Sulla validità del patto traslativo di imposta contenuto in un contratto di locazione

Patrizia Petrelli
06 Novembre 2019

La Corte di Cassazione, in una recente pronuncia resa a Sezioni Unite, ha ritenuto valida la clausola contenuta in un contratto di locazione (segnatamente, ad uso diverso dall'abitazione) con la quale si era attribuito al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, con conseguente manleva del locatore. Nella specie, non si è ravvisata una nullità per violazione di norme imperative, né in particolare per violazione del precetto costituzionale dettato dall'art. 53 Cost. - configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e per conto del primo - qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi, in tal caso, di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge.
Massima

La clausola di un contratto di locazione ad uso diverso dall'abitazione che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativi ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né in particolare per violazione dell'art. 53 Cost., qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge.

Il caso

Una società conduttrice di un immobile adibito ad uso diverso dalla abitazione aveva promosso, nei confronti della società locatrice un giudizio avente ad oggetto la restituzione di quanto alla stessa versato, in forza della clausola contenuta nel contratto di locazione secondo cui per l'intera durata del contratto il conduttore si era fatto carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati e al contratto, con conseguente manleva del locatore.

In particolare, la società conduttrice aveva addotto la nullità di tale clausola per contrasto con gli artt. 53 e 2 Cost., art. 1418 c.c. e artt. 9, 41 e 79,l.n. 392/1978 in quanto veniva a riversare l'onere tributario, relativo a ICI e IMU gravanti sull'immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge. Inoltre, adduceva che la clausola in questione veniva ad addossare al conduttore un onere accessorio violando l'art. 79, l.n. 392/1978, che elenca tassativamente e inderogabilmente gli oneri a carico del conduttore.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea.

La società conduttrice impugnava la sentenza di primo grado e la Corte d'Appello, nel confermare la sentenza di prime cure, riteneva, in ordine all'addotta nullità ex art. 1418, comma 1, c.c., per violazione del precetto inderogabile di cui all'art. 53 Cost., in collegamento con l'art. 2 Cost., la validità della clausola in questione in quanto la stessa non prevedeva un obbligo diretto della conduttrice verso il Fisco di pagamento delle imposte a vario titolo gravanti sull'immobile, ma soltanto che “si faccia carico, nei confronti della locatrice, dei relativi oneri” e non determinava, quindi, una traslazione in capo alla conduttrice delle imposte gravanti sull'immobile a carico della proprietaria/locatrice, ma la mera integrazione del canone di locazione dovuto.

La società conduttrice proponeva ricorso in cassazione affidato a quattro motivi; la società locatrice resisteva con controricorso.

La III Sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 28437 del 28 novembre 2017, trasmetteva gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di verificare se, al di là delle ipotesi in cui vi siano divieti espressi di traslazione da parte di specifiche norme tributarie, l'art. 53 Cost. - che da tempo si ravvisa quale norma di natura imperativa, e quindi come direttamente precettiva - possa ritenersi costituire un limite generale all'autonomia privata - che, ove sussistente, sarebbe presidiato dalla sanzione della nullità - in relazione ad un accordo esplicito di traslazione di imposta patrimoniale posto in un contratto di locazione ad uso non abitativo.

La questione

La questione rimessa alle Sezioni Unite nella presente fattispecie era di accertare la validità o meno della clausola di un contratto di locazione che attribuisca al conduttore di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendo conseguentemente manlevato il locatore.

Le soluzioni giuridiche

Le doglianze sono state ritenute infondate sulla base delle seguenti considerazioni.

Le Sezioni Unite mettono in luce come la risoluzione della questione di diritto posta involge la più ampia problematica se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva sancito dall'art. 53 Cost., la cui natura è stata da tempo riconosciuta come imperativa, e, quindi, come direttamente precettiva, costituisca un limite all'autonomia negoziale privata in ordine all'individuazione del soggetto passivo dell'imposta e se, quindi, detto obbligo abbia un significato esclusivamente oggettivo - nel senso di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva - oppure anche soggettivo - nel senso che l'adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo - escludendosi, pertanto, il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso.

La Suprema Corte rileva preliminarmente come, nella presente fattispecie, la clausola in questione non riguarda le imposte dirette gravanti sulla locatrice, che, invece, avevano costituito oggetto dei casi esaminati da precedenti decisioni delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 5 gennaio 1985, n. 5 e Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6445), richiamate dal ricorrente a sostegno dell'invalidità della clausola de qua, ma le imposte gravanti sull'immobile e inerenti il contratto stipulato.

In particolare, trattandosi di un contratto di locazione stipulato nel 2003, vengono in rilievo l'ICI, introdotta a decorrere dal 1993, poi sostituita a decorrere dall'aprile 2012 dall'IMU (d.lgs. n. 23/2011), le cui normative non contemplano alcuna specifica sanzione di nullità dei patti traslativi degli oneri tributari, diversamente da quanto previsto da altre disposizioni normative: così, ad es., l'INVIM, istituita con d.p.r. n. 643/1972 (in particolare, quella decennale ex art. 3, comma 1, il cui art. 27 prevedeva la nullità di “qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta”, disposizione interpretata nel senso che la sanzione della nullità valeva non solo per il rapporto con l'amministrazione finanziaria ma anche per quello tra i contraenti, attesa l'inderogabilità del presupposto soggettivo del tributo, rappresentato dal godimento della plusvalenza immobiliare.

Le Sezioni Unite osservano, inoltre, che la questione relativa al patto traslativo d'imposta, non espressamente vietato da specifiche norme di legge, è estranea alla disciplina europea, attenendo alla sola disciplina interna, come, peraltro, precisato da diverse decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte di Giustizia UE, 16 gennaio 2014, causa C226/12; Corte di Giustizia UE, 6 novembre 2001, causa C-398/09; Corte di Giustizia UE, 21 febbraio 2006, causa C-255/02), che hanno ritenuto tale patto di per sé non in contrasto con la normativa europea, potendo, invece, assumere rilievo in caso di violazione di altri principi o norme, come ad esempio nell'ipotesi in cui esso determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri l'abuso del diritto.

Fatte queste opportune e preliminari precisazioni, la Corte di Cassazione evidenzia come, in tema di traslazione di imposta, si siano fronteggiati due orientamenti entrambi del 1985 ed aventi ad oggetto clausole contenute in un contratto di mutuo che prevedevano la traslazione delle imposte dirette dal soggetto obbligato ad altro soggetto.

Con una prima decisione (Cass. civ., sez. un., 5 gennaio 1985, n. 5) si era dichiarata nulla - sia ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c. che per contrasto con l'art. 53 Cost. - la clausola con la quale - sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti - era stata convenuta l'imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante fosse tenuto a versare all'erario (nel caso, per IRPEG ed ILOR) in ragione dello stipulato contratto, atteso il valore vincolante del principio del concorso di tutti alle spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva fissato dall'art. 53 Cost., che si traduce nel divieto inderogabile per il debitore d'imposta - sia diretta che indiretta - di riversare il relativo onere su un altro soggetto e, quindi, su un patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale, venendo in tal modo a considerare in termini generali "vietato e nullo qualunque patto con il quale un soggetto, ancorchè senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e dal c.d. contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta".

Con la seconda pronuncia (Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6445), invece, i giudici, pur partendo da considerazioni analoghe a quelle assunte nella prima decisione sul valore e la portata dell'art. 53 Cost., giungono a conclusione opposta ritenendo che il patto traslativo di imposta è nullo per illiceità della causa, contraria all'ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito, come nell'ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicchè effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente e non anche nel caso in cui l'imposta è stata regolarmente pagata dal contribuente al fisco, cioè quando l'obbligazione di cui si stipula l'accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente, ma riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale.

Tra questi due orientamenti, le Sezioni Unite hanno dato continuità giuridica al secondo orientamento, peraltro, condiviso dalla dottrina maggioritaria e da gran parte delle Sezioni della Corte di Cassazione, venendo a costituire principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità.

La Corte ha, quindi, precisato che la clausola de qua è stata correttamente interpretata dai giudici di secondo grado sulla base dei principi posti a fondamento del consolidato orientamento giurisprudenziale, laddove è stata intesa come prevedente un'ulteriore voce o componente (la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinare l'ammontare complessivo dovuto, a tale titolo, da parte conduttrice.

Del resto, il regime vincolistico in tema di locazioni ad uso diverso dall'abitazione riguarda solo la durata del contratto, la tutela dell'avviamento e la prelazione, mentre l'ammontare del canone locativo è lasciato alla libera determinazione delle parti, che possono ben prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori, rientrando, pertanto, nell'autonomia contrattuale determinare il canone in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale e l'altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione relativa agli oneri tributari.

Nella specie, la clausola in contestazione non prevedeva un obbligo diretto del conduttore di provvedere al pagamento delle imposte gravanti sull'immobile ma solo di farsi carico di detti oneri tributari, manlevando il locatore, laddove il verbo “manlevare” doveva essere inteso, alla stregua del complessivo tenore del contratto, nel senso di “operare un rimborso” o “una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore”; peraltro la stessa previsione della “fatturazione del rimborso degli oneri per imposte” era coerente con la natura di rimborso di tale componente del canone.

Inoltre, le Sezioni Unite hanno escluso una violazione dell'art. 79, l. n. 392/1978, in quanto, trattandosi di canone di locazione ab origine realmente pattuito, non poteva trovare applicazione il principio affermato dalle stesse Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2017, n. 23601), secondo cui è insanabilmente nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, a prescindere dall'avvenuta registrazione.

Osservazioni

La decisione che si commenta involge la problematica attinente la validità dei patti di traslazione di imposta.

In proposito, viene in rilievo l'art. 53 Cost. che fissa, con una disposizione considerata di natura precettiva, il principio della capacità contributiva secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

La disposizione costituzionale, assolvendo ad una funzione solidaristica, garantisce, quindi, la partecipazione alle spese pubbliche dei singoli che pongano in essere manifestazioni economicamente valutabili.

Ne deriva che soggetto passivo del tributo è colui in capo al quale, per legge, si realizza il depauperamento determinato dal pagamento del tributo; tuttavia può accadere che il soggetto tenuto ex lege al pagamento del tributo trasferisca il relativo onere fiscale ad un altro soggetto.

In tal caso si assiste ad una traslazione economica del tributo con cui - il più delle volte attraverso la determinazione di un prezzo in un rapporto di scambio - l'onere del tributo si traferisce, totalmente o parzialmente, dal soggetto passivo (contribuente di diritto c.d. percosso) ad un soggetto terzo estraneo al presupposto (contribuente di fatto c.d. inciso).

Nell'àmbito del concetto di traslazione economica, viene in rilievo la traslazione di fatto attraverso la quale, il tributo posto a carico del soggetto passivo viene a gravare, in forza di patti contrattuali, su un altro soggetto.

Dalla traslazione di fatto occorre tenere distinte, da un lato, la traslazione di diritto che si ha nella rivalsa - meccanismo che consente al sostituto o al responsabile d'imposta (titolari dell'obbligo di versamento) di recuperare dal soggetto passivo che realizza il presupposto dell'imposizione le somme pagate o da pagare all'erario e, dall'altro, i patti di accollo di imposta vale a dire quegli accordi (solitamente formalizzati attraverso clausole contrattuali) con cui il contribuente di diritto trasferisce ad altri il proprio debito d'imposta, ammesso dalla legge purché, come prevede l'art. 8, comma 2, l.n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il contribuente originario non sia liberato.

Si ritiene che i patti di accollo non violano il principio di capacità contributiva previsto dall'art. 53 Cost. in quanto tale disposizione regola il rapporto verticale tra legislatore e contribuenti, non anche i rapporti orizzontali tra gli stessi contribuenti. In altri termini i patti di accollo, non liberando il debitore/contribuente originario, non incidono sul meccanismo dell'imposta, ma considerano l'imposta come un elemento che concorre a determinare effetti di diritto privato.

Diverso è il caso dei patti con cui tout court si stabilisce che l'obbligazione tributaria venga a gravare su un soggetto diverso dal contribuente.

In questa ipotesi, si tratta di verificare se tali patti possano determinare una violazione del principio di capacità contributiva o meglio se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva, costituisca un limite all'autonomia negoziale privata in ordine all'individuazione del soggetto passivo dell'imposta e se, quindi, detto obbligo abbia un significato esclusivamente oggettivo oppure anche soggettivo, escludendosi, in questo caso, il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso.

Può, quindi, l'autonomia negoziale incidere sull'individuazione del soggetto passivo di un tributo, neutralizzando gli effetti del principio di capacità contributiva?

Nel caso sottoposto all'esame delle Sezioni Unite, si trattava di stabilire la liceità di una clausola contenuta in un contratto di locazione ad uso diverso dall'abitazione con la quale si era convenuto che, nel corso dell'intera durata del contratto, il conduttore si sarebbe fatto carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, con conseguente manleva del locatore.

A fronte di due orientamenti resi entrambi in tema di mutuo fondiario, uno che si era espresso per la nullità diqualunque patto con il quale un soggetto, anche senza effetti nei confronti dell'Erario, avesse riversato su altro soggetto, il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta, e l'altro che aveva limitato la sanzione della nullità al solo patto traslativo di imposta con cui effettivamente l'imposta non fosse stata corrisposta al fisco dal percettore del reddito, ritenendo, invece, valido il patto con cui l'imposta fosse stata regolarmente pagata dal contribuente al Fisco, venendo, così, ad integrare il “prezzo” della prestazione negoziale, le Sezioni Unite aderiscono a quest'ultimo, consolidando l'orientamento giurisprudenziale maggiormente possibilista.

Viene, quindi, confermata la sentenza della corte di merito che aveva interpretato la clausola di “traslazione dei tributi” come un'ulteriore voce o componente (la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l'ammontare complessivo dovuto, a tale titolo, dalla conduttrice, facendo propri i principi affermati dalle Sezioni Unite con il secondo orientamento sopra richiamato.

Nel caso all'esame della sentenza che si annota, analogamente a quello deciso dalle Sezioni Unite del 1985 (Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6445), la clausola in questione non aveva ad oggetto una traslazione dell'imposta dal contribuente/soggetto passivo di imposta ad altro soggetto nei confronti del fisco ma un'obbligazione di manlevare/rimborsare il locatore di quanto egli avesse assolto per i tributi di ICI ed IMU: in altri termini si trattava di una clausola diretta ad integrare il corrispettivo della locazione costituito non soltanto dal canone ma anche degli oneri indiretti scaturenti dal contratto, rientrando, pertanto, nel sinallagma contrattuale.

Clausola lecita alla luce del principio della capacità contributiva sancito dall'art. 53 Cost. perché il percettore del reddito (locatore) corrisponde egli stesso, con sacrificio del proprio patrimonio, le imposte dovute, realizzando con la clausola de qua, non una traslazione dell'imposta al locatario nei confronti del creditore di imposta ma una traslazione convenzionale del carico di imposta, che non è in contrasto con il suddetto precetto costituzionale, trattandosi di un onere accessorio di diretta imputazione al contratto di locazione.

La soluzione accolta si giustifica dal momento che l'art. 53 Cost., se, da un lato, mira ad assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto dotato di adeguata capacità contributiva, dall'altro, si disinteressa dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera la ricchezza in misura corrispondente, essendo solo necessario, per evitare la sanzione di nullità del patto traslativo, che l'obbligazione tributaria sia non solo oggettivamente soddisfatta verso il fisco, ma anche che sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla.

Si ammette, quindi, alle condizioni sopra indicate, il principio di indifferenza della traslazione, a meno che non vi sia uno specifico divieto normativo o quando il patto traslativo possa celare l'intento di frodare la norma fiscale, neutralizzando il principio di capacità contributiva.

Del resto, è indubbio che possa esservi il rischio che, in materia fiscale, gli accordi frutto dell'autonomia negoziale possano concretizzarsi in un aggiramento delle norme impositive al fine di ottenere un indebito risparmio fiscale, realizzando così il fenomeno dell'elusione fiscale o abuso del diritto, anche in considerazione che non è stato per nulla esaminato, nel caso di specie, l'aspetto dell'eventuale illegittimità, sotto il profilo dell'elusione fiscale, della “rifatturazione” dell'ICI-IMU dal locatore al conduttore, effettuata dalla locatrice indicando le predette imposte “in nome e per conto” ex art. 15 del decreto IVA e, quindi, senza applicazione dell'IVA.

Guida all'approfondimento

Monegat, Ici e Imu a carico del conduttore nell'uso diverso: con apposita clausola si può, in Immobili & proprietà, 2019, fasc. 4, 257

Rizzuti, Accordi di traslazione fiscale e contratto di locazione, in Corr. giur., 2018, fasc. 4, 478

Russo, È valida la clausola che pone a carico del conduttore le imposte relative all'immobile locato, in www.ildiritto.it

Servidio, Lecita la clausola che pone imposte e tasse all'immobile locato a carico del locatario, in Aziendaitalia, 2019, fasc. 5, 119

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