Applicazione dell'istituto della tenuità del fatto nei reati tributari e riflessi sul parallelo procedimento tributario

Sara Mecca
06 Novembre 2019

L'ordinamento penale prevede la possibilità di non applicare alcuna pena nel caso in cui siano commessi dei reati ritenuti di “particolare tenuità”, i quali cioè non abbiano causato conseguenze dannose rilevanti.L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto può essere applicato anche ai reati tributari che rientrano nei limiti di pena stabiliti dalla normativa (pena pecuniaria e/o pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni), in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 131-bis del Codice penale.Occorre, tuttavia, sempre prestare attenzione agli effetti che l'istituto penalistico potrebbe di riflesso avere in un eventuale e parallelo procedimento tributario pendente, dal momento che la non punibilità per particolare tenuità del fatto implica in concreto un accertamento sull'esistenza della condotta contestata.
Istituto della tenuità del fatto nel processo penale

Il D.Lgs. n. 28/2015 ha introdotto nel Codice penale l'art. 131-bis, rubricato “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.

L'istituto, già conosciuto nell'ordinamento minorile ed in quello relativo alla competenza penale del giudice di pace, è stato così esteso anche al sistema penale comune, così come da tempo era stato prospettato da parte della dottrina penalistica.

La disposizione prevede che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

I criteri sui quali deve incardinarsi il giudizio di “particolare tenuità del fatto” sono cosi due:

  • la tenuità dell'offesa, che implica una valutazione sulle modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo;
  • la non abitualità del comportamento dell'autore.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate (si pensi, ad esempio, all'omessa dichiarazione per più periodi di imposta).

Si tratta, in sintesi, di un istituto creato per rispondere all'esigenza di diminuire la mole di procedimenti pendenti, eliminando quelli che hanno ad oggetto casi obiettivamente di non rilevante entità, caratterizzati cioè da una non elevata espressione di pericolosità sociale e che hanno comportato conseguenze lievi o tenui, come appunto le ipotesi nelle quali si riscontrano le circostanze suindicate.

Applicazione dell'istituto ai reati tributari

L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto può essere applicato anche ai reati tributari, previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, che rientrano nei limiti di pena stabiliti dalla normativa (pena pecuniaria e/o pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni).

Si tratta, in sostanza, dei reati di:

  • dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5), puniti rispettivamente con la reclusione da uno a tre anni e con la reclusione da 18 mesi a quattro anni;
  • omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis) e di Iva (art. 10-ter), entrambi puniti con la reclusione da sei mesi a due anni;
  • indebita compensazione con crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1), punito con la reclusione da sei mesi a due anni;
  • ipotesi non aggravata di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11), punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Restano invece esclusi dall'ambito di applicazione dell'istituto i reati di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3), emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione di documenti contabili, indebita compensazione con crediti inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte nell'ipotesi aggravata. Si tratta, infatti, di fattispecie delittuose tutte punite con pene più elevate che non rientrano nel limite edittale previsto dalla normativa sulla particolare tenuità del fatto.

Sono, verosimilmente, i reati di omesso versamento quelli a cui si applica maggiormente la “nuova” causa di non punibilità. Si tratta, infatti, di condotte non connotate da fraudolenza, né di sovente da intento evasivo, considerando che il soggetto ha lui stesso dichiarato o certificato somme che poi non versa, spesso in virtù di problemi di liquidità. Pertanto, soprattutto in presenza di una documentata crisi di liquidità, il contribuente/imputato potrà beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Nel concreto, spetta in ogni caso al Giudice valutare la sussistenza degli altri presupposti richiesti per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p.: quindi, ad esempio, che l'imputato (o indagato) non sia un evasore abituale, oppure che il soggetto non abbia commesso più reati della stessa indole, anche di particolare tenuità. Per ciò che concerne la tenuità dell'offesa, i giudici potrebbero valutare l'entità dell'imposta evasa la quale si potrebbe collocare di poco sopra la soglia di rilevanza penale. O ancora potrebbe essere valutato il grado del dolo, o la personalità del soggetto (se l'indagato o imputato è incensurato o meno).

Invece, con riferimento alla abitualità della condotta o alla commissione di reati della stessa indole, verosimilmente non potrà ricorrersi all'istituto qualora un contribuente abbia commesso il reato per più periodi di imposta, anche se di importi poco rilevanti. Si pensi, ad esempio, ad una dichiarazione infedele commessa per gli anni 2017 e 2018, con un'imposta evasa per ciascun anno di poco superiore a 150.000 euro (soglia di punibilità per i reati di dichiarazione infedele commessi a partire dal 22.10.2015). È evidente che in questo caso, se pur la condotta potrebbe astrattamente considerarsi di particolare tenuità, il giudice sarà restio all'applicazione dell'istituto poiché siamo in presenza di più reati della stessa indole.

Interpretazioni giurisprudenziali sull'applicazione dell'istituto ai reati tributari

In sede applicativa della norma agli illeciti fiscali non vi è stata inizialmente, in seno alla giurisprudenza, alcuna uniformità.

In una prima fase, il prevalente orientamento di legittimità (Cass. Civ., n. 14961/2015) escludeva l'applicabilità dell'istituto ai reati tributari, in virtù della particolare struttura di tali illeciti i quali si caratterizzano per una serie di soglie di imposta evasa dalle quali dipende la rilevanza penale o meno del fatto. Pertanto, secondo i giudici, il criterio della punibilità per tale tipologia di reati era già stato predeterminato dal legislatore, che aveva stabilito il limite al di sotto della quale la condotta non è rilevante in ambito penale.

Così, la previsione di un apposito istituto premiale risultava essere inutile e superfluo, poiché andava a sovrapporsi ad una scelta già effettuata e con la quale non poteva entrare in conflitto: una volta individuato un importo rappresentativo della tenuità del fatto, in concreto, si sarebbe innalzata la soglia penale prevista per legge.

Successivamente un intervento delle Sezioni unite (SS.UU. n. 13681/16), aveva chiarito che, in astratto, non risulta incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la presenza di soglie di punibilità all'interno della fattispecie tipica, specificando tuttavia che quanto più ci si allontana dal valore-soglia, tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non particolarmente tenue.

Gli orientamenti più recenti (si veda ad esempio Cass. Civ., nn. 39413/2018, 53639/2018, 18804/2019) hanno invece aderito al tenore letterale della norma che non esclude l'applicabilità in ambito tributario. Così la non punibilità per particolare tenuità del fatto può riguardare, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dall'art. 131-bis del c.p., ogni fattispecie criminosa, non essendo tale causa, in via di principio, incompatibile con la fissazione da parte del legislatore di soglie di punibilità̀ all'interno della fattispecie tipica.

Conseguenze dell'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto sul parallelo procedimento tributario

Si è giunti, quindi, alla conclusione che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto può, in presenza di tutte le condizioni previste dalla norma, essere applicata ai reati tributari.

Tuttavia, la difesa del contribuente/indagato o imputato, prima di chiederne l'applicazione nel giudizio penale, dovrebbe valutare concretamente le conseguenze – sia dal lato penale che nel parallelo procedimento tributario – dell'applicazione dell'istituto.

Il proscioglimento del soggetto imputato per particolare tenuità del fatto, con sentenza irrevocabile, non comporta infatti una piena assoluzione: ciò significa, in sintesi, che tale sentenza avrà efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento. La parte offesa potrà dunque ottenere il proprio risarcimento in sede civile/amministrativa.

È evidente che ottenere una sentenza di non punibilità per tenuità del fatto potrebbe, così, avere conseguenze in altri ambiti ed in particolare in quello tributario, dove potrebbe essere pendente un parallelo procedimento.

Peraltro, proprio di recente, le Sezioni Unite della Cassazione (SS.UU. penali n. 38954 del 24 settembre 2019) hanno stabilito – dopo un contrasto sorto sul tema – che l'archiviazione per particolare tenuità del fatto va iscritta nel casellario giudiziale del soggetto.

Beneficiando dell'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto, l'imputato ammette quindi l'esistenza del reato, chiedendo la non punibilità in quanto la sua condotta costituisce una fattispecie lieve in ambito penale, ma lo stesso meccanismo non può valere davanti al giudice tributario. Anzi, una pronuncia di tale tipo verosimilmente non farebbe altro che convincere quest'ultimo della sussistenza dell'illecito fiscale, con tutte le conseguenze del caso.

Vero è che la Cassazione è piuttosto unanime nel ritenere che in materia di contenzioso tributario nessuna automatica autorità di cosa giudicata possa attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, sia di assoluzione che di condanna (cfr. per tutte Cass. Civ., n. 8129/2012). Tuttavia, in ogni caso, una sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, posto che accerta in realtà la responsabilità penale del soggetto, costituisce sicuramente un importante elemento di prova, con la conseguenza che il giudice tributario ne potrebbe venire influenzato.

Ad esempio, se in commissione tributaria venisse impugnato un atto impositivo con cui si contesta l'indebita compensazione con crediti non spettanti, nel caso in cui fosse prodotta in atti la sentenza penale di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, sarà ben difficile poter insistere sulla spettanza del credito.

È ovvio che la difesa, dal lato fiscale, potrà sempre sostenere che in sede penale si sia optato per quella scelta per strategia processuale, ma sicuramente ci sarebbe un “effetto” sul giudice tributario volto a confermare la tesi erariale.

In conclusione

Concludendo, quindi, possiamo affermare che la causa di non punibilità può essere senz'altro applicata ai reati tributari che rientrano nei limiti di pena previsti dalla norma.

Tuttavia, il proscioglimento del soggetto imputato per particolare tenuità del fatto, con sentenza irrevocabile, non comporta una piena assoluzione: tale sentenza avrà efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento.

La possibilità di beneficiare dell'istituto premiale in presenza di violazioni penali tributarie va dunque concretamente valutata dalla difesa, a causa dei risvolti che potrebbe avere per l'accertamento fiscale e per l'eventuale contenzioso tributario instaurato, soprattutto ove si contesti la pretesa dell'Amministrazione nel merito. Viceversa, qualora la difesa, dal lato tributario, si basi esclusivamente su eccezioni di diritto o formali – che quindi rimarrebbero completamente estranee all'accertamento concreto dell'illecito contestato – andrebbero formulate differenti valutazioni.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario