Gli effetti della carenza dello ius postulandi

07 Novembre 2019

Un avvocato italiano, iscritto nella sezione speciale dell'albo del COA di appartenenza, quale abogado, partecipa alle udienze civili in una molteplicità di procedimenti...

Un avvocato italiano, iscritto nella sezione speciale dell'albo del COA di appartenenza, quale abogado, partecipa alle udienze civili in una molteplicità di procedimenti, tacendo per un verso l'anzidetta qualità e per altro verso, alla eccezione sollevata da parte mia, deposita al fascicolo di causa un estratto del COA dimostrante l'iscrizione nella sezione ordinaria, inducendomi così a rinunciare alla proposta eccezione in punto di difetto di valido ius postulandi; successivamente venivo a conoscenza che l'abogado, transitato nella sezione ordinaria ha prestato giuramento solenne ex art. 8, l. 247/2012 in data successiva all'allestimento dei propri atti difensivi e alla partecipazione alle relative udienze. In particolare e in buona sostanza il professionista legale risulta iscritto nella sezione speciale quale abogado in data 20.11.2011; transita nella sezione ordinaria il 30.12.2014 e presta giuramento solenne il 06.04.2016 allorquando ha già provveduto ad espletare pienamente e totalmente le sue facoltà difensive. Chiedo pertanto di conoscere se l'esercizio dell'attività legale da parte del predetto avvocato sia in tutto o in parte legittima e in caso negativo con quali conseguenze, con espresso riferimento alla possibilità di agire ex art. 395 c.p.c. delle sentenze ottenute nel corso dei procedimenti.

Per rispondere al quesito bisogna analizzare la posizione del cosiddetto “abogado” nello svolgimento delle funzioni in ambito giudiziario.

Questa necessaria premessa è d'obbligo per poter fornire un'adeguata risposta al quesito, che si presenta di notevole complessità, coinvolgendo una molteplicità di aspetti processuali e sostanziali, per cui non me ne vorrà il lettore sa l'esposizione risulterà prolissa.

Bisogna premettere che, l'avvocato "stabilito" (così si identifica il cosiddetto “abogado”) non può in alcun modo spendere in Italia il titolo di "avvocato", ma solamente quello conseguito nel paese europeo d'origine (art. 4 del d.lgs. n. 96/2001): ad esempio, potrà appellarsi quale "abogado", nel caso di laurea omologata in Spagna, oppure quale "avocat", nel caso in cui la laurea sia stata omologata in Romania.

Il titolo non può essere speso, non solo nell'ambito dell'attività giudiziale ma anche in ambito stragiudiziale; quindi non potrà essere utilizzato nelle lettere, nella carta intestata e nell'indirizzo e-mail o pec (cfr. parere del CNF, n. 72 del 22 ottobre 2014).

Importante, ai nostri fini, è chiarire che, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 96/2001, «L'avvocato stabilito deve agire d'intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori. L'intesa deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi al giudice adito o all'autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell'assistito».

L'affiancamento con un avvocato iscritto all'albo non potrà, poi, essere di natura generica ma dovrà essere specifico per quella determinata posizione; a tal proposito il CNF, con i propri pareri nn. 32/2012, 53/2013 e 68/2014, ha precisato che «l'obbligo di esercitare la professione d'intesa con un avvocato italiano implica che non vi possa essere un affiancamento in via generale a un avvocato abilitato, ma che tale integrazione di poteri debba essere fornita per ogni singola procedura; di conseguenza, l'avvocato ‘affiancante' non può e non deve essere indicato con efficacia generale, ma in relazione alla singola controversia trattata».

Sul fatto, poi, che l'avvocato stabilito, affiancato da un avvocato iscritto all'albo, possa agire autonomamente, sempre il CNF, con il parere n. 9 del 28 marzo 2012, ha chiarito che l'avvocato iscritto nella sezione ordinaria «non è obbligato a presenziare, ovvero assistere alle udienze alle quali l'avvocato stabilito partecipa; si osserva tuttavia che l'intesa implica una forte responsabilità dell'avvocato italiano per quanto attiene al controllo dell'attività dell'avvocato stabilito, pur in assenza della condivisione del mandato difensivo».

Delineati, così, i limiti di attività dell'avvocato stabilito, la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi sulle questioni relative alla sua attività.

Interessante è la pronuncia di merito del tribunale di Torino (sent., 17 ottobre 2016, n. 3577); nel suo arresto si afferma, sostanzialmente, che la procura alle liti in assenza dell'intesa fra avvocato stabilito e avvocato iscritto all'albo ordinario, sia da considerarsi nulla (senza addentrarci sulla natura della nullità in ambito processuale la quale, a differenza dell'ambito sostanziale, può, in alcuni casi, essere sanata).

Il tribunale, quindi, ai sensi dell'art. 182 c.p.c. «assegna a parte opponente termine perentorio di giorni venti dalla comunicazione della presente ordinanza per la regolarizzazione della procura alle liti in conformità all'art. 8 del d.lgs. n. 96/2001».

Questa è l'ipotesi in cui il difetto di valida procura alle liti venga rilevato in prima udienza, con ciò producendo, a seguito del rilascio di una valida procura alle liti, una “sanatoria” della posizione processuale dell'interessato (come dispone lo stesso art. 182 c.p.c.).

Nello stesso senso, anche se non mancano pareri contrari, la Corte d'appello di Reggio Calabria, 23/06/2016, per la quale «L'atto giudiziario e la procura sottoscritti solo dall'avvocato stabilito, che utilizzi il titolo di avvocato (e non quello corretto di abogado) e non dichiari di agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, sono affetti da nullità, essendo l'abogado privo dello ius postulandi (Nella specie, la Corte ha chiarito che, ad ogni modo, tali vizi sono sanabili ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69/2009, che consente l'assegnazione di un termine per il rilascio della procura alle liti e per la sua rinnovazione e quindi anche in ipotesi di inesistenza della stessa)».

Nel caso di specie, come riporta il quesito, l'eccezione formulata, circa la mancanza di ius postulandi, viene poi rinunziata a seguito della produzione da parte dell'avvocato stabilito della sua iscrizione nella sezione ordinaria dell'albo (con ciò divenuto avvocato cosiddetto integrato e quindi parificato ad un avvocato iscritto nella sezione ordinaria dell'albo).

Sennonché, come sembra evincersi sempre dal quesito, tale iscrizione è successiva allo svolgimento delle attività difensive dell'avvocato che, all'epoca, non era ancora iscritto nella sezione ordinaria dell'albo di appartenenza.

A prescindere dalle gravi responsabilità dell'avvocato stabilito nei confronti del cliente e nei confronti dell'ordine di appartenenza sotto l'aspetto civile, disciplinare e financo di natura penale, delle quali non ci occupiamo in questa sede, bisogna chiedersi quale sia la sorte delle attività processuali svolte.

Orbene, si deve ritenere che, sia gli atti che le dichiarazioni difensive d'udienza debbano considerarsi affette da nullità, nullità sanabile solamente ai sensi dell'art. 182 c.p.c., come abbiamo visto, nel caso in cui tale situazione venga rilevata in sede di prima udienza, ove il giudice valuta la regolare costituzione delle parti e la corretta instaurazione del contraddittorio.

Non è specificato, nel quesito, se la posizione dell'abogado sia da riferirsi alla parte attrice o alla parte convenuta.

Nel caso di specie, gli atti del giudizio in questione sembrano affetti da nullità, mai sanata, sembrando che il giudizio si sia concluso quando l'avvocato stabilito non era ancora transitato nella sezione ordinaria dell'albo (ciò lo si desume dalla richiesta circa la possibilità di agire in revocazione).

Infatti, nel caso in cui la citazione sia stata proposta per mezzo dell'avocato stabilito, senza che sia intervenuta sanatoria ex art. 182 c.p.c., questa deve considerarsi inammissibile (come si esprime costante giurisprudenza di merito e di legittimità).

Qualora, al contrario, l'avvocato stabilito abbia patrocinato la parte convenuta, il giudizio non sarà in discussione nella sua valida instaurazione ma si dovrà ragionare sulla posizione processuale del convenuto che si costituisce in giudizio senza l'assistenza di un avvocato, come tale imprescindibile, salvo i rari casi in cui il soggetto possa difendersi da solo.

Ancora, non si evince dal quesito se la sentenza sia di primo grado o di secondo grado; infatti ciò rileva in riferimento alla proposizione di un'eventuale azione in revocazione: i motivi di impugnazione mediante revocazione sono tassativi, tanto che si è affermato che «La revocazione è ammessa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 395 e 396 c.p.c., contro le sentenze pronunziate in grado di appello e in unico grado, mentre le sentenze di primo grado sono suscettibili di tale rimedio solo quando sia scaduto il termine per l'appello e si tratti di revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 art. 395 c.p.c., con la conseguenza che la sentenza ancora appellabile non è in alcun modo suscettibile di revocazione, potendo gli eventuali motivi di revocazione essere fatti valere con l'appello, previsto come rimedio generale e illimitato all'ingiustizia della decisione» (Cass. civ., n. 3104/2001).

A tal proposito bisogna considerare, infatti, che l'art. 161 c.p.c., converte le ipotesi di nullità della sentenza in motivi di gravame, come tali proponibili, appunto, solamente in sede di impugnazione, sia in appello che in cassazione, ove si voglia arrivare ad affermare che la sentenza emessa in situazioni simili sia affetta da nullità (cosa peraltro controversa e comunque da valutarsi diversamente nel caso in cui l'avvocato stabilito abbia patrocinato l'attore o il convenuto, come accennato sopra).

Nel caso di specie, quindi, qualora vi siano ancora termini per l'appello, tali vizi dovranno essere eccepiti in quella sede e, versandosi in ipotesi di nullità della sentenza, financo con ricorso per cassazione. Qualora tali termini siano spirati non ritengo che il vizio dedotto possa essere oggetto di un giudizio di revocazione, come tale, nei limiti già esposti, in quanto quel rimedio tende a bilanciare un impedimento della difesa della parte ma non a sanare vizi processuali che non abbiano impedito il legittimo esercizio del contraddittorio, che, nel caso di specie non sembra essere stato frustrato.

In conclusione, qualora la sentenza del giudizio in questione sia passata in giudicato, il vizio derivante dal difetto di ius postulandi in capo all'avvocato stabilito, sarà sanato, ritenendosi non proponibile una impugnazione in revocazione, salve le gravi responsabilità sul piano civile, penale e deontologico in capo all'avvocato stabilito.

Qualora, invece, si sia ancora in termini per l'impugnazione, se l'avvocato stabilito abbia proposto la domanda e quindi sia attore, la parte convenuta, risultata soccombente, potrà certamente impugnare deducendo l'inammissibilità della domanda introdotta in assenza di ius postulandi.

Qualora, invece, l'avvocato stabilito, abbia patrocinato la parte convenuta e la parte attrice sia rimasta soccombente, l'eccezione non potrà riguardare l'inammissibilità della domanda, sebbene la validità dei singoli atti processuali posti in essere dal convenuto assistito dall'avvocato stabilito, se ed in quanto abbiano influito sulla decisione di merito.

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