Responsabilità del ginecologo per violazione degli obblighi informativi

Redazione Scientifica
27 Novembre 2019

Il sospetto del ginecologo non comunicato alla gestante che il feto potrebbe essere affetto da gravi malformazioni per infezione da cytalomegavirus costituisce una violazione del diritto di autodeterminazione della donna.

IL CASO Una coppia conviene dinnanzi al Tribunale di Trento un ginecologo per ottenere il risarcimento dei danni occorsi alla propria bambina, da lui seguita durante la gravidanza, nata con malformazioni per infezione, non diagnosticata, da cytalomegavirus. Il giudice di prime cure condanna il medico al risarcimento del danno morale agli attori, escludendo però il risarcimento degli ulteriori danni, per assenza di nesso causale tra l'incompleta informazione del rischio di infezione primaria del feto del suddetto virus e il mancato esercizio del diritto all'interruzione volontaria della gravidanza. I genitori ricorrevano dunque per la cassazione della sentenza, che la Suprema Corte cassava con rinvio confermando l'inesistenza del reato ex art. 382 c.p., dichiarando che il ginecologo aveva violato il diritto della donna di essere informata sul fatto che gli approfondimenti, seppur invasivi, avrebbero potuto accertare l'eventuale contagio da virus e le conseguenti possibili malformazioni. Chiedeva dunque di accertare se la conoscenza di tali anomalie, diagnosticate con i mezzi all'epoca disponibili, avrebbe determinato un grave pericolo di lesione del diritto alla salute della donna secondo la regola del più probabile che non. La corte d'appello di Brescia, che riassume la causa, a seguito di CTU rigetta le loro istanze dichiarando che le conoscenze dell'epoca non avrebbero consentito di diagnosticare la natura primaria dell'infezione da CMV poiché sarebbe stata necessaria una funicolocentesi che non avrebbe potuto essere espletata sulla base di un referto sierologico, escludendo altresì la responsabilità del ginecologo per la mancata comunicazione del sospetto relativo ad una infezione contratta dal feto. I coniugi ricorrono una seconda volta in cassazione sulla base di quattro motivi.

OBBLIGHI INFORMATIVI La Suprema Corte ribadisce anzitutto che è stata affermata in astratto la sussistenza dell'obbligo di informazione da parte del ginecologo. Nel caso di specie, è stato altresì accertato che il ginecologo non ha adempiuto al suo obbligo di informazione, negando alla gestante di sapere le reali condizioni di salute del feto. Con questo comportamento, la donna è stata privata della libertà di decidere, violando il suo diritto inviolabile all'autodeterminazione nel sottoporsi o meno ad indagini e accertamenti citogenetici eseguibili dalla diciottesima settimana di gestazione, ancorché invasivi e rischiosi per il feto, quali amniocentesi, villocentesi, funicolocentesi. Le è stato dunque negata la possibilità di affrontare la maternità in modo cosciente e responsabile, conscia dello stato di salute del nascituro.

RESPONSABILITÀ del GINECOLOGO La Cassazione rinviene dunque la responsabilità del ginecologo per l'omissione degli obblighi informativi, mentre sarà da accertare, con un terzo giudizio di merito, se sia possibile riscontrare ulteriori danni risarcibili per il mancato esercizio del diritto all'interruzione volontaria della gravidanza.

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