Considerazioni sull'autonomo potere di rifiutare le cure sanitarie espresso dall'a.d.s.

Roberto Masoni
27 Novembre 2019

L'amministratore di sostegno che abbia accertato la volontà della persona amministrata, anche in via presuntiva, alla non prosecuzione del trattamento sanitario, ha il potere di rifiutare le cure proposte dai medici, senza necessità di autorizzazione del g.t.
Massima

L'amministratore di sostegno che abbia accertato la volontà della persona amministrata, anche in via presuntiva, la quale abbia manifestato una volontà contraria alla prosecuzione del trattamento sanitario, legittimamente ed autonomamente rifiuta le cure proposte dai medici, senza necessità di autorizzazione del g.t.

Il caso

L'a.d.s. di una donna in stato vegetativo persistente (s.v.p.), suo compagno di vita, ha richiesto al g.t. capitolino l'autorizzazione a rifiutare le cure mediche salvavita per la beneficiaria; persona che nel corso della sua esistenza aveva manifestato il desiderio di interrompere le cure in presenza di siffatta condizione esistenziale.

Sulla scorta del dato normativo di recente conio, il g.t. ha declinato ogni decisione autorizzatoria (disponendo il “non luogo a provvedere sull'istanza), argomentando sul rilievo che la competenza a provvedere, in assenza di qualsivoglia contrasto col medico (a norma dell'art. 3, comma 5, l. 219/2017), è stata ex lege rimessa all'a.d.s., dotato del potere di rappresentanza esclusiva in materia di trattamenti sanitari. Affermando poi che solo quest'ultimo è abilitato a rifiutare le cure.

Tale decisione, continua il decreto in epigrafe, appare legittima, sempre che l'a.d.s. abbia ricostruito la volontà al riguardo espressa dalla beneficiaria di non prosecuzione dei trattamenti medici, anche in forza di presunzioni, individuabili in «dichiarazioni rese in passato dall'amministrata, anche alla presenza dello stesso amministratore».

La questione

Il decreto del g.t. suscita il seguente interrogativo.

L'a.d.s. può autonomamente rifiutare la prosecuzione delle cure e dei trattamenti medici, anche salvavita, in rappresentanza del beneficiario, laddove lo stesso sia impossibilitato ad esprimere valido consenso al riguardo?

Le soluzioni giuridiche

Il dato normativo di riferimento che viene richiamato dal provvedimento in rassegna è l'art. 3 della l. n. 219/2017 e, in particolare, il quarto comma, che rimette alla competenza dell'a.d.s., dotato di rappresentanza esclusiva in materia sanitaria, l'espressione del consenso informato, anche in ottica di rifiuto.

Nessun intervento autorizzatorio va quindi deliberato da parte del g.t. in assenza di “consenso informato”; intervento che è, invece, previsto ed è doveroso in presenza di un contrasto insorto tra a.d.s. e medico, con riguardo al rifiuto alle cure ed alle terapie dal primo espresso, in disaccordo col secondo (ex comma 5 art. 3).

Osservazioni

Il decreto in rassegna è stato ripreso dai media nazionali e sul suo contenuto sono state espresse valutazioni contrastanti e talune riserve.

In realtà, il principio affermato non è rivoluzionario in materia, dato che rappresenta corretta interpretazione e applicazione di principi di fondo enunciati dalla recente l. n. 219/2017, dettata in tema di consenso informato e d.a.t.

In questo come in altri casi viene in considerazione il disposto affidato all'art. 3 della nuova legge, che espressamente rimette, nel suo comma 4, all'amministratore di sostegno la facoltà di esprimere il consenso informato o il rifiuto al trattamento sanitario per il beneficiario.

Nella sua seconda parte il comma 4 di questa disposizione normativa stabilisce: «nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere».

Il principio, oggi norma vigente dell'ordinamento, rappresenta il frutto di un'elaborazione interpretativa che data quindici anni or sono, e che si è snodata in varie tappe, non sempre lineari ed univocamente accettate.

Tre sono i profili che la norma in oggetto sottopone all'attenzione dell'interprete e che il pratico non può pretermettere.

Anzitutto, la previsione di remissione di un potere personalissimo ad un terzo; quello consistente nella manifestazione del consenso/dissenso al trattamento sanitario ad opera del rappresentante legale del disabile, in luogo del titolare della posizione soggettiva, impossibilitato a farlo di persona a causa di patologia psichica o fisica.

Ancora, la previsione secondo cui il vicario legale del beneficiario è tenuto alla ricostruzione della anteatta volontà dell'interessato.

Infine, una volta ricostruita la volontà in precedenza espressa dal beneficiario al riguardo, l'a.d.s. può esprimere ai medici consenso o dissenso alla terapia per conto dell'interessato ad essa adeguandosi; in ogni caso, in modo autonomo e senza rapportarsi col g.t. cui indirizzare specifica istanza di autorizzazione di sorta, sempre che l'a.d.s. abbia ricevuto la rappresentanza esclusiva in materia sanitaria in forza del decreto istitutivo di cui all'art. 405 c.c. Nella specie, l'istanza presentata dall'a.d.s. al g.t. capitolino è stata rigettata con decreto di “non luogo a provvedere”.

Esaminiamo questi tre cruciali profili.

- Il principio (oggi consacrata nell'art. 3 l. n. 219 cit.) relativamente all'affidamento all'a.d.s. di un potere personalissimo in materia medico-sanitaria di cui è titolare il disabile, nel corso degli anni è stato inizialmente affermato dalla giurisprudenza dei giudici tutelari più attenti ai valori della persona (Modena, Roma, etc.), poi dalla pronunzia Englaro (Cass. 21748/2007), grazie alla valorizzazione della previsione normativa rinvenibile nell'art. 6 della Convenzione di Oviedo («allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, non ha la capacità di dare il consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l'autorizzazione del suo rappresentante, di un'autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge»).

Oggi appare indiscutibile che il potere di espressione del consenso informato (ovvero di rifiuto) alle cure mediche competa all'a.d.s. (… «il consenso informato è espresso o rifiutato dall'amministratore di sostegno...»; art. 3, comma 4, l. n. 219/2017).

- In che modo ed in che termini questa facoltà è esercitabile ?

Ebbene, questo cruciale potere/dovere, rimesso dal legislatore all'a.d.s., va manifestato “tenendo conto della volontà del beneficiario”, come opportunamente ha cura di precisare la parte conclusiva del comma 4 dell'art. 3 della l. cit. Il decreto capitolino sul punto è trasparente nel ribadire il principio, dovendo «l'a.d.s. accertare la volontà della persona amministrata anche in via presuntiva, alla luce delle dichiarazioni rese in passato dall'amministrato, anche alla presenza dello stesso amministratore».

La necessità di un riscontro della volontà manifestata in precedenza dal beneficiario, ancora una volta, costituisce portato della mirabile pronunzia Englaro, dei cui essenziali contenuti la novella ha fatto tesoro in molteplici passaggi («nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non "al posto" dell'incapace nè "per" l'incapace, ma "con" l'incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche»).

- Infine, un ulteriore importante principio della materia è stato affermato.

La facoltà di esprimere consenso/dissenso alle cure rappresenta un potere autonomo dell'a.d.s., il cui esercizio da parte del vicario non risulta in alcun modo condizionato da un provvedimento autorizzativo del g.t.

Identico principio è stato applicato nel decreto in rassegna, che, a quanto consta, per la prima volta, ha garantito attuazione ad una recente pronunzia costituzionale di rigetto (n. 144 del 2019).

A questo proposito, è noto che il Tribunale di Pavia aveva dubitato della legittimità costituzionale delle norme affidate ai commi 4 e 5 dell'art. 3 l. cit., nella parte in cui non era prevista l'autorizzazione del g.t. per esprimere rifiuto alle cure mediche da parte dell'a.d.s. nell'interesse del beneficiario («è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017, nella parte in cui stabilisce che l'amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato, ritenendo le suddette disposizioni in violazione degli artt. 2,3,13 e 32 Cost.»)

Nel giugno scorso, la Corte Costituzionale ha rigettato la questione sollevata, giudicando «errato il presupposto argomentativo del ragionamento» compiuto dal giudice remittente, il quale aveva omesso di considerare la struttura del decreto di nomina ex art. 405 c.c., che rappresenta un “vestito su misura” per il disabile; e tenendo conto delle specifiche condizioni di salute del disabile mentale, in forza della generale direttiva che impone di «limitare nella minore misura possibile la capacità di agire» della persona menomata impossibilitata a provvedere ai propri interessi.

Ha evidenziato, ancora, la Corte Cost. che il conferimento all'a.d.s. di poteri in ambito sanitario non reca con sé necessariamente anche quello di rifiutare i trattamenti necessari al mantenimento in vita del paziente, al punto che le norme censurate dal giudice remittente si sono limitate a disciplinare il caso in cui l'a.d.s. abbia in concreto ricevuto dal giudice il potere di rifiutare le cure.

In sostanza, secondo quest'ultima pronunzia, affinchè l'a.d.s. possa legittimamente esprimere rifiuto alle cure mediche per il beneficiario sarebbe necessario un espresso e specifico conferimento di tale potere, espressamente previsto nel decreto di nomina di cui all'art. 405 c.c. o in un'integrazione successiva.

A tenore del tacitiano decreto in commento, il conferimento all'amministratore di sostegno della «rappresentanza esclusiva in ambito sanitario della persona amministrata», recherebbe con sé anche il potere di rifiutare le terapie.

La prima soluzione sembra maggiormente garantista in un ambito, quello sanitario e di fine vita, che è strettamente connesso alla vita ed alla morte della persona, il più delicato ipotizzabile, incidendo sull'esistenza stessa della persona.

Va in ogni caso rammentato che la decisione di rifiutare le cure espressa da parte dell'a.d.s., nei termini indicati in precedenza, risulta vincolante per il sanitario («il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo...»: art. 1, comma 6, l. n. 219), il quale va esente da ogni tipo di responsabilità («in conseguenza di ciò (il medico) è esente da responsabilità civile e penale»; art. 1, comma 6, l. cit.).

In conclusione, l'approdo cui è giunto il giudice tutelare del tribunale capitolino nel decreto di non luogo a provvedere in oggetto appare condivisibile.

Le critiche da taluno espresse con riguardo all'esito conclusivo del decreto in rassegna rappresenta fenomeno già in passato constatato; in particolare, riscontrabile quando il “giudiziario”, grazie alla meritoria opera di supplenza (di altri poteri statuali latitanti) intrapresa in materie sensibili e non ancora normate, abbia influenzato le scelte di fine vita dei malati. Il richiamo non può non andare alla più volte evocata pronunzia Englaro, come pure ad ulteriori eclatanti casi giudiziari. Ci riferiamo alle vicende che hanno visto protagonisti Giovanni Nuvoli il quale, non ricevendo giustizia dalla “curia”, si fece morire d'inedia; e Vincenza Santoro che, invece, potè lasciare serenamente una vita terrena di profondo dolore grazie al distacco dei presidi salvavita, in modo conforme ai desideri da lei a più riprese espressi.

Rispetto ai testè rammentati drammatici casi giudiziari oggi qualcosa è mutato.

In passato si riscontrava una trasparente lacuna normativa in materia, dato che difettava una chiara disciplina normativa dettata in tema di trattamenti sanitari, consenso informato e rifiuto delle cure da parte dei pazienti disabili psichici. Ciò aveva determinato un significativo effetto; quello di valorizzare l'attività interpretativa e/o creativa del giudice che, in presenza di lacuna iuris, aveva tentato di colmarla enucleando la regola del caso concreto (come è suo dovere istituzionale fare), ricavandola dai principi di governo del sistema; un'attività suscettibile di divergente valutazione da parte dei commentatori, in quanto creativa e, quantomeno in parte, “arbitraria”.

Oggi, invece, disponiamo di un quadro ordinamentale certo e sufficientemente trasparente, oggetto di interpretazione costituzionale

Guida all'approfondimento

R. Masoni, Il giudice tutelare, Milano, 2018

R. Masoni, Rifiuto di trattamenti sanitari da parte dell'a.d.s.: la l. n. 219 non è incostituzionale, in Il familiarista, 20 agosto 2019;

Redazione scientifica, Potere dell'ADS di rifiutare le cure in assenza di DAT: sollevata questione di legittimità, in ilfamiliarista.it, 29 marzo 2018.

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