Il divieto per le coppie omosessuali di accedere alla procreazione assistita non viola la Costituzione

14 Novembre 2019

L'esclusione delle coppie omosessuali dalla procreazione medicalmente assistita non è fonte di alcuna distonia legislativa e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Le censure dei rimettenti. La pronuncia in commento trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale, sollevate da due distinti tribunali, degli artt. 5 e 12 l. n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui, rispettivamente, limitano l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie di sesso diverso e sanzionano, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso.
Ad avviso dei Giudici a quibus, le disposizioni censurate violerebbero l'art. 2 Cost., non garantendo il diritto fondamentale alla genitorialità dell'individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, tra le quali rientra anche l'unione civile o la convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso. Le medesime disposizioni si porrebbero in contrasto anche con l'art. 3 Cost., in quanto determinerebbero una disparità di trattamento fra i cittadini in ragione del loro orientamento sessuale.
Le norme denunciate violerebbero, infine, l'art. 117, comma 1, Cost., ponendosi in contrasto con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), perché attuerebbero un'interferenza nella vita familiare della coppia basata solo sull'orientamento sessuale dei suoi componenti e, dunque, discriminatoria.

Coppie formate da persone dello stesso sesso: la legge è chiara. Entrambi i Giudici rimettenti escludono la praticabilità di una interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate, ritenendo che una simile operazione ermeneutica trovi un insormontabile ostacolo nell'univoco tenore letterale dell'enunciato normativo: questa affermazione è corretta.
Per il Giudice delle leggi, infatti, la l. n. 40/2004 nega in modo puntuale e inequivocabile alle coppie omosessuali la fruizione delle tecniche considerate. Ciò, peraltro, in piena sintonia con l'ispirazione di fondo della legge stessa. Opera, dunque, il principio secondo il quale l'onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all'incidente di costituzionalità, allorché il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione (cfr., ex plurimis, Corte cost. n. 141/2019, n. 268/2017 e n. 83/2017).

La Consulta ricorda la ratio della legge sulla procreazione assistita. Le soluzioni adottate dalla l. n. 40/2004 riflettono due idee di base. La prima attiene alla funzione delle tecniche considerate, intese come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile, escludendo chiaramente, con ciò, che la procreazione assistita possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale.
La seconda direttrice attiene alla struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche in questione. La legge prevede, infatti, una serie di limitazioni di ordine soggettivo all'accesso alla procreazione assistita, alla cui radice si colloca il chiaro intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre: in particolare, l'art. 5 stabilisce che possano accedere a queste tecniche solo le «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».

I precedenti della Corte. La Consulta ricorda di essere intervenuta in due occasioni sulla normativa censurata, ampliando il novero dei soggetti abilitati ad accedere alla procreazione assistita, ma, in entrambi i casi, il giudice delle leggi si è mosso nel rispetto della finalità terapeutica assegnatale dal legislatore, eliminando delle evidenti distonie, ma senza contestare la scelta di fondo di riprodurre il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una figura materna e di una figura paterna.
In particolare, con la sentenza n. 162/2014, la Corte ha ammesso alla riproduzione artificiale le coppie alle quali sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, rimuovendo una limitazione che si poneva in contrasto con la stessa ratio legis, mentre, con la sentenza n. 96/2015, eliminando il divieto della diagnosi preimpianto, ha permesso l'accesso a queste tecniche alle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili al nascituro.

Il bilanciamento tra interessi contrapposti spetta al legislatore, ma deve essere ragionevole. Con i quesiti di costituzionalità proposti, entrambi i tribunali rimettenti mirano a rimuovere il requisito soggettivo di accesso alla procreazione medicalmente assistita rappresentato dalla diversità di sesso dei componenti la coppia richiedente: l'effetto della pronuncia auspicata dai Giudici a quibus sarebbe, dunque, quello di rendere fruibile questa tecnica alle coppie omosessuali in quanto tali, così sconfessando le scelte di fondo del legislatore.
In proposito, la decisione in commento ricorda che la materia tocca temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore (Corte Cost. n. 347/1998). La linea di composizione tra i diversi interessi in gioco si colloca nell'area degli interventi con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale (Corte cost. n. 84/2016), impregiudicata la sindacabilità delle scelte operate, al fine di verificare se con esse sia stato realizzato un bilanciamento non irragionevole (Corte cost. n. 162/2014).

Divieto per le coppie omosessuali: nessuna discriminazione. L'ammissione delle coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita, oltre a rappresentare uno stravolgimento dell'attuale impianto legislativo, non verrebbe a sanare alcuna distonia o incongruenza interna. Ed infatti, contrariamente a quanto affermato dai giudici a quibus, l'infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale non è affatto omologabile all'infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l'infertilità “fisiologica” della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. Si tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti. L'esclusione dalla procreazione assistita delle coppie omosessuali non è, dunque, fonte di alcuna discriminazione basata sull'orientamento sessuale (cfr. Corte EDU, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia).

Esclusione delle coppie omosessuali: scelta non irragionevole del legislatore. Esclusa una violazione degli artt. 3 e 117 Cost., la Consulta nega anche una lesione dell'art. 2 Cost.: è vero che l'unione civile tra persone dello stesso sesso costituisce una formazione sociale rilevante sul piano costituzionale, ma è altrettanto vero, da un lato, che la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli e, d'altro lato, che la libertà dell'atto che consente di diventare genitori di sicuro non implica che tale libertà possa esplicarsi senza limiti (Corte cost. n. 162/2014).
Con la disciplina censurata, dunque, il legislatore ha effettuato una ponderazione degli interessi in gioco, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale, con scelte che non ledono alcuno dei parametri costituzionali evocati e che non eccedono il margine di discrezionalità del quale il legislatore fruisce in questa materia.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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