Procura e contratto di patrocinio

26 Novembre 2019

La sentenza in commento evoca la classica distinzione tra mandato con (art. 1704 c.c.) e senza rappresentanza (art. 1705 c.c.) e, più specificamente, quella tra la procura alle liti e il contratto di patrocinio.
Massima

La procura alle liti è un negozio unilaterale endoprocessuale con cui viene conferito il potere di rappresentare la parte in giudizio e che non presuppone l'esistenza - fra le medesime persone - di un sottostante rapporto di patrocinio, ovvero del negozio bilaterale, generatore del diritto al compenso, con il quale, secondo lo schema del mandato, il legale viene incaricato di svolgere l'attività professionale. Ne consegue che la procura alle liti è solo un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell'autonomo rapporto di patrocinio che, se contestato, deve essere provato.

Il caso

Con due distinti ricorsi proposti ai sensi dell'art. 28 della legge n. 794/42 un avvocato agiva in giudizio per ottenere il pagamento del compenso professionale dovuto per l'attività professionale svolta in due processi nei confronti di una pluralità di soggetti che gli avevano conferito la procura a farsi rappresentare nei procedimenti medesimi. Con esclusione di una sola delle parti resistenti, le altre eccepivano l'insussistenza della pretesa creditoria, in quanto clienti di altri avvocati ai quali avevano a propria volta conferito l'incarico di farsi assistere in giudizio. In primo grado il tribunale, accogliendo l'eccezione sollevata dalle parti resistenti che avevano contestato la sussistenza del rapporto professionale, rigettava la domanda proposta dall'avvocato nei loro confronti, mentre l'accoglieva nei confronti dell'unica parte che non aveva contestato la sussistenza del conferimento dell'incarico. Nel motivare la decisione il giudice di primo grado metteva in luce la rilevanza della distinzione tra il rapporto processuale derivante dalla procura ad litem, in virtù del quale al difensore è conferito il potere di rappresentare la parte in giudizio, e il rapporto interno tra il difensore e colui il quale conferisce a quest'ultimo l'incarico di farsi assistere in giudizio: infatti, solo nel caso in cui sia provata l'esistenza di quest'ultimo tipo di rapporto, ossia del conferimento dell'incarico, sussiste il diritto del difensore a percepire il compenso.

Proposto appello avverso la decisione di primo grado, la Corte d'appello di Bari lo rigettava condividendo la soluzione scelta dal giudice di prime cure basata sulla considerazione che l'atto di conferimento della procura è un negozio unilaterale di natura endoprocessuale e tale, quindi, da integrare un elemento meramente presuntivo della sussistenza, alla base, di un contratto di patrocinio, dal quale soltanto può scaturire il diritto del difensore a percepire il relativo compenso. Nel caso di specie, secondo la Corte territoriale, correttamente con la decisione impugnata si era ritenuto che non fosse stata fornita la prova della sussistenza del rapporto di patrocinio, alla luce della contestazione del rapporto che aveva sollevato la quasi totalità dei resistenti in giudizio e di quanto emerso dalle prove orali espletate e dalla documentazione prodotta.

Avverso l'ordinanza della Corte d'appello di Bari era proposto ricorso per cassazione, con il quale si contestava, con il principale motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1294, 1704, 1708, 1709, 1716, 1720, 1727 e 1730 c.c. e dell'art. 83 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 1., c.p.c. per aver ritenuto che il rilascio della procura non costituisse elemento sufficiente per dimostrare la sussistenza del mandato professionale tra le parti. Diversamente da quanto affermato nella decisione oggetto di ricorso per cassazione, infatti, secondo la parte ricorrente, il conferimento della procura alle liti non può che presupporre la sussistenza di un rapporto di clientela, con la conseguenza che la mancanza di tale rapporto non può essere contestata dai soggetti che risultano aver rilasciato la procura.

La Corte di cassazione, con la decisione in esame, rigetta il ricorso e conferma la decisione dei giudici di merito. Affermano, in particolare, i Giudici della Suprema Corte che la sentenza impugnata ha correttamente applicato le norme e i principi giurisprudenziali in materia, che postulano la distinzione tra la procura alle liti, negozio unilaterale attributivo del potere di rappresentare la parte in giudizio, e il contratto di mandato - che nel caso dell'incarico conferito all'avvocato assume la veste del contratto di patrocinio -, negozio bilaterale in virtù del quale il difensore è incaricato di prestare la propria opera professionale in favore della parte che lo ha incaricato di assisterlo e rappresentarlo in giudizio.

La questione

La sentenza in commento, nel ribadire il principio di diritto in virtù del quale il rilascio della procura alle liti non implica, per ciò solo, la sussistenza di un contratto di patrocinio tra le parti, evoca la classica distinzione tra mandato con (art. 1704 c.c.) e senza rappresentanza (art. 1705 c.c.) e, più specificamente, quella tra la procura alle liti, quale negozio unilaterale attributivo del potere di rappresentanza in giudizio, che trova la propria collocazione all'interno delle norme del codice di procedura civile dedicate, appunto, proprio ai difensori (art. 83 c.p.c.) e il contratto di patrocinio, inteso come ipotesi speciale di contratto di mandato sussumibile nello schema delineato dagli articoli 1703 («Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra») e seguenti del codice civile, dal quale si differenzia per la particolare natura dell'attività del cui svolgimento è incaricato il mandatario, che è appunto la prestazione d'opera professionale svolta da un avvocato.

Le soluzioni giuridiche

Che si tratti di due istituti diversi e non automaticamente sovrapponibili lo si desume, tra l'altro, non solo dalla diversa struttura (negoziale unilaterale per la procura - negoziale bilaterale per il contratto di patrocinio) e dalla diversa collocazione normativa (l'uno nel codice di procedura civile e l'altro nel codice civile), ma anche dall'ovvia considerazione che l'espletamento dell'incarico professionale da parte del difensore può benissimo esaurirsi nell'ambito stragiudiziale perché teso, ad esempio, a consentire la definizione di una controversia in una fase precedente al giudizio o attraverso uno degli strumenti di definizione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, quale è, ad esempio, la mediazione obbligatoria prevista nelle materie di cui all'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/10, attualmente elencate, dopo la riforma operata con la legge n. 98/13, al comma 1-bis del citato articolo 5, o la negoziazione assistita ai sensi del d.l. n. 132/14 (convertito nella l. n. 162/14). Così come è ben possibile che l'incarico conferito al professionista investa una fase, per così dire, non “patologica” di un rapporto civilistico e riguardi, ad esempio, la redazione di un testo contrattuale.

Se in questi casi risulta evidente e netta la distinzione tra attività riconducibile alla conclusione di un contratto di patrocinio e attività processuale che implica il rilascio della procura, per il motivo semplice che quest'ultima è del tutto mancante, poiché si è al di fuori dell'attività processuale, non altrettanto può dirsi dei casi in cui, invece, si verte proprio in tema di esercizio di attività processuale da parte del difensore, poiché in questi casi l'intervenuto rilascio della procura per farsi rappresentare un giudizio da un determinato avvocato può indurre a far presumere che a monte di ciò sia intervenuta tra le parti la stipula di un contratto di patrocinio.

È proprio quest'ultima la prospettazione sostenuta dalla parte ricorrente in Cassazione, che richiama, a sostegno della propria tesi, alcune decisioni della Suprema Corte, come la n. 8388/1997, con la quale era affermato il seguente principio di diritto: «La procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato; la nullità del contratto di patrocinio, pertanto, non toglie al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura». In realtà, a ben vedere, anche questa decisione, nell'affermare che la nullità del contratto di patrocinio non travolge automaticamente lo ius postulandi del difensore presuppone pur sempre l'operatività dei due istituti che vengono in rilievo, procura e contratto di patrocinio, su piani distinti e non sovrapponibili; dal che consegue, quindi, l'affermazione del principio secondo cui la nullità del secondo non travolge automaticamente la procura. Ciò, del resto, trova conferma nella disciplina dettata dall'art. 85 c.p.c. in tema di revoca e rinuncia al mandato in virtù della quale, sul piano processuale, affinché revoca e rinuncia abbiano effetto nei rapporti tra le altre parti processuali occorre che sia avvenuta la sostituzione del difensore revocato o rinunciante con altro diverso difensore, laddove, invece, sul piano dei rapporti interni tra cliente e professionista, la revoca e/o la rinuncia al mandato avranno effetti indipendentemente dalla relativa sostituzione.

Analogamente anche altre decisioni richiamate dalla difesa della parte ricorrente in Cassazione solo apparentemente postulano una correlazione automatica tra procura e patrocinio, come la sentenza della Seconda Sezione della Suprema Corte n. 24010/2004, secondo cui: «Ai fini di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l'incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. In tal caso chi agisce per il conseguimento del compenso ha l'onere di provare il conferimento dell'incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura. Né rileva, nell'ipotesi di procura ad litem rilasciata congiuntamente a due diversi avvocati, il ruolo di dominus svolto dall'uno rispetto all'altro nell'esecuzione concreta del mandato, il quale attiene alle modalità di svolgimento della difesa ad opera dei due professionisti, e non all'incarico di patrocinio che, in base alla procura e in difetto di prova contraria, deve presumersi conferito ad entrambi». A ben vedere, infatti, anche questa decisione non fa che evidenziare la distinzione tra i due istituti in esame chiarendo, al contempo, che grava sul difensore l'onere di provare, sul piano processuale, la sussistenza del contratto di patrocinio dal quale scaturisce il diritto al compenso.

Si tratta, peraltro, di un principio che, come si osserva nella decisione in commento, è stato reiteratamente affermato; in questo senso, ad esempio, Corte di cassazione, sentenza n. 4959/2012: «Al fine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ad litem e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l'incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. In tal caso chi agisce per il conseguimento del compenso ha l'onere di provare il conferimento dell'incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura». Anche questa decisione, infatti, come le altre richiamate, implica la netta distinzione tra il rapporto scaturente dal rilascio della procura e quello derivante dalla stipula del contratto di patrocinio e afferma il valore meramente presuntivo del rilascio della procura ai fini della prova della sussistenza del contratto di patrocinio.

Corollario di tale distinzione è che, affinché sia stipulato un contratto di patrocinio, non occorre che sia anche rilasciata la procura ad litem, che è richiesta solo nel caso in cui l'incarico implichi lo svolgimento di attività processuale (in questi termini, tra le altre, Cass. civ. n. 14276/17, Cass. civ. n. 18450/14, Cass. civ. n. 13963/06, Cass. civ. n. 10454/02). Ulteriore corollario della distinzione tra procura e mandato, prosegue la Corte nella decisione in commento, è rappresentato dal fatto che è ben possibile conferire l'incarico professionale in favore di un terzo, ossia conferire l'incarico a un professionista per assistere giudizialmente un soggetto terzo rispetto all'accordo tra le parti che, nel caso in cui l'incarico dovesse estendersi anche all'attività giudiziale, dovrà poi procedere al rilascio di apposita procura alle liti. In quest'ottica, quindi, secondo la Suprema Corte, va letta la decisione dei giudici di merito che, nel risolvere la fattispecie concreta sottoposta al relativo esame, hanno correttamente dato rilevanza al fatto che era stata contestata la sussistenza del contratto di patrocinio e questo, quindi, non poteva desumersi dalla circostanza dell'avvenuto rilascio della procura.

In definitiva, quindi, secondo la decisione in commento, sulla scorta delle norme e degli orientamenti giurisprudenziali consolidati in materia, grava sul difensore che agisce per il recupero del compenso l'onere di provare la sussistenza del contratto di patrocinio, prova che non può ritenersi fornita con la mera dimostrazione dell'avvenuto rilascio della procura.

A ben vedere, quindi, sulla scorta della rapida rassegna delle decisioni più risalenti rispetto a quella in commento e richiamate in sede di ricorso per cassazione, esse non si pongono in contrasto con la decisione del 2019. Il rapporto tra procura alle liti e contratto di patrocinio è sempre stato visto, infatti, come un rapporto tra istituti distinti, che certamente possano sovrapporsi senza però che ciò determini alcun automatismo.

Il punto centrale, quindi, diventa quello processuale dell'onere probatorio ai sensi dell'art. 2697 c.c.: si tratta, infatti, di stabilire che valore può avere, sotto il profilo processuale, ai fini della prova della sussistenza di un contratto di patrocinio, la circostanza documentale del rilascio della procura. Anche in questo senso, in realtà, il contrasto con la decisione della Corte d'appello impugnata e quelle richiamate in ricorso è solo apparente, perché queste ultime evidenziano, da un lato, che grava sul difensore l'onere di provare la sussistenza di un contratto di patrocinio con il cliente (Cass. civ., n. 4959/12) e, dall'altro lato, che il rilascio della procura ha un valore meramente indiziario, presuntivo, in ordine alla sussistenza del contratto di patrocinio (Cass. civ., n. 24010/04).

Quanto alle circostanze che possono essere utilizzate al fine di provare la sussistenza del contratto di patrocinio, occorre che si tratti di elementi dai quali, in maniera univoca, possa desumersi l'esistenza di un accordo di questo tipo. In questo senso si è affermato, ad esempio, l'insufficienza di alcune circostanze di fatto, pur valorizzate dai giudici di merito, come il fatto che, in relazione a un giudizio di risarcimento dei danni promosso in relazione a un sinistro, la parte si fosse sottoposta a una visita medica per consentire di valutare l'entità delle lesioni o non avesse contestato di aver ricevuto dalla compagnia assicuratrice, per il medesimo sinistro oggetto di causa, una somma di denaro a titolo risarcitorio. Si tratta, infatti, di circostanze prive del requisito dell'univocità (Cass. civ., n. 18450/2014). Così come non costituisce una circostanza univoca, come tale sufficiente a provare l'esistenza di un contratto di patrocinio tra le parti, la costituzione di un fondo spese o la corresponsione di un anticipo sul compenso dovuto al professionista, atteso che, com'è noto, il mandato può essere sia oneroso che gratuito (Cass. civ., n. 10454/2002 e Cass. civ., n. 14276/2017)

Peraltro, il fatto che procura alle liti e contratto di patrocinio siano due istituti differenti che, come tali, operano su piani diversi assume rilievo pratico anche sotto un altro profilo: si afferma, infatti, che la mancanza di una valida procura alle liti non può essere sanata attraverso la intervenuta stipula di un valido contratto di patrocinio. Con la conseguenza che «per l'attività svolta nell'ambito del processo si richiede l'accertamento, anche di ufficio, della validità del conferimento della procura, quale presupposto per il riconoscimento dell'eventuale compenso spettante al difensore per le prestazioni da lui svolte nel giudizio stesso, non potendo la eventuale invalidità della procura alle liti, da conferirsi nelle forme di legge, essere superata, ai fini del riconoscimento di detto compenso professionale, dal contratto di patrocinio che può riferirsi solo ad un'attività extragiudiziaria, svolta dal professionista legale in favore del proprio cliente, sulla base di un rapporto interno, di natura extraprocessuale, con il cliente stesso, rapporto ben distinto, quindi, dal mandato ad litem» (cfr. Cass. civ., n. 18450/2014 in motivazione).

Dal che deriva l'ulteriore conseguenza che, nel caso in cui non sia provato il valido conferimento di una procura alle liti per la rappresentanza e la difesa in giudizio, non è neanche possibile agire in giudizio per recuperare il compenso per l'attività giudiziale svolta (Cass. civ., n. 18450/2014 e Cass. civ., n. 28718/2008).

Analogamente, nel caso in cui il contratto sia affetto da nullità, ciò non si ripercuote automaticamente sulla procura alle liti determinandone l'inefficacia, con la conseguenza che in questo caso persiste lo ius postulandi conferito al difensore con il rilascio della procura (Cass. civ., n. 8388/1997).

Ciò a conferma del fatto che procura alle liti e contratto di patrocinio operano su piani differenti e non sovrapponibili né intercambiabili.

Osservazioni

Sulla scorta della sia pur rapida disanima delle pronunce richiamate della Suprema Corte in tema di rapporti tra procura alle liti e contratto di patrocinio, può affermarsi allora che la recente decisione in commento non fa che ribadire principi consolidati che postulano la non sovrapponibilità dei due istituti.

Si tratta di una decisione che ribadisce, inoltre, forse in maniera ancora più esplicita che in altre decisioni più risalenti, il valore meramente presuntivo del rilascio della procura alle liti ai fini della prova della sussistenza del contratto di patrocinio. È evidente, infatti, che, specialmente nei casi in cui è contestato l'avvenuto conferimento dell'incarico da parte del presunto cliente, graverà sul professionista l'onere di provare la sussistenza del contratto di patrocinio, anche eventualmente mediante il ricorso alla prova testimoniale o mediante il ricorso a ulteriori elementi presuntivi che, però, come si è innanzi evidenziato, dovranno presentare il requisito dell'univocità.

Del resto, a ben vedere, la possibilità di dimostrare l'esistenza del contratto di patrocinio attraverso gli ordinari mezzi di prova previsti dall'ordinamento civile va ricondotta anche al fatto che, mentre la procura alle liti è un negozio unilaterale di natura formale, che, come tale, richiede la forma scritta, il contratto di patrocinio è un negozio a forma libera (Cass. civ., n. 10454/2002). Dal che consegue, quindi, la possibilità di provare la sussistenza di quest'ultimo attraverso la prova testimoniale o il ricorso alle presunzioni, nel cui ambito rientra anche, come si afferma proprio nella decisione in commento, il rilascio della procura alle liti.

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