Abnorme l'ordinanza di rigetto della richiesta di assumere la testimonianza della vittima di violenza sessuale mediante incidente probatorio

28 Ottobre 2019

Sono due i temi affrontati e risolti dalla pronuncia in esame: l'esistenza, o meno, di un potere discrezionale in capo al giudice per le indagini preliminari a cui è rivolta istanza di assunzione di una testimonianza “a futura memoria” in forma anticipata, e la possibilità, o meno, di sottoporre la sua decisione al successivo vaglio di legittimità da parte della Cassazione.
Massima

L'ordinanza con cui il Gip, richiesto ex art. 392, comma 1-bis,c.p.p. di procedere all'assunzione della testimonianza della persona offesa del delitto di cui all'art. 609-bis c.p., minore all'epoca del fatto, rigetta l'istanza, è atto abnorme ricorribile in Cassazione.

Il caso

Durante le indagini preliminari inerenti un fatto di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., occorso ad una giovane – minore all'epoca ma prossima al compimento della maggiore età al momento dell'istanza – il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Tivoli avanza richiesta di assumerne la testimonianza tramite incidente probatorio ex art. 39,2 comma 1-bis, c.p.p.

Il giudice per le indagini preliminari rigetta l'istanza non ravvisando nella vicenda concreta ragioni di particolare urgenza che impediscano di sentirla in dibattimento.

Il Procuratore della Repubblica ricorre allora per Cassazione eccependo l'abnormità di tale ordinanza e in principalità ne richiede l'annullamento; in subordine chiede sollevarsi eccezione di illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. nella parte in cui impone all'Italia di conformarsi agli obblighi internazionali assunti, in particolare sottoscrivendo le Convenzioni scritte a favore delle vittime, soprattutto quando parti lese di determinati reati.

La Corte di Cassazione risponde affermativamente alla prima richiesta ed annulla senza rinvio l'ordinanza, trasmettendo gli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tivoli con ciò risolvendo non solo il quesito principale, ma altresì la questione preliminare della ricorribilità per Cassazione dell'ordinanza che decida sulla domanda di incidente probatorio.

La questione

Sono due i temi affrontati e risolti dalla pronuncia in esame: l'esistenza, o meno, di un potere discrezionale in capo al giudice per le indagini preliminari a cui è rivolta istanza di assunzione di una testimonianza “a futura memoria” in forma anticipata, e la possibilità, o meno, di sottoporre la sua decisione al successivo vaglio di legittimità da parte della Cassazione.

In altre parole, quando si verta in tema di particolari reati, come in questo caso quello di violenza sessuale, il giudice per le indagini preliminari deve valutare se esistano – in quello specifico caso concreto a lui sottoposto – le ragioni elencate dall'art. 392, comma 1, c.p. - quindi il fondato motivo per ritenere che la persona da sentire non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento, oppure che sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso?

Qualora non le ravvisi, il giudice conserva il suo potere discrezionale di rigettare l'istanza, oppure è in qualche modo vincolato nella sua decisione dalla circostanza che il successivo comma 1-bis permette al pubblico ministero (e per suo tramite anche alla persona offesa) e alla persona sottoposta alle indagini di avanzare detta richiesta anche “al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”?

L'art. 392 c.p.p., nei primi due commi, nulla dice sulla decisione del giudice, essendo norma dedicata alla richiesta di incidente probatorio, mentre il successivo art. 398 c.p.p., dettando la disciplina dedicata al conseguente provvedimento del giudice, elenca le tre possibili decisioni (accoglimento, rigetto e dichiarazione di inammissibilità) senza fare alcuna distinzione tra tipologie di richiesta, titolo del reato per cui si procede o età della parte lesa. L'unico riferimento specifico ai procedimenti per particolari ipotesi di reato (tra cui la violenza sessuale) si riscontra al comma 5-bis, che però attiene alle modalità particolari di assunzione della testimonianza da parte di un minore di età ma ancora una volta non illumina sui poteri discrezionali del giudice a monte, quando debba prendere la decisione sulla domanda di incidente probatorio.

Da quale altra disposizione può quindi ricavarsi la soluzione al quesito?

Le soluzioni giuridiche

A stretto rigore, la lettura testuale delle due disposizioni a confronto (art. 392 c.p.p., richiesta di incidente probatorio e art. 398 c.p.p., provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio) sembra lasciare a tutte le parti processuali ampia libertà sia nel chiedere che nel decidere sull'istanza. Il tenore letterale degli articoli infatti è sempre possibilista: “il pubblico ministero può chiedere” (altrettanto può fare la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa, attraverso il pubblico ministero), il giudice può pronunciare tre diverse tipologie di ordinanza.

La differenza tra il primo comma dell'art. 392 c.p.p., e il successivo comma 1-bis (introdotto dall'art. 13 della legge del 1996 di riforma dei reati di violenza sessuale e successivamente modificato dalla legge n. 172 dell'ottobre 2012 e poi dal d.lgs. n. 212 del 2015) riposa sul fatto che quando si proceda:

1) per reati di maltrattamenti, riduzione in schiavitù, pedopornografia, detenzione di materiale pornografico (anche virtuale), tratta, violenza sessuale e atti persecutori: la richiesta di incidente probatorio prescinde dalle situazioni di urgenza contemplate dal comma 1 alle lettere a) e b);

2) per qualsiasi reato, quando la persona offesa versi in condizione di particolare vulnerabilità, la richiesta di incidente probatorio può essere avanzata “in ogni caso”.

Il quesito allora apre a due soluzioni differenti: posto che il dettato normativo regola solo la richiesta, il giudice per le indagini preliminari (ma il discorso è paritetico per il giudice dell'udienza preliminare) può decidere di rigettarla anche nelle ipotesi di cui al comma 1-bis appena elencate?

Questa è la soluzione adottata dal Giudice di Tivoli nell'ordinanza impugnata, il quale rende anche una motivazione alla scelta, in questo incorrendo nel vizio rilevato in Cassazione e da quest'ultima bollato con lo stigma più grave: l'abnormità. Il riferimento infatti alle “ragioni di urgenza”, che quel giudice nel caso al suo vaglio non ha ravvisato, viene giudicato erroneo essendo tipico delle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 392 c.p.p. e – questo stabilisce la Corte nella decisione ora in commento– non anche alle ipotesi di cui al comma 1-bis (tra le quali ricade la vicenda specifica).

La soluzione opposta, ossia che quando si verta in tema di reati oggi definiti con espressioni variabili tra foro e foro (soggetti vulnerabili, fasce deboli e così via), comunque quelli elencati dal comma 1-bis, la risposta del Gip non sia discrezionale ma debba essere giocoforza di accoglimento.

La Cassazione, con la sentenza n. 34091/2019, per giungere a tale conclusione, allarga l'angolo visuale all'intero assetto normativo dedicato alla prova dichiarativa della vittima, così come risultante dalle disposizioni internazionali recenti a cui anche l'Italia ha dato esecuzione interna mediante le leggi di ratifica delle relative convenzioni.

La motivazione offre un elenco di tali trattati, a cominciare dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176), attraverso la Convenzione di Lanzarote sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e gli abusi sessuali (ratificata con legge n. 172 del 2012) sino a quella di Istanbul dell'11 maggio 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con legge n. 77 del 2013). A questi Trattati internazionali si unisce da ultimo la Direttiva di Parlamento e Consiglio d'Europa 2012/29/UE (c.d. direttiva vittime), approvata con legge 11 gennaio 2018 n. 4.

In tutte queste importantissime disposizioni di diritto internazionale pattizio viene dichiarata e confermata la necessità che gli Stati si impegnino a evitare la c.d. vittimizzazione secondaria della persona offesa, minorenne come maggiorenne, ove per essa si intende – nelle parole della nostra Consulta – “quel processo che porta il testimone persona offesa a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto” (Corte Cost., sentenza 21 febbraio 2018, dep. 27 aprile 2018, n. 92).

Al riguardo, occorre premettere che, per costante indirizzo della Cassazione, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, sì che non operano le regole dettate dall'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni che confermino l'attendibilità delle parole medesime; tutto ciò, però, impone la verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le parole di qualsiasi testimone (per tutte, Cass. pen., Sez. Unite, 19 luglio 2012, n. 41461, Bell'Arte, Rv. 253214). Tale previsione di carattere generale deve essere poi rispettata, con particolare attenzione, allorquando l'oggetto del giudizio sia costituito da reati in materia sessuale, con riferimento ai quali è estremamente frequente l'assenza di qualsivoglia elemento a sostegno dell'accusa diverso dalle affermazioni della persona offesa; orbene, in queste ipotesi il Giudice è chiamato ad un impegno valutativo e motivazionale particolarmente attento e stringente, e deve quindi sottoporre la deposizione ad un'approfondita, positiva indagine sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa (per tutte, Sez. 4, n. 44644 del 18 ottobre 2011, Rv. 251661).

Il principio non è nuovo: sono infatti almeno quindici anni che si suole leggere come la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità soggettiva ed oggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Trib. Urbino, 2 novembre 2005, n.69, in Corti Marchigiane 2006, 3, 660). Se poi si tratta di dichiarazioni testimoniali della parte offesa minore e sono state rese in incidente probatorio, non solo non necessitano di riscontri esterni, ma soprattutto sono utilizzabili in dibattimento come tutte le altre prove a carico o discarico dell'imputato (Cass. pen., Sez. III, 24 ottobre 2013, n.47811, in Diritto e Giustizia online 2013, 3 dicembre).

Tale portata, quasi fideistica, risulta attenuata in altre massime in cui si afferma come, in tema di violenza sessuale, risulta attenuato l'obbligo di riscontro del dichiarato, in ragione delle modalità della condotta (Cass. pen., Sez. III, 8 giugno 2016, n.35874, in Diritto & Giustizia 2016, 1° settembre con nota di F. G. Capitani il quale ci ricorda che, perché si giudichi oggettivamente attendibile il dichiarante, occorre che elementi esterni al contenuto dichiarativo ne supportino la verità. Per aversi attendibilità soggettiva, poi, occorre che la persona offesa non abbia prodotto contenuti dichiaratori anche parzialmente artefatti. Sono ammesse incongruenze su elementi accessori e non decisivi ai fini dell'accertamento della verità dei fatti, giustificabili per esempio dalla lontananza dai tempi dei fatti in corso di accertamento. Siffatta seconda verifica assume un carattere più penetrante nella persona offesa che nel caso del semplice testimone).

La sentenza n. 35874/2019, appena ricordata, è qui di particolare interesse poiché ritiene che (proprio) l'art. 392 comma 1-bis c.p.p. costituisca una delle norme processuali da cui trarre argomenti a favore della attendibilità, o meno, della vittima di un reato sessuale, in quanto prevede la possibilità di procedere in ogni caso all'escussione mediante incidente probatorio anche della persona offesa maggiorenne, al di là ed a prescindere dai più rigorosi casi previsti dalla norma al comma 1.

Ancora una volta, però, il nostro quesito di partenza sembra rimanere irrisolto. Un conto infatti è ricercare giurisprudenza sulla valutazione della prova dichiarativa, momento successivo evidentemente alla sua assunzione, e tutt'altra questione (peraltro preliminare) è stabilire la modalità specifica con la quale sentirla.

Altre decisioni della Corte Suprema hanno confermato quello che ho definito “atteggiamento possibilista” quando poc'anzi mi limitavo ad una lettura testuale delle norme processuali di riferimento. Infatti è possibile ritrovare decisioni da cui trarre conferma dell'assunto per cui non sia affatto obbligatorio per il Pm (e gli altri soggetti titolati a farlo) chiedere l'incidente probatorio, sia pur assunte a partire da altri presupposti. Ad esempio, si riscontra come la legge espressamente consenta l'assunzione della deposizione testimoniale della persona offesa, vittima di violenza sessuale, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, pur trattandosi di caso previsto dall'art. 392 c.p.p. Detta testimonianza resta infatti una tipologia di prova suscettibile di essere assunta ai sensi dell'art. 467 c.p.p., "osservando le forme del dibattimento" (Cass. pen., sez. III, 14 novembre 2018, n.1515, in Diritto & Giustizia 2019, 15 gennaio). Ed ancora, in tema di reati sessuali in danno di minori di età, la valutazione giudiziale delle dichiarazioni accusatorie rese dalle vittime degli abusi, che richiede specifiche cognizioni tecniche mediante il ricorso al sapere scientifico esterno, non impone nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la c.d. consulenza personologica nelle forme dell'art. 360 cod. proc. pen. ovvero di richiedere al giudice per le indagini preliminari l'incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall'art. 359 cod. proc. pen., le cui risultanze sono utilizzabili nei riti speciali, ovvero nel giudizio ordinario su accordo tra le parti (Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 2017, n.8541, in CED Cass. pen. 2018).

Il potere discrezionale del Giudice per le indagini preliminari, in tema di incidente probatorio, per converso resta confermato dalle sentenze dove, ad esempio, si ammette che qualora l'adempimento abbia ad oggetto l'esame testimoniale di un minore vittima di abuso sessuale, il giudice possa disporre "ex officio" lo svolgimento di accertamenti peritali aventi ad oggetto la capacità a testimoniare del soggetto esaminando ai sensi dell'art. 196 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 23 marzo 2017, n. 39746, in Cass. Pen. 2018, 2, 500).

Osservazioni

Gli Ermellini procedono a una lettura combinata delle norme internazionali ed interne e ne traggono uno statuto di assunzione della prova in modalità vincolata. Pur pregevole sotto un profilo vittimologico, la massima non convince in termini processual-penalistici. Afferma infatti un primato decisionale in capo al pubblico ministero che non pare essere proprio della figura e della funzione né rispettoso d'altro canto di quella – terza ed imparziale – rivestita dal giudice per le indagini e per l'udienza preliminare. Sviluppando logicamente le conclusioni a cui giungono, dovrebbe trarsi infatti che, mentre il rappresentante della Pubblica Accusa conserverebbe la possibilità di (far) assumere la parte lesa a sommarie informazioni e/o di procedere all'assunzione della sua testimonianza mediante la c.d. audizione protetta – a mio parere anche nell'ipotesi in cui sia la stessa vittima ad invocare l'incidente probatorio – il giudice a cui rivolta un'istanza ex art. 392 comma 1-bis c.p.p. sarebbe obbligato a disporlo tout court, sempre ed in ogni caso, pena l'emissione da parte sua di un provvedimento così gravemente lesivo delle norme in vigore da venir giudicato “abnorme”, ove per ciò si intende una decisione “presa al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite e quindi affetto da c.d. abnormità strutturale” (Cass. pen., Sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307, in Cass. pen. 2008, 6, 2310 con note di Pistorelli e Marinelli), che quindi presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non poter essere inquadrato nello schema normativo processuale.

Oltre che dalle disposizioni pattizie internazionali, già ricordate, la decisione in commento trae questa impostazione anche da quella che, all'epoca della redazione delle motivazioni era solo una proposta di legge, ed ora è entrata in vigore il 9 agosto 2019: la serie di modifiche al codice penale e di procedura e di altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere meglio nota come Codice rosso.

Pur professionalmente (e personalmente) impegnata nella scelta – spesso radicale – di difesa delle vittime di reato, in particolare in ambito endo-familiare, ancora una volta devo dissentire da questo schema assolutistico e coatto. Le norme internazionali mirano ad evitare certamente la vittimizzazione secondaria e, in tal senso, suggeriscono di procedere senza indebito ritardo a sentire la parte lesa e a limitare al minimo il numero delle sue audizioni a quelle strettamente necessarie. Il codice rosso in questo senso ha introdotto la norma (programmatica, come ben specificato in tutti i lavori preparatori) di cui all'art. 362, comma 1-ter, c.p.p. che, per buona parte dei reati già presenti nel catalogo di cui all'art. 393, comma 1-bis, c.p.p. a cui ha aggiunto delitti di nuovo conio come la deformazione dell'aspetto della persona, prescrive al P.M. di assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela, istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato. Solo che a questa regola ha unito due importanti eccezioni, che vanno proprio nel senso opposto rispetto a quello individuato dai giudici che hanno esteso la sentenza n. 34091/2019, ora in commento.

Il nuovo comma 1-ter dell'art. 362 c.p.p. stabilisce espressamente che a detta audizione (nei tre giorni, ma ritengo possa essere considerata programmatica anche in questo senso e quindi estesa anche a momenti procedimentali successivi) può non procedersi se:

  1. Sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni 18 o
  2. Imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa.

È evidente che, anche in questo caso, si lascia al p.m. ampio margine di scelta sulle tempistiche e sulle modalità di ascolto della vittima. Del resto, questa è la ratio delle disposizioni pattizie internazionali e questo deve essere il criterio ermeneutico interpretativo da utilizzare laddove si leggano norme soprattutto di nuova introduzione e di scarso approfondimento giurisprudenziale.

Se nella più recente delle produzioni in tema di violenza di genere e protezione dei soggetti vulnerabili, il legislatore ha evitato automatismi ed ha invitato a coltivare in primo luogo sempre l'interesse della parte lesa, in ciò arrivando a prevedere di postergare la sua audizione, allora non si vede perché debba per converso ritenersi cogente ed obbligatorio procedersi a sentirla con incidente probatorio per il solo fatto che il p.m. ne abbia fatto richiesta.

Ritengo preferibile conservare nella figura del giudice – al quale venga richiesto di procedere con l'anticipazione formale della assunzione della prova – quel complesso decisionale che esiga anzitutto la produzione dei documenti a sostegno dell'istanza ex art. 392 c.p.p., come previsto, e che mantenga la possibilità di respingere l'istanza. Si pensi, per esempio, alla circostanza che risulti in atti una condizione psicologica di particolare patimento e fragilità, a ridosso del fatto delittuoso, che non sia ancora stata trattata a sufficienza nel percorso di sostegno che la legge prevede e che molte strutture – ospedaliere ed associative – offrono alla vittima. Si pensi ad un'indagine per violenza sessuale di gruppo ove non siano ancora stati identificati tutti i partecipanti e per contro la/le parte/i lesa/e non sia (ancora o non più) messa in sicurezza con ricovero in casa rifugio o non benefici di provvedimenti cautelari a protezione. Questi esempi suggeriscono di rinviare l'assunzione della sua testimonianza, eppure il P.M. potrebbe invece optare per la sua audizione formale immediata. Ritengo in definitiva preferibile lasciare al giudice la possibilità di respingere l'istanza.

Nulla quaestio, invece, anzi, ben venga, l'avvenuto superamento del principio di non impugnabilità dell'ordinanza che decide sulla richiesta di incidente probatorio. Quel che mi perplime è la facile previsione che il diritto a ricorrere in Cassazione sia confermato in capo al p.m. ed alla persona sottoposta alle indagini, ma non a beneficio della (difesa della) parte lesa. Traggo questa amara conclusione ancora una volta dalla lettura testuale della norma: se per domandare di essere sentita con incidente probatorio deve passare attraverso il P.M. e non ha potere autonomo di rivolgersi al giudice, potrebbe mai esserle riconosciuto diritto di impugnazione?

La strada per la parificazione dei diritti di indagati, rappresentanti della Pubblica Accusa e parti lese è ancora molto, molto lunga.

Guida all'approfondimento

A. BASSI, C. PARODI, L'incidente probatorio, Officina. Penale e processo, 2011

G. BIONDI, L'incidente probatorio nel processo penale, Giuffrè Francis Lefebvre, 2006

A. MARANDOLA, G. PAVICH, Codice rosso. Officina. Speciale riforma. Giuffrè Francis Lefebvre, 2019

M.S. LEMBO, G. CIANCIOLA, I reati contro donne e minori, Giuffrè Francis Lefebvre, 2012

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