Il parto anonimo in caso di morte della madre e l'estensione dell'accesso alle origini ai fratelli: quale bilanciamento?

28 Novembre 2019

Non è accoglibile l'istanza di autorizzazione ad accedere alle informazioni circa la propria origine e l'identità della madre biologica che abbia optato per l'anonimato, in caso di morte della medesima, se risulti che la donna deceduta abbia avuto altri figli, perché il loro coinvolgimento comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile.
Massima

Non è accoglibile l'istanza di autorizzazione ad accedere alle informazioni circa la propria origine , nonché l'identità della madre biologica che abbia optato per l'anonimato, in caso di morte della medesima, se risulti che la donna deceduta abbia avuto altri figli, non essendo desumibile il dato se essi siano a conoscenza della vicenda adottiva, e non potendosi procedere all'interpello degli stessi al solo fine di apprendere la conoscenza o meno di tale vicenda, perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile.

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni di Genova, si è pronunciato sul ricorso di una donna adottata, che chiedeva l'autorizzazione ad accedere a tutte le informazioni inerenti la propria origine nonché l'identità dei propri genitori biologici e in particolare, quella della propria madre biologica. Premetteva che una precedente istanza era stata dichiarata inammissibile, in quanto antecedente alla pronuncia della Corte costituzionale del 2013, che ha modificato il precedente orientamento consolidato. Veniva acquisita la cartella clinica nella quale risultavano le generalità della madre e che si trattava di degente “secondipara”. Dai documenti anagrafici era così emerso: che la donna aveva avuto una prima figlia una decina di anni prima della ricorrente nell'ambito, probabilmente, di un primo matrimonio, essendo stata riconosciuta dal padre di cui portava il relativo cognome; che aveva avuto un secondo figlio alcuni anni dopo la nascita della ricorrente, il cui relativo padre e marito della donna era in seguito deceduto; che la madre biologica della ricorrente era deceduta circa 5 anni prima, sicché non si poteva procedere ad interpello della stessa. Il giudicante considerava che, sebbene la ricorrente, oggi sessantanovenne, fosse riuscita a costruire la propria personalità anche in assenza di informazioni relative all'identità della madre biologica, è pacifico che l'interesse che può avere un individuo a conoscere la sua ascendenza non viene meno con l'età, anzi avviene il contrario. La ricorrente aveva del resto dimostrato un interesse autentico a conoscere l'identità della madre. Un tale comportamento presupponeva delle sofferenze morali e psichiche, anche se queste non fossero accertate da un punto di vista sanitario. Il Tribunale, associandosi all'orientamento prevalso nella giurisprudenza di legittimità (cfr. infra par. 3), riteneva che l'intervenuta morte della donna non costituisse un ostacolo assoluto al riconoscimento del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell'adottato. In caso contrario, si determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati da donne che hanno scelto l'anonimato, ma che non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpellate sulla reversibilità della scelta operata alla nascita. Tale opzione ermeneutica sarebbe, inoltre, viziata da irragionevolezza, perché sottoporrebbe il riconoscimento e l'esercizio di un diritto della persona di primario rilievo ad un fattore meramente eventuale, quale quello del momento in cui si chiede il riconoscimento del proprio diritto. La proposta istanza veniva tuttavia ritenuta accoglibile , solo se la donna deceduta non avesse avuto figli; mentre, nel caso di specie, attesa l'esistenza di altri figli della ricorrente, si perveniva al rigetto della domanda.

Veniva, invero, respinta la soluzione di rivelare le generalità della madre senza fornire le generalità dei fratelli, sulla base della seguente motivazione: «sarebbe assai semplice effettuare tale verifica e poi entrare in contatto con i fratelli, senza che gli stessi fossero stati preparati e informati, né che si potesse procedere all'interpello dei fratelli così come ritenuto dalla Corte di Cassazione. Si potrebbe infatti procedere all'interpello solo in presenza di elementi certi dai quali desumere che gli stessi siano a conoscenza della vicenda adottiva, ma tale dato non è desumibile in alcun modo nella vicenda in esame, perché l'unico soggetto depositario di tale possibile “segreto” è la madre ormai deceduta. Né si può ovviamente procedere all'interpello degli stessi al solo fine di apprendere la conoscenza o meno di tale vicenda, perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile». La pronuncia così prosegue: «Si ritiene che non siano necessarie eccessive dissertazioni per comprendere le potenzialmente gravi ricadute psicologiche del rivelare ad una persona, che mai ha saputo dalla propria madre che in epoca antecedente o successiva la propria nascita (nel caso in esame sono presenti entrambe le ipotesi), che la stessa tenne celata una gravidanza decidendo di non riconoscere il figlio mandandolo in adozione. Il Tribunale non sa quale sia stata la narrazione famigliare, quale rappresentazione la madre abbia voluto dare di sé ai propri figli con scelte che lo Stato non può sindacare rendendosi altrimenti responsabile di una grave ingerenza nella vita privata dei fratelli e/o della madre, con evidente violazione dell'art 8 CEDU. Anche la vicenda in esame insegna come l'apprendere la propria origine adottiva in maniera del tutto casuale e senza la possibilità di chiedere alla madre le ragioni della sua scelta, senza poter essere aiutati pertanto a ricostruire l'intera propria vicenda e la rappresentazione che la madre ha fornito di sé stessa e delle proprie vicende mentre era in vita, è notizia che apre conflitti emotivi e scenari traumatici che non possono essere superati con la mera convinzione che si è tratta da alcune ricerche delle origini concluse con l'auspicato lieto fine». Il rigetto dell'istanza è stato dunque motivato sulla base dell'impossibilità in concreto di compiere il richiesto bilanciamento.

La questione

La questione di diritto affrontata è la seguente: in caso di istanza di accesso alle origini e all'identità della madre che abbia optato per l'anonimato, allorquando sia avvenuto il suo decesso, ove risulti che la stessa abbia avuto altri figli, può prevalere il diritto dell'istante all'accesso a tali informazioni sulla tutela del segreto relativo a tali dati sensibili rispetto a terzi, ovvero agli altri figli biologici della madre deceduta?

Le soluzioni giuridiche

Il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e delle circostanze della propria nascita trova un sempre più ampio riconoscimento a livello internazionale e sovranazionale. Tali principi sono stati affermati dalla giurisprudenza CEDU, da ultimo con sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 settembre 2012 - Ricorso n.33783/09 - Godelli c. Italia, che ha censurato la vigente disciplina interna dell'anonimato, laddove non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l'accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini, non consentendo la reversibilità del segreto. La Corte richiama analoghi precedenti, in cui si afferma che il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione della nozione di “vita privata” (Odièvre c. Francia [GC], n. 42326/98, § 29, CEDU 2003 III, e Mikulić c. Croazia, n. 53176/99, § 53, CEDU 2002 I). Nella giurisprudenza costituzionale, la facoltà della donna di dichiarare nell'atto di nascita di non voler essere nominata è stata riconosciuta da Corte cost. 5 maggio 1994, n. 171, e da Corte cost. 25 novembre 2005, n. 425, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla previsione dell'intangibilità della volontà di anonimato della madre biologica. Successivamente, Corte Cost.22 novembre 2013, n. 278, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 28 legge n. 183/1984 sull'adozione dei minori, in quanto non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata nell'atto di nascita, per l'eventuale assunzione di rapporti personali e non giuridici con il figlio. In particolare, la Corte ha riconosciuto all'adottato il diritto a conoscere le proprie origini e ha rilevato i profili di irragionevolezza nell'irreversibilità dell'anonimato della madre biologica, prevedendo la possibilità di un interpello di questa da attuarsi all'interno di un procedimento caratterizzato dalla massima riservatezza. Viene operata anche dalla nostra Corte la riferita operazione di bilanciamento tra il diritto della madre all'anonimato, che si fonda «sull'esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tale da generare l'emergenza di pericoli per la salute psico-fisica o la stessa incolumità di entrambi», e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – atteso che tale «bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale». Da ultimo, è stata emessa l'importante pronuncia Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, che, afferma il principio di diritto per cui, ancorché il legislatore non sia ad oggi intervenuto in adeguamento al principio espresso nella sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013,n. 278. sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, con modalità procedimentali tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee a garantire la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità. In questo quadro, la Cassazione civile si è occupata della tematica del parto anonimo con due pronunce del 2016, con le quali ha affermato che il diritto dell'adottato - nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi del d.P.R. n. 396/2000, art. 30, comma 1 - ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica sussiste e può essere concretamente esercitato, anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica di cui al d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, commi 2 e 3, a condizione che i dati personali della defunta siano trattati lecitamente ed in modo tale da non arrecare un danno all'immagine, alla reputazione o ad altri beni di primario rilievo costituzionale, ad eventuali terzi interessati. (Cass. civ. sez. I,9 novembre 2016, n. 22838, in www.ilfamiliarista.it 26 aprile 2017, Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024, in GiustiziaCivile.com 1 febbraio 2017 ). In entrambi i casi, i giudici di merito rigettavano le istanze di informazioni relative alle generalità della propria madre biologica, la quale aveva esercitato il diritto a rimanere nell'anonimato al momento della nascita della ricorrente ed era deceduta nel corso dell'istruttoria. Si argomentava, infatti, che la previsione contenuta nell'art. 93 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di trattazione dei dati personali), secondo cui il diritto all'anonimato si conserva per cento anni dalla formazione del documento, non è stata scalfita né dalla giurisprudenza interna, in particolare dalla Corte costituzionale, e neppure dalle pronunce sovranazionali. In entrambi i casi, la Cassazione ribaltava tali pronunce, stabilendo il principio per cui il diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini deve essere garantito anche nel caso in cui non sia più possibile procedere all'interpello della madre naturale. Infatti, lo sbarramento temporale imposto dal d.lgs. n. 196 del 2003, art. 93, alla rivelabilità dell'identità della donna che ha scelto l'anonimato al momento della nascita del figlio, non è temperato, nella specie, dalla possibilità di verifica dell'eventuale sopravvenuta volontà di revoca della scelta compiuta alla nascita. Deve, pertanto, perseguirsi un'interpretazione della norma compatibile con il diritto a conoscere le proprie origini che, pur conservando il vincolo temporale, ne attenui la rigidità quando non sia possibile per irreperibilità o morte della madre naturale procedere all'interpello e alla verifica della volontà di revoca dell'anonimato. Pertanto, così come l'interpello della madre naturale in vita deve avvenire in modo da "cautelare in termini rigorosi il diritto all'anonimato", deve ritenersi che l'accesso alla medesima informazione dopo la sua morte debba essere circondata da analoghe cautele e l'utilizzo dell'informazione non possa eccedere la finalità, ancorché di primario rilievo costituzionale e convenzionale, per la quale il diritto è stato riconosciuto. Non si ritiene, dunque, che ogni profilo di tutela dell'anonimato si esaurisca alla morte della madre naturale, in quanto da collegarsi soltanto alla tutela del diritto alla salute psicofisica della madre e del figlio al momento della nascita. Il diritto all'identità personale del figlio, da garantirsi con la conoscenza delle proprie origini, anche dopo la morte della madre biologica, non esclude la protezione dell'identità "sociale" costruita in vita da quest'ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all'anonimato. In particolare, la pronuncia Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024, configura un vero e proprio affievolimento del diritto all'anonimato della madre, nella misura in cui dopo la nascita non è più il diritto alla vita ad essere in gioco e il diritto all'anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi in primo luogo sulla persona della madre. In questa prospettiva, argomenta la Corte, non è il diritto in sè della madre all'anonimato che viene garantito, ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza e partorire senza assumere le conseguenze sociali e giuridiche di tale scelta. Solo la madre in vita può essere dunque la persona legittimata a decidere se revocare la sua decisione di rimanere anonima, in relazione al venir meno di quell'esigenza di protezione che le ha consentito la scelta tutelata dall'ordinamento. In termini analoghi si è espressa Cass. civ. sez I 7 febbraio 2018 n. 3004 in un caso in cui veniva chiesto al Tribunale per i Minorenni di Torino di accedere alle informazioni riguardanti l'identità dei propri genitori biologici. Va infine menzionata Cass. civ. sez. I, 20 marzo 2018, n.6963, per cui l'adottato ha diritto, nei casi di cui all'art. 28, comma 5, della l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l'identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all'accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell'esercizio del diritto. La Corte d'Appello di Torino, confermando quanto deciso dal Tribunale per i minorenni, ha rigettato l'istanza di acquisizione delle generalità delle proprie sorelle. Tale pronuncia non attiene al caso della madre anonima. La Cassazione dà una lettura estensiva dell'art. 28 comma 5, stabilisce, infatti, che l'"adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici". Dice la Corte: «Occorre, pertanto, stabilire se la formula legislativa possa essere qualificata come un'endiadi e, conseguentemente, esprimere un concetto unitario per il tramite di due termini coordinati ovvero se formula congiunta abbia una valenza pleonastica, o se contenga, invece, due ambiti d'informazioni non necessariamente coincidenti. (…) Il riferimento alle origini, congiunto con quello relativo all'identità dei genitori biologici, può implicare uno spettro più esteso d'informazioni, al fine di ricostruire in modo effettivo il quadro dell'identità personale. Ritiene il Collegio che un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma possa valorizzare il richiamo testuale al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici, in particolare nell'ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi, anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorchè non espressamente menzionati dalla norma. La natura del diritto e la funzione di primario rilievo nella costruzione dell'identità personale che viene riconosciuta alla scoperta della personale genealogia biologico-genetica, induce ad accogliere tale interpretazione estensiva». Rispetto ai fratelli tale diritto appare, dunque, affievolito e non ha natura potestativa. Si ritiene, pertanto, necessario procedere nei loro confronti, in concreto, al bilanciamento degli interessi tra chi chiede di conoscere le proprie origini e chi, per appartenenza al medesimo nucleo biologico familiare, può soddisfare tale esigenza, ancorchè riconosciuta come diritto fondamentale. In termini pratici, vi è l'indicazione a procedere all'interpello con modalità analoghe a quelle della madre anonima.

Osservazioni

Il Trib. min. di Genova argomenta che né la CEDU, né la Consulta hanno preso in considerazione la tutela dei diritti dei terzi, familiari della donna, coinvolti. Fa riferimento alla sentenza Cass. civ., sez. I, 20 marzo, n. 6963, nella quale è stato trattato il tema del diritto alla riservatezza dei fratelli, seppur in ipotesi ritenuta non sovrapponibile. Dalla lettura di tale sentenza emerge chiaramente che il minore non era stato partorito da donna che intendeva rimanere anonima, in quanto il ricorrente era a conoscenza di essere andato in adozione in famiglia diversa da quella individuata per i propri fratelli.

Evidenzia, per contro, l'incontrovertibile dato esperienziale per cui la decisione della madre anonima di revocare o meno l'anonimato sia spesso influenzata e determinata dalla presenza o meno di eredi ed in particolare dalla conoscenza da parte degli stessi della vicenda adottiva. Così, nella prassi dei tribunali per i minorenni, si assiste sovente a madri che non hanno revocato l'anonimato, non avendo mai rappresentato ai propri figli la dolorosa vicenda che l'aveva portata a non riconoscere un figlio (spesso neppure accettano di presentarsi in Tribunale), così come è frequente che, ricevuta la prima comunicazione, le madri chiedano un rinvio prima di revocare l'anonimato, proprio per spiegare ai figli, che nulla sapevano, quanto era successo e condividere la revoca dell'anonimato.

Pare evidente che il Tribunale per i minorenni di Genova effettui un bilanciamento in termini diversi da quelli indicati dalla Cassazione.

In proposito, va richiamato un importante passaggio motivazionale della sent. Cass. civ. I sez., n. 22838/2016:«così come l'interpello della madre naturale in vita deve avvenire in modo da "cautelare in termini rigorosi il diritto all'anonimato", deve ritenersi che l'accesso alla medesima informazione dopo la sua morte, debba essere circondata da analoghe cautele e l'utilizzo dell'informazione non possa eccedere la finalità, ancorchè di primario rilievo costituzionale e convenzionale, per la quale il diritto è stato riconosciuto. Non si ritiene, pertanto, che ogni profilo di tutela dell'anonimato, si esaurisca alla morte della madre naturale, in quanto da collegarsi soltanto alla tutela del diritto alla salute psicofisica della madre e del figlio al momento della nascita. Il diritto all'identità personale del figlio, da garantirsi con la conoscenza delle proprie origini, anche dopo la morte della madre biologica, non esclude la protezione dell'identità "sociale" costruita in vita da quest'ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all'anonimato. Il trattamento delle informazioni relativo alle proprie origini deve, in conclusione, essere eseguito in modo corretto e lecito (d.lgs. n. 196 del 2003, art. 11, lett. a) senza cagionare danno anche non patrimoniale all'immagine, alla reputazione, ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)».

Da un lato viene in considerazione il diritto all'identità personale del figlio richiedente, dall'altro i diritti personalissimi dei terzi interessati, nella specie degli altri figli della madre anonima. Il Tribunale per i Minorenni di Genova si preoccupa innanzitutto della tutela della volontà della madre anonima, ormai deceduta e non più in grado di esprimere un diverso intendimento, di mantenere ‘il segreto' nei confronti della famiglia che si è costruita. Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato che, in caso di decesso della madre anonima, il suo diritto all'oblio diviene recessivo rispetto al diritto all'identità personale dell'adottato richiedente.

La pronuncia in esame fa riferimento anche a un altro tipo di bilanciamento, facente riferimento alla tutela del diritto alla vita privata, ai sensi dell'art. 8 CEDU, dei fratelli biologici, che verrebbe leso da una non richiesta rivelazione circa un ‘segreto' così dirompente della propria defunta madre.

Va, tuttavia, in proposito richiamato il passaggio di cui alla sentenza Cass. civ. sez. I, 9 gennaio 2016, n. 22838, che prevede la protezione dell'identità "sociale" costruita in vita dalla madre anonima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all'anonimato e ai diritti personalissimi della medesima. Pur non affrontando specificamente il tema, comunque, i giudici di legittimità mettono in conto l'esistenza di un nuovo nucleo familiare costituito dalla donna, il che avviene nella maggior parte dei casi. L'interpretazione assolutista sposata dal Tribunale per i Minorenni di Genova, dunque, giungerebbe a conclusioni opposte a quelle auspicate dalla Cassazione, ovvero di sacrificare nella maggior parte dei casi il diritto all'identità personale del richiedente. Peraltro, neppure è detto in astratto che la tutela della sfera personale dei fratelli passi necessariamente per il mantenimento del ‘segreto' della madre, potendo invece ipotizzarsi che il venire a conoscenza dell'esistenza di un fratello possa invece essere fonte di arricchimento della loro identità personale.

Il giudice di merito potrebbe allora dare concreta attuazione al bilanciamento prospettato dalla Cassazione del 2016 con gli strumenti a sua disposizione (acquisizione di informazioni di carattere sociale, psicologico e sanitario), al fine di verificare in concreto se la rivelazione dell'informazione possa avere carattere così dirompente da determinare un grave turbamento dell'equilibrio psico – fisico (formula d'altra parte utilizzata dall'art. 28 comma 6 l. n. 184/1983) del suo destinatario, e in tal caso, pervenire al rigetto dell'istanza.

In definitiva, l'esercizio dell'interpello dei fratelli, cui fa riferimento la sentenza Cass. civ., sez. I, 20 marzo, n. 6963, potrebbe essere in concreto esercitato con particolari cautele, avvalendosi di personale specializzato dei servizi socio – consultoriali. Ciò consentirebbe di dare concreta e ragionevole attuazione alle indicazioni ermeneutiche fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

L'assolutezza della decisione del tribunale per i minorenni di Genova rappresenta, in conclusione, un coraggioso atto di ribellione alla prevalenza in astratto attribuita dalla giurisprudenza di legittimità alla sfera soggettiva e in particolare al diritto all'identità personale dell'adottato che ricerca le proprie origini rispetto alla presumibile volontà della madre deceduta e alle situazioni soggettive di terzi.

Pare in effetti comprensibile e seria la preoccupazione di tutelare un segreto familiare nei confronti di soggetti, quali i fratelli e le sorelle, che non lo hanno determinato e la cui sfera soggettiva viene sicuramente coinvolta dalla rivelazione di un'informazione così delicata e impegnativa sulla sfera personale della loro defunta madre, che neppure potrebbe loro spiegare le ragioni della sua dolorosa scelta.

In quest'ottica, pare tuttavia, che l'invocato bilanciamento, i cui termini generali appaiono già delineati dalla Cassazione, debba essere compiuto in concreto, in quanto attinge a una sfera così personale, che è difficile inquadrare entro le astratte categorie giuridiche delineate dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

Guida all'approfondimento

G. Manera, L'adozione e l'affidamento familiare nella dottrina e nella giurisprudenza, 2004, Milano, 23;

L. Lenti, Il diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini, in Minori e giustizia. 2003, 3, 1, 3, 144,

G. Casaburi, Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini , in Foro it, n. 1/2014,I, 4.

A. Figone, In caso di parto anonimo la madre può essere interpellata: lo dicono le Sezioni Unite, in ilfamiliarista.it, 3 aprile 2017

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