La Consulta sul fine vita: non è punibile chi a determinate condizioni agevola il proposito di suicidio

Redazione Scientifica
22 Novembre 2019

È stata depositata la sentenza con cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma sull'aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste in materia di consenso informato e DAT, «agevoli l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».

La decisione era già stata anticipata a seguito della camera di consiglio dello scorso 25 settembre ed oggi sono state rese note le motivazioni del Giudice delle leggi con il deposito della sentenza n. 242/19.

«L'esigenza di garantire la legalità costituzionale deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore». Lo si legge nel comunicato stampa diffuso dalla Consulta nel quale viene specificato che «se la dichiarazione di incostituzionalità rischia di creare vuoti di disciplina che mettono in pericolo diritti fondamentali, la Corte costituzionale deve preoccuparsi di evitarli, ricavando dal sistema vigente i criteri di riempimento, in attesa dell'intervento del Parlamento».
Fermo restando che l'aiuto al suicidio non è di per sé in contrasto con la Costituzione, la Consulta ha individuato un profilo di incostituzionalità per i casi in cui «l'aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l'idratazione e l'alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Infatti, in base alla legge sulle DAT (l. n. 219/2017) il paziente in queste condizioni può già decidere di lasciarsi morire chiedendo l'interruzione dei trattamenti di sostegno vitale. Non è però concesso mettere a disposizione trattamenti atti a determinare la morte del paziente, limitando così la libertà di autodeterminazione del malato. Lo scorso anno, con la sentenza n. 207/2018, la Corte Costituzionale aveva disposto il rinvio dell'udienza in modo da concedere al legislatore uno spazio di intervento. In assenza, «la Corte ha ritenuto di dover porre rimedio, comunque sia, alla violazione riscontrata».
L'ancoraggio per la decisione della Corte sono state le norme in tema di disposizioni anticipate di trattamento e rinuncia ai trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del paziente e alla garanzia dell'erogazione di una appropriata terapia del dolore e di cure palliative (artt. 1 e 2 l. n. 219/2017).

Fonte: dirittoegiustizia.it

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