Si alla compatibilità fra reati colposi e responsabilità degli enti ma con la dovuta attenzione alla sussistenza di un interesse o vantaggio per la società

Ciro Santoriello
25 Novembre 2019

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di un reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, per pervenire ad una decisione di condanna occorre accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia...
Massima

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di un reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, per pervenire ad una decisione di condanna occorre accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante a un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio, senza che tale conclusione possa essere fatta derivare automaticamente dalla sussistenza della violazione antinfortunistica.

Il caso

In sede di merito, nell'ambito di un processo per omicidio colposo conseguente alla violazione della disciplina antinfortunistica, l'imputato era giudicato colpevole per avere omesso, in qualità di preposto, di esercitare una vigilanza adeguata al fine di assicurare l'osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori mentre la società alle cui dipendenze lavorava la persona offera era è stata riconosciuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), e 25-septiesd.lgs.n. 231 del 2001, per non avere operato tempestivamente ed efficacemente per prevenire la commissione del reato di omicidio colposo.

L'istruttoria aveva consentito di accertate che, mentre erano in corso lavori edili di sopraelevazione di un corpo di fabbrica in un edificio pubblico, lavori dati in appalto ad un'associazione temporanea di imprese, di cui faceva parte anche la società sottoposta a giudizio, un operaio, dipendente di una terza società che aveva concesso all'associazione temporanea di imprese una macchina perforatrice, mentre stava conducendo la suddetta macchina, a causa dell'improvviso crollo della pavimentazione sotto il peso del pesante mezzo, rimaneva schiacciato tra la macchina ed il muro perimetrale dell'edificio e decedeva quasi sul colpo. La causa dell'infortunio è stata individuata nel cedimento del suolo, che non era stato ricoperto da assi di legno e da lamiere prima del passaggio del pesante mezzo onde impedire il precipitare dello stesso per l'evenienza che il terreno avesse ceduto (a causa della presenza di vuoti sotterranei o di tubazioni o della conformazione del suolo o altro).

Tralasciano il profilo delle responsabilità individuali delle persone fisiche – cui veniva addebitato, come accennato, di non avere fornito ai lavoratori una specifica informativa sull'esistenza di rischi e sulle modalità di prevenzione degli stessi, oltre che nella mancata predisposizione di mezzi idonei a prevenire i rischi e nel non avere esercitato la necessaria vigilanza al fine di assicurare l'osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori – era riconosciuta la colpevolezza anche di una persona giuridica facente parte dell'associazione temporanea di imprese, per non avere operato tempestivamente ed efficacemente per prevenire la commissione del reato di omicidio colposo e, in conseguenza, condannata alla sanzione amministrativa ritenute di giustizia.

Con riferimento a tale ultima posizione, in sede di giudizio di cassazione, la difesa lamentava in primo luogo che la società avrebbe in sede di merito dimostrato ed argomentato circa l'esistenza di un modello di organizzazione, gestione e controllo, adottato dal consiglio di amministrazione prima dei fatti, con nomina di un organismo di vigilanza che aveva svolto correttamente il proprio compito di verificare la corretta applicazione del modello richiamato; su tale modello, i giudici di merito, secondo la difesa, non avrebbe svolto alcuna valutazione, limitandosi a considerazioni, peraltro assai scarne, sul solo Piano Operativo di Sicurezza (documentato diverso dal modello richiamato dal d.lgs.n. 231 del 2001), che veniva ritenuto inadeguato. La difesa censura tale motivazione ricordando come nel giudizio di responsabilità dell'ente la mancanza o inidoneità del modello sia il momento centrale della valutazione del deficit organizzativo, e la verifica circa l'adozione in concreto delle regole operative costituisce il successivo punto di passaggio obbligato nel giudizio di accertamento dell'illecito amministrativo, mentre, come detto, ma tale valutazione sarebbe stata del tutto omessa dai decidenti, pervenendosi così ad una definizione di responsabilità dell'ente di tipo puramente oggettivo se non meramente presuntivo.

Si lamentava poi anche la carenza della motivazione di condanna con riferimento alla sussistenza del requisito dell'interesse o vantaggio per l'ente. Posto che, a dire dei difensori, si dovrebbe escludere che la presenza di un interesse o vantaggio sia incompatibili con la riscontrata responsabilità dell'ente colletti per reati meramente colposi, poiché la finalizzazione al vantaggio o all'interesse dovrebbe derivare da una specifica tensione di genere sostanzialmente volontario verso un obiettivo di risparmio di costi aziendali o di possibili benefici economici per l'ente, in ogni caso il giudice che condanna la società non potrebbe esimersi dal valutare la sussistenza di tali requisiti quando, come nel caso di specie, si sia in presenza di un infortunio sul lavoro.

La questione

Sul tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 degli enti collettivi, la società non presenta profili di novità in quanto si ribadisce che la sussistenza dell'interesse dell'ente si deve accertare in relazione alla condotta colposa e non all'evento verificatosi, per cui l'interesse può essere correlato anche ai reati colposi d'evento, rapportando i due criteri indicati dal citato art. 5 non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del delitto, mentre l'evento andrebbe ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari (sul tema, dopo la decisione delle Sezioni Unite Thyssen, cfr. Cass. pen., sez. IV, 19 marzo 2019, n. 15335; Cass. pen., sez. IV, 21 marzo 2019, n. 28097; Cass. pen., sez. V, 16 aprile 2018, n. 16713; Cass. pen., sez., IV, 19 febbraio 2015, n. 18073; Cass. pen., sez. IV, 16 luglio 2015, n. 31003, Italnastri S.p.A.; Cass. pen., sez. V, 21 gennaio 2016, n. 2544; Cass. pen., sez. IV, 20 luglio 2016, n. 31210. In ambito di merito, Trib. Trani, sez. dist. di Molfetta, 11 gennaio, in Corr. Merito, 2010, 410; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010, in www.rivista231.it; G.u.p. Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.): come detto in una decisione di merito, «non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o a vantaggio dell'ente – allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione – e che l'evento lesivo in sé considerato [è] semmai controproducente per l'ente», con la conseguenza che «il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente [...] non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale elemento costitutivo del reato, giacché l'essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto» (giudice dell'udienza preliminare di Novara, citata).

A questa conclusione non può obiettarsi che – in questa prospettiva - gli eventi della morte o delle lesioni finirebbero con l'essere imputati automaticamente ed oggettivamente all'ente tutte le volte in cui si accerti un suo interesse o vantaggio in relazione alla condotta imprudente della persona fisica che li ha causalmente determinati. In proposito, va evidenziato come non sia sufficiente a radicare la responsabilità dell'ente collettivo la circostanza che lo stesso abbia ottenuto un vantaggio o perseguito un suo interesse a seguito della (o mediante la) commissione di uno dei fatti di reato di cui agli artt. 25 ss. d.lgs. n. 231 del 2001, dovendosi anche rinvenire una colpevolezza dell'ente medesimo – la cosiddetta colpa di organizzazione -, da individuare nell'incapacità della persona giuridica di darsi una organizzazione e di fornirsi degli strumenti necessari ad evitare che nell'ambito della propria attività imprenditoriale vengano poste in essere determinate tipologie di illeciti (SANTORIELLO, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società, in Riv. Resp. Amm. Enti, 1-2008, 161; ID., I requisiti dell'interesse e del vantaggio della società nell'ambito della responsabilità da reato dell'ente collettivo, ivi, 3-2008, 49; ID., Riflessioni sulla possibile responsabilità degli enti collettivi in presenza dei reati colposi, ivi, 4-2011, 71). Proprio il necessario ricorrere di questo deficit organizzativo in capo alla persona giuridica – quale presupposto necessario per la sua dichiarazione di responsabilità – consente di comprendere come sia possibile sostenere che la condotta criminosa del singolo amministratore, pur connotata da colpa e negligenza, possa dirsi comunque essere stata assunta nell'interesse dell'ente collettivo di appartenenza: infatti, pur non avendo l'ente interesse né alla lesione del lavoratore né alla violazione della regola cautelare il concreto esame della vicenda potrà comunque far emergere prospettive puntuali, di regola collegate alla organizzazione e/o all'andamento della produzione – ad esempio, un risparmio mediante il taglio dei costi connessi alla sicurezza o un maggior livello produttivo – delle quali si può dire che manifestino l'interesse della compagine organizzata a non evitare il reato (si veda sul punto SELVAGGI, L'interesse dell'ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Napoli 2006.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha riconosciuto la fondatezza delle censure difensive, non ritenendo convincente l'argomentazione utilizzata dai giudici di merito secondo cui nel caso di specie la società avrebbe beneficiato di un risparmio di tempo nel collocare da parte degli operai le assi di legno e le lamiere a terra nel percorso da effettuare dalla palificatrice solo in alcune limitate circostanze e non durante tutta l'attività lavorativa della macchina, come dimostrato dall'esistenza di una prassi quantomeno tollerante in tal senso.

Come è noto, in giurisprudenza la principale ricostruzione delle nozioni di interesse e di vantaggio per l'ente nell'accezione di cui all'art. 5 d.lgs.n. 231 del 2001 è stata operata dalla decisione delle Sezioni Unite n. 38343 del 24 aprile 2014, relativa al tristemente famoso incidente sul lavoro che visti deceduti 6 operai della società Thyssen. In tale decisione si sono affermati i due principi: in primo luogo, si è evidenziato come i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse o al vantaggio siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito. In sostanza, interesse e vantaggio sono concetti giuridicamente diversi, potendosi ipotizzare un interesse prefigurato come discendente da un indebito arricchimento e magari non realizzato e, invece, un vantaggio obiettivamente conseguito tramite la commissione di un reato (Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2015, n. 3615), così come vi può essere un reato commesso nell'interesse dell'ente, senza procurargli in concreto alcun vantaggio (Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2544).

In secondo luogo, la suddetta decisione delle Sezioni Unite ha affermato che i suddetti criteri di imputazione oggettiva devono essere riferiti alla condotta e non all'evento e ciò comporta la indiscutibile compatibilità fra i criteri di imputazione oggettiva dell'interesse e il vantaggio e i delitti colposi quali reati presupposto della responsabilità della società. Infatti, è agevole avvedersi come il requisito dell'interesse ricorra qualora l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente, mentre sussista il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

In particolare, il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del "vantaggio" per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, anche in questo caso, ovviamente, non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto» (Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 2544; Cass. pen., sez. 19 maggio 2016, n. 31210; Cass. pen., sez.IV, 23 maggio 2018, n. 38363).

Queste riflessioni della giurisprudenza in tema di compatibilità fra responsabilità delle società e reati colposi, tuttavia, non comportano che possa ritenersi che ogni qualvolta si sia in presenza di un infortunio sul lavoro determinato da censurabili comportamenti dei dirigenti dell'azienda sia possibile sostenere che tali condotte colpose e rimproverabili abbia senz'altro comportato un vantaggio o siano state poste in essere nell'interesse dell'azienda. Infatti, per pervenire a tale conclusione occorre verificare se la vicenda tragica sia il frutto di una isolata violazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro o siano il risultato di una sistematica violazione di tale disciplina, avendo l'ente realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto; ciò significa che occorre accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio (Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 2019, n. 16713). Di conseguenza, come è stato riconosciuto in alcune occasioni, in presenza di un reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l'interesse dell'ente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività o una riduzione dei tempi di lavorazione (Cass. Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 24697; Cass. pen., sez. IV, 24 gennaio 2019, n. 16598, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'ente in un caso in cui, sebbene i lavoratori fossero stati correttamente formati e i presidi collettivi ed individuali fossero presenti e conformi alla normativa di riferimento, le lavorazioni in concreto si svolgevano senza prevedere l'applicazione ed il controllo dell'utilizzo degli strumenti in dotazione, al fine di ottenere una riduzione dei tempi di lavoro; Cass. pen., sez.IV, 19 febbraio 2015, n. 18073, secondo cui fonti di risparmio di spesa che possono costituire il presupposto per l'applicazione dell'art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 sono il risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale; Cass. pen., sez. IV, 28 maggio 2019, n. 29538, con riferimento alla velocizzazione degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto.

Nessuna di tali valutazioni inerenti l'effettiva esistenza del vantaggio dell'ente imputato risulta presente nelle decisioni di merito, che, secondo la Cassazione, risultavano carenti anche con riferimento alla adozione e sulla idoneità del modello organizzativo. Sotto il primo dei due profili indicati, infatti, la sentenza impugnata, al di là di un generico richiamo ad una maggiore velocità nell'esecuzione dei lavori, non indicava puntualmente quale "interesse" o "vantaggio" fosse stato ravvisato nell'agire dell'ente, non misurandosi con la circostanza che risultava essere stato stipulato un contratto di "nolo a caldo", rispetto al quale non vengono illustrate le pattuizioni retributive intercorse tra le ditte; inoltre, risulta del tutto omessa nelle sentenze di merito la valutazione sul contenuto e sulla idoneità del modello organizzativo, tema che pure la difesa aveva seriamente posto con l'atto di appello, rinvenendosi soltanto considerazioni circa il piano operativo di sicurezza, documento ben diverso dal modello organizzativo richiesto dal d.lgs. n. 231 del 2001.

Osservazioni

Se la sentenza della Cassazione ora in commento non presenta profili di novità con riferimento al tema della compatibilità fra reati colposi e responsabilità da illecito degli enti collettivi, la stessa è apprezzabile per l'attenzione che dedica al profilo attinente l'individuazione dell'interesse o del vantaggio che l'ente deve trarre dalla violazione della normativa in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro.

In proposito, va premesso che quanto alla possibilità di rinvenire in capo all'ente un profitto economico maturato e derivante dalla commissione di un reato colposo secondo la giurisprudenza il profitto del reato è qualsiasi vantaggio economico che costituisca un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale che abbia una diretta derivazione causale dalla commissione dell'illecito (Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, Chabni, in Mass. Uff., n. 205707; Cass. pen., sez. un., 24 maggio 2004, Focarelli, in Mass. Uff., n. 228166; Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2005, Muci, in Mass. Uff., n. 232164). Tale impostazione però non comporta che tale beneficio debba essere individuato nell'utile che il reo trae dalla sua condotta delittuosa né tanto meno che debba tradursi in un accrescimento materiale del suo patrimonio – insomma non è necessario che in conseguenza del reato il responsabile dello stesso acquisisca la disponibilità di beni o somme di denaro, ulteriori rispetto a quello di cui era già in possesso -, giacché il profitto del crimine è nozione comprensiva anche di qualsivoglia utilità che il criminale realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa (Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2007, Miragliotta, in Mass. Uff., n. 238700).

Quest'ultimo profilo è stato confermato dalle Sezioni Unite (30 gennaio 2014, Gubert, in Mass. Uff., n. 258647) che – nell'ambito di una decisione relativa alla possibilità di procedere ad una confisca per equivalente in capo ad una persona giuridica in relazione ad illeciti fiscali commessi dal suo amministratore e nell'interesse della società stessa – hanno chiaramente affermato che il concetto di profitto di reato legittimante la confisca deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa.

Sulla scorta di queste riflessioni diventa agevole riconoscere – come fa appunto la sentenza in commento – che nulla preclude la possibilità di rinvenire un profitto anche in presenza di reati colposi, ed in specie laddove la condotta colposa si concreti nella violazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. In tale ipotesi, infatti, il profitto può individuarsi, quanto meno, nel risparmio di spesa inerente all'ammodernamento e la messa a norma degli impianti e più in generale la mancata adozione delle doverose misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni e malattie professionali – dovendosi poi considerare, accanto a tale profilo, anche il beneficio pervenuto in capo alla società dalla prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza.

Al contempo però è opportuna la precisazione della decisione in epigrafe secondo cui non si può ritenere che, nell'ambito di illeciti colposi addebitabili ad un soggetto che riveste la qualifica di datore di lavoro in una società, possa qualificarsi quest'ultima come beneficiata dal reato ogni qualvolta e per il solo fatto che si sia in presenza di una mera ricaduta patrimoniale favorevole in capo alla persona giuridica, giacché questa impostazione finirebbe per comportare che “la verifica della sussistenza del criterio [del vantaggio darebbe] esiti positivi anche soltanto valorizzando fatti del tutto esteriori al reato, come se, nell'ottica dell'imputazione, il giudice dovesse ricostruire il presupposto di responsabilità chiedendosi ‘a chi giova il reato'?” (SELVAGGI, L'interezze, cit., 30).

In particolare, in primo luogo, nel decidere circa la sussistenza di un vantaggio in capo alla società in conseguenza di un illecito criminale posto in essere dai suoi amministratori, la valutazione non va svolta isolando le singole conseguenze del reato ma considerando in termini complessivi ed in un'ottica temporale più vasta rispetto a quella che considera il solo momento di svolgimento della condotta illecita quali siano gli effetti che in capo alla persona giuridica sono derivati dal reato stesso (Cass. pen., sez. V, 19 settembre 2017, n. 42778). In secondo luogo, nella valutazione circa la partecipazione della società all'illecito di un suo dipendente, il giudizio circa la presenza di un interesse dell'ente - specie se il reato è stato commesso nel prevalente interesse del singolo o di terzi – non può prescindere da un confronto con un parametro oggettivo, non rimesso esclusivamente ad imperscrutabili intendimenti dell'agente, ovvero da una considerazione dei benefici che l'ente medesimo ha tratto effettivamente dalla vicenda delittuosa (Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2018, n. 54640).

Per queste ragioni non potrà mai parlarsi dell'esistenza di un vantaggio per l'ente allorquando vi sia un contrasto fra gli interessi patrimoniali della persona giuridica e la condotta delittuosa posta in essere dal singolo, anche se incidentalmente dal reato siano comunque derivate conseguenze favorevoli per la societas o il beneficio economico maturi in capo alla società per ragioni assolutamente casuali ed episodiche ed in conseguenza di reati che sono assolutamente estranei all'ordinario svolgimento dell'attività aziendale. Si pensi al responsabile aziendale della sicurezza sul lavoro il quale, per favorire una ditta a lui vicina, affidi a quest'ultima l'appalto della fornitura di dispositivi individuali di protezione: se pure da tale affidamento la società alle cui dipendenze il singolo presta la sua attività lavorativa ottiene un vantaggio, magari perché la cifra spesa per l'approvvigionamento dei DPI è minore a quanto richiesto da altri soggetti che fornivano materiale migliore e quindi più costoso, è evidente che tale vantaggio è meramente accidentale e la sua sussistenza non è sufficiente per determinare la responsabilità dell'ente.

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