Nomina del coordinatore genitoriale quando l'elevato conflitto rischia di creare un pregiudizio per il minore

Carla Loda
06 Novembre 2019

Il Tribunale, considerato il difficile rapporto della coppia genitoriale, ritiene di nominare un professionista con funzioni di mediatore/assistente del giudice che supporti le parti ogni qualvolta si verifichino situazioni di contrasto nell'adozione di decisioni che riguardano il figlio minore e la gestione familiare.
Massima

Il Tribunale, considerato il difficile rapporto della coppia genitoriale, ritiene di nominare un professionista con funzioni di mediatore/assistente del giudice che supporti le parti ogni qualvolta si verifichino situazioni di contrasto nell'adozione di decisioni che riguardano il figlio minore e la gestione familiare.

Il caso

In un procedimento avente ad oggetto l'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del minore nato fuori dal matrimonio si evidenzia un perdurante contrasto fra i genitori in ordine all'assunzione delle scelte nell'interesse del figlio; il Tribunale decide di intervenire non solo adottando provvedimenti relativi alle frequentazioni fra il minore e il genitore non collocatario, ma altresì nominando un professionista -definito «coordinatore familiare/assistente del Giudice»- a cui i genitori dovranno rivolgersi in caso di contrasto e che avrà il compito di favorire «per quanto è possibile una mediazione e il superamento del conflitto». Il coordinatore viene inoltre autorizzato dal Tribunale a decidere le scelte più opportune nell'interesse del figlio minore, anche senza l'accordo dei genitori, a meno che non reputi preferibile «investire il Tribunale del conflitto». Il coordinatore viene nominato «per la durata di anni uno».

La questione

La questione in esame ha ad oggetto i rimedi che l'autorità giudiziaria può approntare affinché il conflitto genitoriale non si risolva in un pregiudizio per la crescita sana ed equilibrata di un minore i cui genitori, incapaci di elaborare la fine del loro rapporto di coppia, non paiono in grado di anteporre i bisogni del figlio alle dinamiche conflittuali che si sono instaurate fra loro.

Le soluzioni giuridiche

Dalla lettura del provvedimento emerge l'esistenza di «un difficile rapporto nella coppia genitoriale», posto che «ogni questione di interesse del minore sembra scatenare un contrasto che non si riconduce alla tutela degli interessi del piccolo ma piuttosto all'assenza di una seria maturazione in ciascun genitore della fine del loro rapporto di coppia». Da qui l'esigenza, ravvisata dal Collegio, di individuare un soggetto terzo che «in qualità di assistente del Giudice» possa svolgere una funzione di supporto dei genitori «ogni qualvolta si verifichino situazioni di contrasto nella gestione familiare».

Si tratta, per quanto consta, del primo provvedimento di nomina di un coordinatore familiare adottato dal Tribunale di Pordenone il quale va così ad infoltire il novero dei Giudici che hanno optato per il ricorso a tale nuova figura (Trib. Civitavecchia 20 maggio 2015; Trib. Milano 29 luglio 2016, Trib. Mantova 5 maggio 2017).

Il coordinatore genitoriale incaricato dovrà favorire «...per quanto è possibile una mediazione e il superamento del conflitto», ma nel caso in cui «...i genitori non pervenissero ad un accordo, il coordinatore è autorizzato dal Tribunale a decidere le scelte più opportune nell'interesse... [del minore] anche senza l'accordo dei genitori». Il Tribunale è dunque esplicito nell'attribuire al coordinatore, sia pure come extrema ratio, una potestà decisionale in relazione all'adozione delle «scelte più opportune» che pertanto potrebbero non limitarsi ad un'opzione all'interno delle possibili soluzioni prospettate dai genitori, ma potrebbero anche consistere in opzioni differenti qualora ritenute «più opportune» e confacenti per il minore. In alternativa il coordinatore familiare è espressamente autorizzato ad «investire il Tribunale del conflitto» nel caso in cui ritenesse preferibile rimettere la soluzione della controversia all'Autorità Giudiziaria.

Va notato che dal testo del decreto del Tribunale di Pordenone non risulta un preventivo assenso delle parti alla nomina del coordinatore familiare, al quale in caso di disaccordo i genitori “dovranno rivolgersi”.

Nel provvedimento de quo viene affrontato anche il tema del compenso del professionista: «il coordinatore presenterà con scadenza semestrale al Giudice tutelare la parcella per essere remunerato per le prestazioni effettuate». È evidente che la parcella dovrà contenere, sia pur in forma sommaria, l'indicazione dell'attività svolta dal professionista incaricato la qual cosa costituirà un'occasione per un periodico “monitoraggio” della situazione. Il Tribunale precisa da ultimo che la somma come sopra liquidata dal Giudice tutelare verrà ripartita fra i genitori in rapporto alle rispettive disponibilità economiche.

Indubbiamente il provvedimento del Tribunale di Pordenone tenta di realizzare un bilanciamento (invero spesso non facile) fra l'esigenza di costruire uno strumento agile ed utile a sostegno della genitorialità e la necessità di predefinirne i termini di intervento.

Osservazioni

La coordinazione genitoriale è un metodo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sul minore. La figura del coordinatore genitoriale nasce negli anni ‘80 negli USA al fine di contenere l'alta conflittualità genitoriale e con la preminente funzione di tutelare i minori dal pregiudizio che possono subire a causa di reiterati ed accesi conflitti che riguardano la gestione della genitorialità fra genitori separati. In questi termini il metodo sta iniziando a diffondersi anche in Italia.

Va innanzitutto rilevato che l'esigenza di tutela dei figli minori costituisce un necessario presupposto per la configurabilità del coordinatore familiare, cosicché ove tale esigenza non fosse riscontrata - ovvero laddove la conflittualità non fosse da qualificarsi come elevata - si resterebbe al di fuori del perimetro di riferimento. In secondo luogo è evidente che la nomina di un coordinatore genitoriale avrà ragion d'essere solo all'interno di un regime di affidamento dei figli in forma condivisa.

I professionisti che intervengono a vario titolo nelle dinamiche separative riferiscono che i metodi sperimentati sino ad ora per contenere l'elevata conflittualità genitoriale non sono in grado di produrre risultati duraturi e che i percorsi di supporto alla genitorialità spesso richiedono tempi non compatibili con le esigenze quotidiane della vita dei bambini.

La coordinazione genitoriale si fonda sul principio che le situazioni di alta conflittualità richiedono interventi coordinati di contenimento del conflitto e che il supporto ai genitori deve concentrarsi sull'acquisizione della consapevolezza di quanto possono essere disfunzionali i loro rapporti.

Nell'ambito delle coppie altamente conflittuali spesso una seria difficoltà si presenta quando deve essere data attuazione alle decisioni. Il coordinatore genitoriale interviene appunto al fine di far rispettare le decisioni già assunte (o concordate) cercando di limitare il più possibile l'esposizione dei bambini al conflitto. La coordinazione genitoriale può dunque essere attivata solo se già esistono decisioni relative al regime affidamento ed ai tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore (anche se si tratta di decisioni provvisorie). Il professionista si occupa di tutte le questioni che riguardano la vita dei bambini e l'organizzazione dei genitori rispetto ai figli, accompagnando i genitori ad assumere decisioni nonostante il conflitto e concordando con loro le modalità di verifica dell'attuazione di tali decisioni.

Il coordinatore genitoriale - soggetto terzo ed imparziale in possesso di determinate conoscenza tecniche - interviene per un periodo di tempo predeterminato (solitamente da uno a due anni) per aiutare i genitori altamente conflittuali a mettere in pratica la bigenitorialità attraverso l'implementazione ed il mantenimento delle decisioni dell'autorità giudiziaria (e di quelle che eventualmente saranno assunte all'interno del processo di coordinazione genitoriale sulla base del riconoscimento dei bisogni dei minori). Inoltre il coordinatore genitoriale, previo consenso dei genitori, potrà suggerire soluzioni, fornire raccomandazioni e, nei limiti del mandato ricevuto, assumere decisioni nell'interesse dei figli.

Si tratta di una figura le cui funzioni specifiche non sono predeterminate in astratto, ma vengono individuate di volta in volta in funzione delle particolari caratteristiche ed esigenze del nucleo familiare. L'incarico al professionista può inoltre individuare in modo più particolareggiato uno specifico tema sul quale dovrà focalizzarsi l'attenzione del coordinatore genitoriale, corrispondente alle concrete questioni sulle quali si è già riscontrata o si preannuncia imminente la conflittualità fra i genitori (scelte di tipo scolastico o sanitario, modalità delle visite del genitore non collocatario, etc.).

L'aspetto più controverso e delicato dell'attività del coordinatore (nonché il fattore che lo contraddistingue da altre figure quali il mediatore familiare o il c.t.u.) è costituita dalla frequente attribuzione, sia pure entro un ambito predeterminato e circoscritto, di funzioni decisionali: in presenza di un disaccordo fra i genitori su una specifica questione, il coordinatore genitoriale si adopera per far loro superare il conflitto in atto e per il raggiungimento di una soluzione concordata, ma alla fine, se il contrasto risulta incomponibile (e rientra nel settore del suo autorizzato intervento diretto), è egli stesso a decidere, optando per la scelta che reputa maggiormente conforme all'interesse del minore.

Uno dei più rilevanti quesiti che si pongono al proposito è se il coordinatore derivi tale potestà decisionale dalla volontà dei genitori, che hanno provveduto a tale nomina, oppure dal giudice che gli ha conferito l'incarico (e quindi se nel momento della decisione stia esercitando una frazione della giurisdizione).

È evidente che il riconoscimento di funzioni decisorie al coordinatore familiare pone una questione di compatibilità con alcune norme della Costituzione tra cui, in particolare, l'art. 25 comma 1 («Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge») e l'art. 102 comma 1 («La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari...»).

Parte della dottrina ritiene che la predeterminazione dell'ambito di intervento del coordinatore, la fissazione di un termine finale allo svolgimento delle sue funzioni e la possibilità per le parti - generalmente non menzionata nei provvedimenti di nomina ma da ritenersi implicita nel carattere “ausiliario” della figura - di rivolgersi comunque al giudice in caso di inerzia o di contestazioni, il tutto all'interno di una finalità generale di tutela dei minori, anch'essa di preminente rango costituzionale (artt. 30 e 31 Cost.), consentono di superare i dubbi sulla legittimità dei provvedimenti di nomina. In tale prospettiva il consenso dei genitori avrebbe il valore di un presupposto per la “delegabilità” di funzioni - nell'ambito predeterminato e circoscritto indicato nel provvedimento di nomina - dal giudice al professionista incaricato.

Questione di non poco conto si pone poi in relazione alla possibilità che il Tribunale assegna al coordinatore “di investire il Tribunale del conflitto” posto che non viene chiarito con quali strumenti il professionista potrebbe adire il giudice né in base a quale norma sia legittimato ad agire. Una soluzione potrebbe rinvenirsi laddove si riconosca all'intervento del G.T. una sorta di “monitoraggio” della situazione, da attuare nel momento in cui il professionista presenta, con scadenza semestrale, la propria parcella per la liquidazione. Sul punto sarebbe però oltremodo opportuno sgombrare il campo da incertezze che potrebbero ostacolare il funzionamento del metodo.

Il compenso del coordinatore genitoriale è un'altra questione di sicuro interesse. È indubbio che il professionista incaricato abbia diritto di ricevere un compenso per la sua attività, il cui pagamento farà carico ai genitori interessati, tenuti a provvedervi mediante una ripartizione che potrà avvenire in via paritetica (50% ciascuno) oppure rapportata alla rispettiva capacità economica. L'intervento del coordinatore si traduce pertanto in un aumento dei costi complessivi del procedimento, la qual cosa potrebbe comportare una disparità di trattamento fra coppie che possono accedere alla coordinazione genitoriale e coppie che invece non ne hanno i mezzi. Per ovviare a tale inconveniente è stato ipotizzato il ricorso a coordinatori nominati anche fra il personale dei servizi sociali/consultoriali disponibili ad attivarsi gratuitamente oppure – de iure condendo – l'inserimento dell'attività del coordinatore fra quelle rientranti nell'operatività del patrocinio a spese dello Stato. Qualche incertezza si registra altresì sull'individuazione dei parametri per il compenso e sulla necessità o meno di un provvedimento di liquidazione da parte del Giudice, tutte questioni che, in attesa di un chiarimento in via generale, sarebbe bene venissero esplicitamente risolte, sia pure caso per caso, in sede di conferimento dell'incarico.

In conclusione va senza dubbio evidenziato che la coordinazione genitoriale quale metodo ADR (Alternative Dispute Resolution) andrebbe collocata fuori dal processo (pur potendo accadere che il metodo venga attivato in pendenza di un procedimento giudiziario sulla base della scelta dei genitori, coadiuvati dai propri avvocati; nulla osta, inoltre, ad una nomina contemplata nel contesto di un accordo di negoziazione assistita ex art. 6 d.l. n. 132/2014). I professionisti esperti di questo metodo evidenziano comunque come la scelta del metodo e del professionista rivesta un aspetto determinante ai fini dell'esito positivo dell'intervento.

In effetti la netta distinzione fra processo e coordinazione genitoriale appare come una diretta conseguenza della configurazione della coordinazione genitoriale come metodo che si fonda sull'imparzialità del professionista e sulla responsabilizzazione dei genitori. A questo proposito è lecito chiedersi perché il coordinatore genitoriale dovrebbe trarre la propria legittimazione dalla nomina del giudice - come ad esempio avviene per il CTU - e non dal consenso informato delle parti a svolgere un intervento che ha come finalità il recupero della capacità di condividere la responsabilità genitoriale.

Inoltre non si può dimenticare che la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che «la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l'imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari» (Cass. civ. n. 13506/2015). Ed ancora «la prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione».

Sarà dall'ulteriore sviluppo dei contributi dottrinali e giurisprudenziali sul punto che potrà pervenirsi ad un corretto inquadramento del metodo, ma può fin d'ora rilevarsi che l'autorità giudiziaria dovrebbe valorizzare i tentativi delle parti di gestire in modo differente il loro conflitto - con l'intervento di un professionista privato o mediante l'accesso al servizio sociale - ma, in ogni caso, con la consapevolezza che ciò deve avvenire al di fuori dell'attività giurisdizionale.

Guida all'approfondimento

E. Giudice, S. Francavilla, F Pisano, La Coordinazione Genitoriale in Italia. Dialogo tra teoria e pratica, Milano, 2018.

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