Contravvenzioni ambientali a condotta esaurita e procedura estintiva ex titolo VI-bis del d.lgs. 152/2019

11 Novembre 2019

La prescrizione, una volta ritenute sussistenti le condizioni previste dall'art. 318-bis T.U.A., deve necessariamente essere impartita e non costituisce una mera facoltà dell'organo di vigilanza. L'obbligatorietà ha il suo fondamento nell'art. 318-ter T.U.A. che, nell'usare il verbo “impartisce” e non la formula “può impartire”, esclude ogni spazio di discrezionalità dell'organo di vigilanza.
Massima

La procedura estintiva delle contravvenzioni in materia ambientale prevista dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 318-bis e ss., è applicabile non solo nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto, precedentemente all'emanazione della prescrizione, all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati, ma anche nelle fattispecie a “condotta esaurita” per le quali non sia possibile impartire prescrizioni.

Il caso

La fattispecie in esame riguarda l'applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale previste dal titolo VI-bis del d.lgs. n. 152/2006 (di seguito anche T.U.A.) ai reati a c.d. “condotta esaurita”, da individuarsi in quelli di natura istantanea per i quali non sia possibile impartire prescrizioni, o perché non produttivi di conseguenze dannose o pericolose, ovvero perché queste si sono già irreversibilmente prodotte (dalla sentenza non si evince la tipologia di reato, che sembra essere quella della violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione in materia di rifiuti.

Giova ricordare che il citato titolo VI-bis (artt. 318-bis/318-octies T.U.A.) è stato introdotto dalla legge 22 maggio 2015, n. 68 e delinea un meccanismo che riproduce quello già previsto dal d.lgs. n. 758/1994 in materia di sicurezza sul lavoro.

In sintesi:

  • la speciale procedura si applica alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal T.U.A. che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette;
  • l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, ovvero la polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario;
  • entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione;
  • quando risulta l'adempimento della prescrizione, ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa;
  • l'organo accertatore comunica al P.M., entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'inadempimento alla prescrizione stessa;
  • al contrario, in caso di adempimento della prescrizione, comunica, entro centoventi giorni dalla predetta scadenza, se il contravventore abbia o meno effettuato il pagamento;
  • il processo rimane sospeso fino al momento in cui pervenga al P.M. una di tali comunicazioni e, in caso di adempimento alla prescrizione con pagamento della sanzione, il reato si estingue.
La questione

La prescrizione, una volta ritenute sussistenti le condizioni previste dall'art. 318-bis T.U.A., deve necessariamente essere impartita e non costituisce una mera facoltà dell'organo di vigilanza.

L'obbligatorietà ha il suo fondamento nell'art. 318-ter T.U.A. che, nell'usare il verbo “impartisce” e non la formula “può impartire”, esclude ogni spazio di discrezionalità dell'organo di vigilanza.

Vi sono però situazioni in cui è materialmente o giuridicamente impossibile impartire una prescrizione.

Sotto il primo profilo viene in evidenza l'ipotesi di spontanea ed autonoma eliminazione dell'illecito ad opera del contravventore.

L'impossibilità giuridica riguarda invece il caso di contravvenzioni istantanee, in cui la violazione non ha recato alcun danno o pericolo; ovvero ha già compiutamente leso il bene giuridico protetto (si pensi all'inosservanza dell'obbligo di comunicare preventivamente l'attivazione di un impianto accertata in un momento successivo); o ancora all'ipotesi in cui il contravventore non ricopra più, all'atto dell'accertamento, una carica che lo metta nella condizione di potere eliminare l'illecito.

L'esame di tali situazioni deve prendere le mosse dal concetto diregolarizzazioneche, secondo la Circolare del Ministero del lavoro 27 febbraio 1996, n. 25, deve intendersi come «la possibilità per il trasgressore di elidere situazioni illecite non completamente esaurite e non già il mero intervento proteso a far solo cessare gli effetti permanenti di un fatto o comportamento che ha comunque determinato conseguenze od eventi che, di per sé, sono dettati dall'ordinamento e vanno necessariamente perseguiti in caso di accadimento», con la conseguenza che «la prescrizione deve essere omessa, in quanto improduttiva degli effetti voluti, tutte le volte in cui il reato non sia suscettibile di sanatoria nel senso sopra precisato e quando sussiste l'impossibilità concreta per il contravvenuto di eseguire la regolarizzazione della situazione illecita accertata ovvero quando il soggetto contravvenuto non ha i poteri o i mezzi occorrenti a provvedere alla regolarizzazione del fatto».

Nell'ipotesi di spontanea regolarizzazione da parte del contravventore si era posta la questione se il contravventore potesse comunque essere ammesso, previo pagamento della somma dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa previsto dagli articoli 20 e ss. del d.lgs. n. 758/1994.

La soluzione affermativa prese le mosse dalla sentenza 18 febbraio 1998, n. 19, con cui la Corte costituzionale dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 758/1994 (cui corrisponde l'art. 318-septies T.U.A.), «nella parte in cui non prevede che possano essere ammessi alla definizione in via amministrativa con conseguente dichiarazione di estinzione del reato coloro:

¾ i quali abbiano regolarizzato la violazione prima che l'autorità di vigilanza abbia impartito la prescrizione”,

¾ “abbiano regolarizzato la violazione nonostante l'organo di vigilanza abbia omesso di impartire la prescrizione,

¾ ovvero l'abbia impartita senza osservare le forme legislativamente richieste»,

affermando che entrambe le ragioni che ispirano la disciplina del d.lgs. n. 758/1994 (da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, dall'altro conseguire una consistente deflazione processuale), ricorrono nel caso in cui il contravventore abbia spontaneamente e autonomamente provveduto a eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione prima o, comunque, indipendentemente dalla prescrizione dell'organo di vigilanza.

Tali argomentazioni furono riprese dalla Corte costituzionale con le ordinanze 16 dicembre 1998, n. 416 e 28 maggio 1999, n. 205, che dichiararono la manifesta infondatezza di numerose questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 2, d.lgs. n. 758/1994, cit. nella parte in cui non prevede l'obbligo dell'organo di vigilanza di ammettere obbligatoriamente il contravventore al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la violazione anche nel caso in cui non venga impartita alcuna prescrizione per la materiale impossibilità della sua emanazione.

Le ordinanze facevano riferimento a varie ipotesi: reato già consumato e non ottemperabile; casi in cui l'impossibilità di impartire la prescrizione era stata ricollegata al tipo di violazione di natura procedurale, per la quale non poteva essere adottato alcun provvedimento atto a rimuovere la violazione contestata; ovvero reati nei cui confronti era comunque venuta meno la situazione antigiuridica che aveva dato origine alla violazione contestata.

La Corte costituzionale, nel dichiarare la questione manifestamente infondata, affermò che «… le censure di legittimità costituzionale si basano sull'erroneo presupposto che, ove si tratti di reato per cui sia “ontologicamente” impossibile impartire qualsiasi prescrizione per eliminare le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione accertata, la natura del reato costituisca elemento idoneo a incidere in termini di irragionevolezza e di ingiustificata disparità di trattamento sulla disciplina del decreto legislativo n. 758 del 1994; che l'obiettiva diversità della struttura dei diversi reati, quale risulta dagli elementi costitutivi della fattispecie, e, conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la consumazione del reato stesso, nonché la natura istantanea o permanente del reato, appartengono a scelte del legislatore, che nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte dalla stessa natura degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole assicurare l'osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale; che pertanto eventuali trattamenti differenziati risultano giustificati dalla diversa struttura delle fattispecie incriminatrici; che sotto questo profilo non ha pregio neppure la censura sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la disciplina impugnata in realtà non riconosce alcuna "discrezionalità" dell'organo di vigilanza: l'impossibilità di impartire la prescrizione - secondo la prospettazione del rimettente - è infatti una conseguenza obbligata della struttura della contravvenzione contestata, sicché non può configurarsi alcun eccesso di delega da parte del legislatore delegato».

A tali principi fece seguito l'art. 15 del d.lgs. n. 124/2004, che estese la procedura di cui al d.lgs. n. 758/1994 alle contravvenzioni in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, prevedendone al comma 3 l'applicazione «anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all'emanazione della prescrizione».

A seguito della introduzione di tale norma la giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro ha da tempo ritenuto ormai superato l'orientamento «che aveva ritenuto non applicabile la procedura di estinzione delle contravvenzioni di cui al d.lgs. n. 758 del 1994,artt. 20 e segg., nelle ipotesi di reati istantanei già perfezionatisi (Sez. 3, n. 47228 del 04/11/2005 - dep. 28/12/2005, Greco, Rv. 233190) o nelle ipotesi in cui l'organo di vigilanza non abbia impartito al contravventore alcuna prescrizione, per la già avvenuta spontanea regolarizzazione (Sez. 3, n. 9474 dell'1/2/2005, Pesciaroli, Rv. 231217), dovendosi ritenere che, secondo la normativa vigente, la finalità dell'istituto non possa più essere individuata solo nello scopo di interrompere l'illegalità e di ricreare le condizioni di sicurezza previste dalla normativa a tutela dei lavoratori, bensì anche in quello di permettere in via generale l'estinzione amministrativa del reato, sebbene non vi siano regolarizzazioni da effettuare. Se tale principio è stato affermato con riferimento all'ipotesi di reati già consumatisi, per i quali la regolarizzazione era già avvenuta, quali quelli relativi alla visita medica dei minori effettuata in ritardo, siffatta opzione interpretativa ben può essere estesa al caso di specie, dovendo, all'ipotesi in cui la regolarizzazione sia già avvenuta, essere, pertanto, parificata quella in cui la stessa non possa più avvenire, non trovandosi il trasgressore più nelle condizioni di adempiere. Diversamente opinando e dunque precludendo al trasgressore di beneficiare della procedura di estinzione del reato, configurante condizione di procedibilità della stessa azione penale, si perverrebbe infatti alla paradossale conclusione o di lasciare impunite le condotte penalmente rilevanti che, in quanto esauritesi, non siano perciò suscettibili regolarizzazione da parte di costui o di pronunciarne la condanna in sede penale annullando la suddetta condizione di procedibilità» [Cass. pen. Sez. III, 19 gennaio 2018 (ud. 5 ottobre 2017) n. 2257. In precedenza, conformi: Sez. III, 17 settembre 2007 (ud. 6 giugno 2007) n. 34900; Sez. III, 26 settembre 2011 (ud. 3 maggio 2011) n. 34750; Sez. III, 8 settembre 2016 (ud. 15 settembre 2015) n. 37228 che aggiunge: “è evidente, quindi, l'intento del legislatore del 2004 di introdurre una generale procedura di estinzione delle meno gravi contravvenzioni in materia di lavoro e di legislazione sociale (quelle punite con pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda o con la sola ammenda) mediante il pagamento nei termini indicati di una sanzione amministrativa previa regolarizzazione (quando sia possibile e necessaria) delle situazioni che avevano dato luogo all'infrazione”].

La questione all'esame della sentenza in commento era quella della applicabilità di tali principi anche alla procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali prevista dal T.U.A.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza ha in primo luogo affermato che il d.lgs. n. 124 del 2004, art. 15, comma 3, si riferisce tanto alle condotte esaurite - come tali dovendosi intendere tutte le condotte prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore - quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l'illecito commesso. Secondo la S.C. «è chiaro che la disposizione in esame identifica due condotte alternative, alle quali è parimenti possibile applicare la procedura estintiva in esame. Certamente, infatti, il legislatore ha inteso utilizzare la congiunzione ovvero attribuendole il significato di oppure e non quello di cioè; e ciò, sia perché ordinariamente questo è il significato giuridico del termine predetto, sia, soprattutto, perché nello stesso d.lgs. n. 124 del 2004 si utilizza la richiamata espressione attribuendole sempre un significato di alternatività. Questo è avviene all'art. 11, commi 2 e 5, art. 13, comma 3 e comma 4, lett. c) e d), ma, soprattutto, allo stesso art. 15, comma 1, secondo cui «con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, artt. 20 e 21, e per gli effetti degli artt. 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto». Pertanto, il d.lgs. n. 124 del 2004, art. 15, comma 3, - così come sistematicamente interpretato - non solo conforma l'applicabilità della procedura estintiva anche alle condotte esaurite, ma, soprattutto, evidenzia la differenza intercorrente tra queste ultime e il ravvedimento operoso del contravventore: la regolarizzazione volontaria e spontanea dell'illecito può legittimare la procedura di estinzione de qua, ma è cosa diversa dalla condotta esaurita, ossia dall'illecito istantaneo non produttivo di conseguenze dannose o pericolose, per cui non sia possibile impartire prescrizioni, anch'esso considerato alternativamente dal d.lgs. n. 124 del 2004, art. 15, comma 3, e dunque idoneo a legittimare l'applicazione della procedura estintiva di cui al d.lgs. n. 758 del 2004, art. 20, e ss.».

L'art. 15, comma 3, così interpretato – prosegue la Corte – è applicabile automaticamente alla procedura di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 318-bis, e ss., in quanto la procedura di estinzione ivi prevista «è costruita sul medesimo meccanismo previsto dalla normativa di cui al d.lgs. n. 758 del 1994, e, dunque ne segue l'interpretazione».

Tali conclusioni, oltre che coerenti con quelle cui la Cassazione è pervenuta in materia di sicurezza sul lavoro, trovano conforto, nell'impianto motivazionale, essenzialmente su due considerazioni.

La prima è l'intrinseca ragionevolezza della soluzione, «in quanto impedisce di applicare un trattamento peggiorativo al soggetto che abbia commesso un illecito di limitata gravità, perché istantaneo e non produttivo di conseguenze dannose o pericolose, rispetto al contravventore che - pur avendovi spontaneamente posto rimedio - abbia commesso un illecito dannoso o pericoloso per l'ambiente o per la sicurezza dei lavoratori: se quest'ultimo soggetto può beneficare della procedura estintiva di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 318 bis, e ss. e d.lgs. n. 756 del 1994, art. 20, e ss. tanto più la procedura in questione deve essere riconosciuta in capo al contravventore che abbia commesso una violazione meno grave - perché istantanea e privo di conseguenze - ed abbia correttamente proceduto al pagamento delle sanzioni amministrative imposte dall'autorità di vigilanza».

La seconda ragione è di carattere sistematico, e consiste nella prevalente funzione deflattiva dell'istituto, sottolineata dalla Corte costituzionale fin dalla citata sentenza n. 19 del 1998, la quale rilevò che «la nuova normativa mira da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazione e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale", ha identificato come "deflattiva" e non "premiale" la ratio sottesa alla procedura di estinzione di cui si discute ed ha quindi implicitamente negato che la stessa sia appannaggio esclusivo del soggetto che - per prescrizione impartita dall'autorità di vigilanza o per spontaneo ravvedimento operoso - rimuova attivamente le conseguenze dell'illecito».

Osservazioni

Indubbiamente la formula dell'art. 15, comma 3, d.lgs. n. 124 del 2004 è ambigua, stante la presenza della congiunzione ovvero, la quale non consente con immediatezza di affermare se essa abbia carattere meramente esplicativo (nel senso di spiegare che le situazioni a condotta esaurita sono quelle in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all'emanazione della prescrizione) ovvero alternativo (nel senso che tali situazioni si aggiungono, appunto alternativamente, a quelle a condotta esaurita in senso stretto, consistenti nei reati istantanei).

La valorizzazione da parte della Cassazione della interpretazione testuale per concludere a favore della seconda opzione lascia però impregiudicata l'ulteriore questione se la norma sia espressione di un principio di carattere generale in base al quale sono suscettibili di estinzione agevolata anche i reati ambientali di carattere istantaneo a condotta c.d. esaurita o comunque nei quali sia impossibile impartire una prescrizione (non vi sono invecedubbi, ricorrendo la stessa “ratio”, che “ove risultasse che le conseguenze dannose o pericolose sono venute meno grazie ad un comportamento volontario dell'autore dell'infrazione, o che il medesimo vi ha posto comunque rimedio, anche successivamente al momento di consumazione del reato, il contravventore — previa valutazione da parte dell'autorità giudiziaria della natura e delle concrete modalità di realizzazione della violazione contestata — possa comunque essere ammesso, dopo avere provveduto al pagamento della somma dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa” , previsto dalla nuova parte sesta-bis T.U.A.).

L'automatica estensione a tale procedura delle conclusioni relative alla portata dell'art. 15, comma, 3, d.lgs. n. 124 del 2004, fondata sulla identità del meccanismo, non appare convincente, in quanto le due procedure, pur essendo simili per funzionamento, si riferiscono ad illeciti diversi per funzione e struttura.

Mentre infatti, nella materia della sicurezza del lavoro, gli illeciti consistono di regola nella omissione di cautele doverose, suscettibili di adempimento successivo, mentre i reati istantanei si risolvono nella violazione di scadenze procedimentali senza impatti dannosi o pericolosi sulla salute dei lavoratori, al contrario, in materia ambientale, le condotte esaurite riguardano di regola reati che già hanno avuto un effetto di pericolo sull'ambiente (si pensi alla violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione od allo scarico di reflui in violazione dei limiti di legge) per cui l'intensità dell'impatto sul bene giuridico è ben diversa.

Perplessità, poi, suscita la giustificazione in termini di intrinseca ragionevolezza della soluzione proposta anche per le contravvenzioni ambientali, consistente nell'impedire l'applicazione di un trattamento peggiorativo al soggetto che abbia commesso un illecito di limitata gravità, perché istantaneo e non produttivo di conseguenze dannose o pericolose, rispetto al contravventore che - pur avendovi spontaneamente posto rimedio - abbia commesso un illecito dannoso o pericoloso per l'ambiente o per la sicurezza dei lavoratori.

Mentre tali considerazioni possono valere per le contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro, che sono tutte ammesse alla speciale procedura, a prescindere dalla gravità in concreto, non altrettanto può dirsi per quelle in materia ambientale previste dal T.U.A., che sono ammesse alla procedura estintiva solo se non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.

Tale limite esclude “ex se” la possibilità di discriminazioni nell'accesso alla speciale procedura, in quanto individua una soglia di (lieve) impatto sull'ambiente omogenea e valida in ogni caso, tale, quindi, da rendere non ipotizzabile l'esclusione di condotte “istantanee” meno gravi rispetto ad altre.

Appare infine dubbio che la finalità della procedura sia quella deflattiva affermata dalla Cassazione, in quanto nella sentenza n. 19/1998 della Corte costituzionale che la S.C. richiama al riguardo, la stessa appare invece evocata in una prospettiva ulteriore e meramente succedanea a quella premiale (affermò infatti il giudice delle leggi che “la nuova normativa mira da un lato ad assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l'interesse alla regolarizzazione delle violazioni, e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all'applicazione della sanzione penale, dall'altro si propone di conseguire una consistente deflazione processuale”).

D'altra parte, affermare la centralità della funzione premiale rispetto a quella (solo conseguente) deflattiva dell'istituto non è incompatibile con la sua applicabilità ai reati a condotta esaurita quando permangano le conseguenze dannose o pericolose prodotte da tale condotta e quindi sia possibile impartire una prescrizione per la loro eliminazione.

In tale prospettiva, sembra preferibile ritenere la procedura estintiva attivabile solo per quei reati per i quali è possibile una effettiva regolarizzazione: soluzione all'evidenza praticabile non soltanto nei reati permanenti ed ancora in atto, ma anche nei reati di carattere istantaneo ad effetti permanenti, nei quali cioè il bene giuridico è stato già irreversibilmente leso, ma è ancora possibile operare un intervento riparatorio. Si pensi, ad esempio, allo stoccaggio dei rifiuti, che “è reato istantaneo ad effetti permanenti, poiché si realizza al momento in cui viene compiuta l'attività iniziale di conservazione, costituendo la mancata rimozione in "post-factum" non annoverabile nell'ambito dell'elemento oggettivo dell'illecito” (Cass. pen., sez. III, n. 3430/1993), ovvero all'abbandono incontrollato di rifiuti, che “ha natura istantanea con effetti permanenti, in quanto presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce i propri effetti al momento della derelizione” (Cass. pen., sez. III, n. 7386/2015, che invece attribuisce al reato di deposito incontrollato, integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, natura permanente, perché la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall'art. 183, comma primo, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l'eventuale sequestro).

Guida all'approfondimento

Amoroso, La nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal d.lgs. 152/2006. Quali direttive per gli organi accertatori?, in penalecontemporaneo.it, 5 Novembre 2015;

Fimiani, Limiti applicativi del sistema estintivo delle contravvenzioni ambientali tramite prescrizioni (titolo VI bis tua), in La legge sugli ecoreati due anni dopo. Un dialogo tra dottrina e giurisprudenza, a cura di Ruga Riva, Torino, 2017, 119;

Paone, Dopo tre anni dall'entrata in vigore della l. n. 68/2015, persistono dubbi e criticità in tema di estinzione delle contravvenzioni ambientali, in Lexambiente, Rivista trimestrale, 2019, II;

Scarcella, L'istituto della prescrizione amministrativa e la sua applicabilità ai reati commessi dall'ente, in Resp. amm. società e enti, 2016, III, 25;

Serlenga, Legge n. 68/2015: la nuova procedura di estinzione del reato ambientale, in Ambiente & Sviluppo, 2016, VI, 419;

Vita, La procedura estintiva dei reati contravvenzionali del d.lgs. 152/2006 introdotta dalla l. n. 68/2015: analisi e riflessioni, in www.osservatorioagromafie.it, 2016.

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