Ricorso per la modifica delle condizioni di affidamento in pendenza dei termini per la proposizione del reclamo

Valentina Rascioni
28 Ottobre 2019

Le circostanze sopravvenute – idonee a fondare una domanda di adeguamento delle statuizioni assunte in ordine al mantenimento del minore, al suo affidamento, alla sua collocazione e al regime delle visite del genitore non collocatario – fondano il diritto della parte di instaurare un nuovo e distinto giudizio, ancorché...
Massima

Le circostanze sopravvenute – idonee a fondare una domanda di adeguamento delle statuizioni assunte in ordine al mantenimento del minore, al suo affidamento, alla sua collocazione e al regime delle visite del genitore non collocatario – fondano il diritto della parte di instaurare un nuovo e distinto giudizio, ancorché siano ancora pendenti i termini per proporre reclamo avverso il decreto reso nel procedimento ex art.337- ter c.c., di cui si chiede la modifica.

Il caso

Il padre di una minore si è originariamente rivolto ai sensi dell'art. 337- quinquies c.c. al Tribunale di Trieste al fine di ottenere la revisione delle condizioni di affidamento e di mantenimento previste in un precedente provvedimento.

Avverso il decreto con cui, all'esito di tale procedimento, il primo giudice ha affidato in via condivisa la figlia, prevedendo percorsi di sostegno psicologico in favore di tutti i soggetti coinvolti, hanno proposto reclamo entrambi i genitori.

Soltanto la madre della minore ha poi proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento con cui la Corte d'Appello di Trieste ha rigettato il reclamo, eccependo in primo luogo la «nullità del procedimento e della sentenza, per violazione degli artt. 39 e 739 c.p.c., essendo stato dal padre proposto il procedimento ex art. 337-quinquies c.c., volto alla revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e del contributo, in pendenza dei termini per proporre reclamo avverso altro provvedimento, reso ai sensi dell'art. 337- ter c.c., avente medesimo oggetto».

I giudici di legittimità risolvono tale questione affermando che, ove sopravvengano nuove circostanze idonee a giustificare il mutamento delle condizioni di affidamento o di mantenimento di un minore, la parte ha diritto di avviare il procedimento volto alla loro revisione, anche qualora siano ancora pendenti i termini per l'eventuale proposizione del reclamo avverso il provvedimento già emesso.

Evidenziano peraltro che, nel caso di specie, non potrebbe comunque ravvisarsi la nullità del decreto emesso nell'ambito del procedimento di modifica, in ogni caso pronunciato dopo che i termini per la proposizione del reclamo erano ormai spirati.

L'ordinanza della Corte, dopo aver sinteticamente affrontato tale questione preliminare, si dedica poi ad approfondire la vexata quaestio relativa alla possibilità di proporre percorsi terapeutici ai genitori, ribadendo i principi ormai chiaramente emersi a riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.

La questione

Le pronunce volte a regolare l'affidamento e il mantenimento dei minori, anche qualora emesse all'esito di un procedimento riconducibile nell'ambito del contenzioso civile ordinario, sono sempre modificabili o revocabili qualora sopravvengano nuove circostanze idonee a giustificarne la revisione, ma possono anche essere impugnate nei consueti termini di legge.

Tenuto conto tuttavia che, in tale peculiare settore, le parti possono far valere in qualsiasi fase processuale eventuali mutamenti intervenuti nel corso del processo (es. Cass. civ., sez. I, 15 giugno 1981, n. 3868, nonché da ultimo l'ordinanza Cass. civ., sez. VI-I, 17 dicembre 2015, n. 25420), è stato costantemente ritenuto che “la domanda ex art. 710 c.p.c. può essere esperita solo dopo che si sia formato il giudicato” (cfr. Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16398 e ancor prima Cass. civ., sez. un. 8389/1993); tale principio, fondato anche sulla necessità di evitare decisioni contrastanti, è stato ritenuto applicabile anche al procedimento volto alla modifica delle condizioni di divorzio (es. Cass. civ., sez. VI– I 15 ottobre 2014, n. 21874).

Ci si è quindi interrogati in merito alla possibilità di giungere ad analoghe conclusioni anche per quanto riguarda i provvedimenti emessi in camera di consiglio, ai quali deve riconoscersi una sostanziale «attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi» (cfr. Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2018, n. 19780).

Le soluzioni giuridiche

Sino alla pronuncia oggi in esame, la giurisprudenza di legittimità non risultava essersi mai pronunciata in merito all'eventuale possibilità di proporre ricorso ai sensi dell'art.337-quinquies c.c. nelle more del termine (invero assai breve) entro cui può essere proposto reclamo o comunque in pendenza d'impugnazione avverso il provvedimento che si vorrebbe modificare.

Tale questione è stata tuttavia affrontata dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale «per proporre istanza di modifica è necessario che della questione oggetto della domanda non sia stato investito il giudice del grado superiore» e che pertanto «anche nel caso di provvedimenti emessi per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio è necessario che il provvedimento le cui statuizioni si intendano modificare non sia più soggetto ad impugnazione» (cfr. Trib. Roma, sez. I civ. dec. 16 giugno 2017).

Il Tribunale capitolino, facendo riferimento in via analogica alla consolidata giurisprudenza in materia di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, ritiene infatti necessario evitare anche nell'ambito della volontaria giurisdizione l'adozione di decisioni contrastanti sul medesimo oggetto, «con indubbia compromissione della certezza del diritto».

L'adozione dei medesimi criteri interpretativi sembra del resto una scelta obbligata qualora s'intenda offrire ai figli nati fuori dal matrimonio (il cui affidamento e mantenimento viene usualmente regolato nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio) una tutela equiparabile a quella dei figli nati all'interno del matrimonio (la cui posizione viene in massima parte definita all'esito di procedimenti aventi natura contenziosa ordinaria); in entrambe le situazioni, del resto, sussiste la medesima esigenza di evitare inutili duplicazioni di sedi contenziose, che finiscono per consentire un sostanziale abuso degli strumenti processuali, inasprendo la conflittualità tra le parti.

Criteri sostanzialmente analoghi sono stati peraltro adottati dalla giurisprudenza di merito per quanto riguarda i rimedi esperibili avverso i provvedimenti provvisori presidenziali, con riferimento ai quali si ritiene (nonostante la riformulazione degli artt. 708 e 709 c.p.c.) che sia necessario individuare ambiti ben distinti tra le ipotesi che possono esser fatte valere attraverso il reclamo e quelle che invece giustificano la richiesta di modifica delle condizioni (leggasi tra tante pronunce in tal senso Trib. Varese, sez. I, ord. 26 novembre 2010, nonché da ultimo Trib. Ancona, sez. I ord., 9 maggio 2019).

Osservazioni

Nell'ordinanza oggetto del presente commento, i giudici della Suprema Corte non prendono alcuna posizione rispetto all'ampio dibattito sopra esaminato, limitandosi a riconoscere il diritto della parte di chiedere la modifica delle condizioni di affidamento o mantenimento del minore anche nella pendenza del termine per proporre reclamo avverso il provvedimento con cui sono state regolate.

È evidente che, ove tale orientamento dovesse essere ribadito, verrebbe consentita una sostanziale duplicazione della tutela processuale avverso tali provvedimenti, con il conseguente rischio che possano essere assunte decisioni diverse dal tribunale competente per l'eventuale modifica e dalla corte d'appello competente per il reclamo (dinanzi alla quale, si rammenta, possono esser fatte valere anche circostanze sopravvenute).

Deve peraltro rammentarsi che la pronuncia in esame è costituita da una semplice ordinanza a motivazione semplificata, nell'ambito della quale i giudici di legittimità si sono dedicati in via prioritaria a ribadire l'orientamento ormai pacifico in merito ai percorsi trattamentali proposti ai genitori (privilegiando in tal modo il c.d. criterio della ragione più liquida) e hanno invece dedicato solo brevi cenni alla questione sollevata in via preliminare dalla ricorrente.

Si confida quindi che in futuro la Corte di Cassazione possa riesaminare funditus la questione, valutandola alla luce dei criteri sino ad oggi elaborati in fattispecie analoghe e soprattutto della fondamentale esigenza di evitare qualsiasi possibile abuso o comunque duplicazione degli strumenti processuali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.