La sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità non rende nulla ab origine la procura

31 Ottobre 2019

la questione che il Giudice di legittimità si trova a dover scrutinare è se la procura alle liti, inizialmente valida per la costituzione del rapporto processuale, sia venuta automaticamente meno ab origine per effetto della successiva caducazione ex lege provocata dalla pronuncia della Corte costituzionale.
Massima

La sopraggiunta declaratoria di incostituzionalità della norma che costituisce il presupposto del rilascio della procura all'avvocatura regionale non è in grado di invalidare ab origine l'attività processuale pregressa.

Il caso

E. D. M. impugna per cassazione la sentenza della Corte d'appello di Napoli, con la quale è stato respinto l'appello avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Napoli a definizione di un giudizio avviato nei confronti dell'Azienda Sanitaria Locale di Napoli 1 Centro (d'ora innanzi, per brevità, A.S.L.) per ottenere il risarcimento del danno morale in relazione a un fatto calunnioso.

Nel corso del giudizio di secondo grado, con sentenza n. 91/2013 del 20- 22 maggio 2013 veniva dichiarata dalla Corte Costituzionale l'incostituzionalità, per contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. - in tema di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni -, della norma di cui all'articolo 29, commi 1 e 2 della legge regionale Campania n. 1/2009, che sanciva la possibilità per gli enti collegati alla regione di conferire mandato alle liti all'avvocatura della Giunta regionale.

Con nuova comparsa di costituzione, l'avvocato R.S. dell'avvocatura regionale, in esecuzione dell'art. 11, comma 8-bis del d.l. 8 aprile 2013, n. 35, aggiunto alla legge di conversione 6 giugno 2013, n. 64, si costituiva di nuovo con procura speciale rilasciata a margine dell'atto, in quanto con legge statale intervenuta successivamente alla pronuncia di incostituzionalità della norma regionale gli uffici regionali erano stati autorizzati ad assumere gratuitamente il patrocinio degli enti dipendenti -tra cui la A.S.L. in questione.

Il ricorso è affidato a un unico motivo con cui si impugna la sola condanna alle spese di giudizio, sul rilievo che il giudice avrebbe dovuto dichiarare la contumacia della A.S.L., appellata risultata vittoriosa, con conseguente declaratoria di irripetibilità delle spese, in ragione dell'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma - art. 29, commi 1 e 2, l.r. Campania n. 1/2009 - che abilitava l'avvocatura regionale ad assumere il patrocinio in giudizio di enti strumentali alla regione, posto che la procura rilasciata al patrocinatore abilitato era venuta meno ab origine senza alcun successivo valido intervento di regolarizzazione da parte del giudice ex art. 182 c.p.c. o della medesima A.S.L. convenuta.

La questione

In estrema sintesi, la questione che il Giudice di legittimità si trova a dover scrutinare è se la procura alle liti, inizialmente valida per la costituzione del rapporto processuale, sia venuta automaticamente meno ab origine per effetto della successiva caducazione ex lege provocata dalla pronuncia della Corte costituzionale e se la situazione de qua, non rilevata dal giudice d'ufficio ex art. 182 c.p.c., possa essersi "sanata" per effetto della nuova e spontanea costituzione dell'avvocatura in forza di nuovo mandato rilasciato dall'ente regionale in base alla legge statale, successivamente emessa, che autorizzava le regioni ad agire nel senso anzidetto.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte risolve il quesito nel senso che la sopraggiunta declaratoria di nullità della norma regionale che costituiva il presupposto del rilascio della procura all'avvocatura regionale non è in grado di invalidare ab origine l'attività processuale pregressa, espletata in forza della procura alle liti rilasciata in base a una legge dichiarata successivamente incostituzionale.

A tale conclusione i Giudici di legittimità pervengono, anzitutto, muovendo dal rilievo, puntualizzato dalla dottrina e giurisprudenza, che la retroattività degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità incontra il limite degli effetti che la stessa legge ha irrevocabilmente prodotto. Ciò in base al ben noto principio secondo cui l'efficacia retroattiva delle pronunce di accoglimento della Corte costituzionale incontra il limite dei "rapporti esauriti": principio, come risaputo, che si ricava dall'art. 30, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87, il quale - determinando gli effetti delle decisioni di accoglimento nei termini di un divieto di applicazione delle norme dichiarate incostituzionali dal giorno successivo alla loro pubblicazione - implica l'esclusione dal loro raggio di azione di tutte quelle situazioni in relazione alle quali le norme censurate non possono trovare applicazione, per l'operare - in base ai comuni principi dell'ordinamento - di una ragione preclusiva, come, ad esempio, il giudicato, la prescrizione, la decadenza (Cass. civ.,sez. I, 18 luglio 2006, n. 16450; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15200).

La stessa Corte costituzionale, nella nota pronuncia dell'11 febbraio 2015, n. 10 che ha inteso affrontare approfonditamente questo tema, ha ribadito che «l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti». Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze Corte cost., n. 49/1970, n. 26/1969, n. 58/1967 e n. 127/1966).

Nel caso concreto, in definitiva, occorre considerare che la procura alle liti rilasciata dalla parte al legale dell'avvocatura regionale non è stata mai formalmente revocata, né il giudice ha preso atto di tale sopravvenuta irregolarità, ma la parte processuale, sulla base della delibera della giunta regionale n. 174/2014 intervenuta in seguito alla pronuncia di incostituzionalità della norma regionale, ha provveduto ad attivarsi producendo nuova procura alle liti in conformità a un provvedimento amministrativo emesso sulla base della normativa - questa volta statale - successivamente emanata per regolamentare la materia.

Orbene, in tale arco di tempo gli effetti processuali che si sono verificati per effetto della procura alle liti si devono ritenere irreversibilmente consolidati.

Difatti, la decisione della Corte costituzionale ha inciso sulla norma regionale che sanciva tale facoltà per gli enti collegati alle regioni, e non sullo ius postulandi.

Diversamente ragionando, verrebbe compresso a posteriori il diritto di difesa esercitato dal difensore della parte, così rappresentata, per contrastare il diritto di azione esercitato dall'attore, pur non essendo stato tale specifico rapporto toccato dalla pronuncia di incostituzionalità che ha riguardato il solo aspetto -formale- della mancanza di una norma primaria che consentisse alla regione di legiferare autonomamente in tale materia incidente sulla professione legale di avvocato.

Ulteriori argomenti a favore della salvezza degli effetti verificatisi irreversibilmente sotto il profilo processuale possono trarsi dall'ordinamento processuale in generale, e in particolare dalle norme processuali che regolano la materia della procura alle liti.

Come è noto, la procura alle liti ex art. 82 c.p.c. costituisce un negozio unilaterale con cui una parte investe il professionista dello ius postulandi e, in quanto tale, esso rimane un negozio di rilievo processuale del tutto autonomo dal contratto di patrocinio, i cui effetti sono circoscritti all'ambito contrattuale (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2011, n. 1419).

La procura alle liti, si dice, «è atto geneticamente sostanziale, con rilevanza processuale, che va interpretato secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto dell'art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c., nel rispetto in particolare del principio di relativa conservazione, in relazione al contesto dell'atto cui accede» (Cass. civ., n. 1419/2011, cit.; Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21924).

Le ricadute di tale principio sul processo sono di rilievo.

La distinzione tra contratto di patrocinio e procura alle liti, infatti, fa sì che l'invalidità del primo non si riverberi necessariamente sulla seconda e, dunque, non privi il difensore dello ius postulandi per la parte che si difende in un giudizio.

La procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è infatti insensibile alla sorte del contratto di patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato; la nullità del contratto di patrocinio, pertanto, non toglie al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2004, n. 13774; Cass. civ., sez. I, 2 settembre 1997, n. 8388).

Il suddetto principio, è anch'esso corollario del più generale principio di conservazione degli effetti degli atti processuali, ricavabile dalla disciplina delle nullità processuali di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c. - riflesso nel novellato art. 182 c.p.c. -, e pertanto il vizio del negozio di patrocinio posto a fondamento dello ius postulandi non è anch'esso in grado di invalidare l'attività processuale svolta dall'avvocato a favore della parte processuale in forza di una procura alle liti non formalmente revocata, equiparabile in tal caso a una particolare ipotesi di negotiorum gestio (in questo senso cfr. anche Cass. civ., Sez. Un., sent., n. 15295/2014). Difatti, in tale caso, ove il negozio di patrocinio è venuto meno a contraddittorio instaurato tra le parti, per regolare il caso de quo vale piuttosto il principio dell'ultrattività del mandato e della sopravvivenza della procura ad litem affermato in caso di morte o perdita di capacità del mandante sino ad esaurimento del grado di giudizio in cui si è determinato il venir meno del negozio di patrocinio (Cass. civ., sez. VI-1, 20 novembre 2017, n. 27530; cfr. Cass. civ., Sez. Un., sent.,4 luglio 2014, n. 15295).

Osservazioni

Due sono le rationes decidendi seguite dai Giudici di legittimità nella decisione del caso.

La prima è quella che si basa sulla teoria dei "rapporti esauriti" come limite all'efficacia retroattiva della sentenza di incostituzionalità.

Tale impostazione è ben salda nella giurisprudenza del Giudice delle leggi.

Infatti, nella sentenza n. 10/2015 – citata nella pronunzia in rassegna – la Corte costituzionale, nel solco tracciato da numerosi precedenti, chiarisce che l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le “situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili” ovvero i “rapporti esauriti”. L'individuazione in concreto del limite alla retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore – rientra nell'ambito dell'ordinaria attività interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970). Inoltre, come il limite dei “rapporti esauriti” ha origine nell'esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto, così ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati. In questi casi, la loro individuazione è ascrivibile all'attività di bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed è, quindi, la Corte costituzionale - e solo essa - ad avere la competenza in proposito.

Del resto, la comparazione con altre Corti costituzionali europee – quali ad esempio quelle austriaca, tedesca, spagnola e portoghese - mostra che il contenimento degli effetti retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche nei giudizi in via incidentale, indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi. Una simile regolazione degli effetti temporali deve ritenersi consentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale.

La seconda ratio decidendi poggia sulla distinzione, ben nota alla giurisprudenza di legittimità, tra contratto di patrocinio e procura alle liti, per cui le vicende dell'uno non interferiscono sull'efficacia dell'altra.

È stato, in proposito, chiaramente affermato che «la procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, rimane insensibile alla sorte del contratto di patrocinio la cui nullità non toglie quindi al difensore lo jus postulandi attribuito con la procura» (Cass. civ., sez. I, 2 settembre 1997, n. 8388).

Il contratto di patrocinio è contratto bilaterale di prestazione d'opera professionale in forza del quale il difensore viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte ed assume così l'incarico di rappresentarla e difenderla in giudizio (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10454; Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2006, n. 13963).

Il contenuto del contratto è determinato dalla natura del rapporto controverso e dal risultato che la parte si propone di conseguire con l'esperire l'azione giudiziaria o con il resistere ad essa (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1979, n. 1392; Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1997, n. 2910; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2003, n. 6264).

Il contratto di patrocinio è disciplinato, per un verso, anche per quanto riguarda la misura dei corrispettivi dovuti al professionista, dalle norme sul contratto d'opera professionale (artt. 2229 ss. c.c.) e dalla normativa in tema di professione forense, e, per altro verso, dalle regole dettate per il mandato, nei limiti della compatibilità. Esso è contratto a forma libera (ma non per la pubblica amministrazione: Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2004, n. 8500) che può essere stipulato anche da un terzo diverso dalla parte rappresentata in giudizio.

In quest'ultimo caso cliente del professionista è colui che ha stipulato il contratto di patrocinio e non il rappresentato, il quale abbia conferito la procura, con l'ulteriore conseguenza che il pagamento del compenso al professionista grava sul primo e non sul secondo (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 1998, n. 6631; Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1967, n. 2880).

La procura alle liti costituisce, invece, un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, ossia dello ius postulandi.

Talora la procura alle liti è definita come «negozio esclusivamente processuale, formale e autonomo, e non estrinsecazione di un mandato extraprocessuale» (Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1979, n. 6113). Più di recente, è stato invece ripetuto che «la procura è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale» (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21924; Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2011, n. 1419).

In breve si può dire che tra patrocinio e procura (processuale) vi è una relazione omologa a quella che in diritto privato intercorre fra mandato e procura (sostanziale).

Riferimenti
  • Comoglio, Procura (diritto processuale civile), in Enc. dir., Aggiornamento IV, Milano, 2000, 1043;
  • Delfino, La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi, Napoli, 1970, 171;
  • Della Pietra, Art. 82, in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1997, 657).
  • Leone, Incidenza delle decisioni della Corte costituzionale nel processo amministrativo
  • Lipari, Orientamenti in tema di effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale,in Giust. civ., 1963, I, 2222 ss., 2251 ss.;
  • Mandrioli, Delle parti e dei difensori, in Comm. c.p.c. diretto da Allorio, I, 2, Torino, 1973;
  • Padula, Gli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sugli atti amministrativi applicativi della legge annullata, in G. Brunelli - A. Pugiotto - P. Veronesi (a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, IV, Dei giudici e della giustizia costituzionale, Napoli, 2009, 1493 ss.

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