia in commento la S.C., in luogo del parametro di quasi certezza di reità, formuli riferimento al più evanescente canone di probabilità di colpevolezza, per quanto qualificata.

In conclusione, così definiti i contorni della misura precautelare dell'arresto in flagranza, risulta evidente che nel relativo ambito non deve essere compresa la privazione della libertà dell'indagato “allorché sia operata, seppur in tempo prossimo alla commissione del reato, sulla base di dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dai testimoni del fatto.” (vd. Cass. S.U. cit.). Ciò che “richiede un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell'istituto” (vd., autorevolmente, Cass. pen., 21 giugno 1999, Carrozzino). In tale quadro, pare in definitiva che, in disparte il profilo della correttezza teorica del decisum, lo stesso non possa quantomeno dirsi consequenziale rispetto alle indicazioni delle Sezioni Unite, così introducendo nel sistema nuovi elementi di equivocità nomofilattica.

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