Memoria di costituzione nel giudizio di impugnazione dell'atto impositivo emesso per operazioni oggettivamente inesistenti

Carlo Buonauro

Inquadramento

L'ipotesi della emissione di fatture per operazioni "oggettivamente" inesistenti - a differenza del caso di operazioni “soggettivamente" inesistenti in cui la operazione commerciale si è realmente conclusa sebbene con un soggetto diverso dall'apparente-cedente - presuppone la simulazione assoluta della operazione imponibile - in quanto non realizzata - fittiziamente rappresentata in fattura, ed in relazione alla quale la capacità organizzativa della società-cedente si palesa del tutto indifferente, in quanto anche società dotate di adeguata organizzazione e capacità produttiva bene possono emettere fatture cui non corrisponde nella realtà alcuna effettiva operazione economica.

In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, ai sensi dell'art. 8, comma 2, d.l. n. 16/2012 , convertito nella l. n. 44/2012 , che ha portata retroattiva ed è applicabile anche d'ufficio, i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese. 

In tema di IVA, una volta assolta da parte dell'Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l'emittente è una "cartiera" o una società "fantasma") dell'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell'IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l'esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia.

Formula

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO  DI ...

Sezione n. ...

R.G.R. n. ...

MEMORIA DI COSTITUZIONE 1

L'Ente resistente ... in persona di ... nato a ... il ... C.F. ... nella sua qualità di rappresentante legale dell'Ente

rappresentato per delega in calce dall'Avv. ... nato a ... il ... con studio in ... alla via ... n. ... , CAP ... ed ivi elettivamente domiciliato,

(oppure nel caso in cui la difesa è attribuita al funzionario: rappresentato per delega in calce dal Dott. ... nato a ... il ... – in qualità di ... )

PREMESSO

- che in data ... all'Ente è stato notificato da ... il ricorso avverso l'atto ... , avente ad oggetto: ...

SI COSTITUISCE IN GIUDIZIO

contro ... elettivamente domiciliato presso lo studio di ... che lo rappresenta e difende

PREMESSO CHE

- a sostegno del gravame parte ricorrente articola i seguenti profili di illegittimità:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21-septies l. n. 241/1990, nonché dell'art. 7 l. n. 212/2000, e art. 56, comma 5, d.P.R. n. 633/1973, che disciplinano la motivazione del provvedimento impositivo. Sostiene parte ricorrente che l'atto impositivo deve indicare almeno il presupposto della maggiore imposizione e rendere palese la fonte informativa sottostante alla rettifica operata dall'Ufficio affinché non possa essere dichiarata la nullità per carenza di motivazione (Conf. Cass. n. 14566/2001, Cass. n. 1209/2000, 7991/1996, Cass. n. 8685/1983 e Cass. n. 3898/1980). La motivazione dell'atto di accertamento non si può limitare, come nella specie secondo l'avversata prospettazione di parte ricorrente, a indicazioni generiche sui valori, ma, a pena di nullità, deve indicare a quale presupposto la modifica debba essere associata, così da delimitare l'ambito delle ragioni deducibili dall'Amministrazione finanziaria nell'eventuale fase contenziosa e facendo sì che il contribuente possa valutare l'opportunità dell'impugnazione.

- con la presente memoria si contesta quanto dedotto dalla parte ricorrente deducendone l'inammissibilità ed improcedibilità e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito per i motivi di seguito riportati

ESPONE

Il ricorso è infondato.

Sussistono nel caso in esame i presupposti fattuali e giuridici previsti dalla normativa ex adverso indicati in tema di atto impositivo per operazioni oggettivamente inesistenti): la giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. le massime in allegato) ha tracciato il corretto procedimento logico che l'ufficio, come nel caso di specie accaduto, deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento (cfr. Cass., n. 12002/2017; Cass. ord. n. 5374/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l'ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.

Perimetrati i principi cui attenersi, congruamente nell'atto impugnato si dà conto che, per un verso e quanto al rapporto commerciale intercorso tra la società de quibus, la cessione di merci non poteva aver luogo sulla carta, necessitando che l'acquirente acquisisse la fisica disponibilità di esse; per altro verso, che ci sono prove certe di sovrafatturazione. Si aggiunga quella pluralità di indizi che nella parte espositiva l'avviso impugnato puntualmente elenca, ossia a) la commistione tra le varie società di rappresentanti legali e soci, tutti imparentati; b) la peculiare allocazione della sede sociale, nonché l'assenza di personale dipendente e la mancanza di depositi e sedi secondarie; c) la carenza di capacità operativa d) una pluralità di assegni bancari emessi, attestanti la ripetizione di pagamenti eseguiti, senza apparenti giustificazioni.

A fronte di una imponente pluralità di indizi l'uffici ha evidenziato il percorso logico seguito, a dimostrazione della valutazione analitica ma ad un tempo complessiva dei medesimi indizi.

La doglianza pertanto va respinta.

CONCLUSIONI

Voglia la Corte Tributaria così provvedere:

- in via preliminare, dichiarare la inammissibilità ed improcedibilità della domanda;

- rigettare comunque nel merito la domanda perché infondata in fatto e in diritto;

- con vittoria delle spese di giudizio (con distrazione al procuratore antistatario);

Si chiede la trattazione in pubblica udienza (in tal caso l'atto va notificato alla controparte ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. n. 546/1992).

Si depositano i seguenti atti: ...

Luogo e data ...

Firma ...

[1] 1. Al riguardo si segnala che l'art. 16 d.l. n. 119/2018, modificando il comma 3 dell'art. 16-bis d.lgs. n. 546/1992, ha disposto l'obbligo della costituzione in giudizio di I e II grado con modalità telematica relativamente ai ricorsi notificati a decorrere dal 1° luglio 2019 (con l'opportuno chiarimento dell'utilizzo in ogni grado di giudizio della modalità telematica indipendentemente dalla modalità prescelta dalla controparte nonché dall'avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche), con la doppia precisazione per cui, da un lato, tale dovere non opera per coloro che optano di non avvalersi dell'assistenza tecnica nelle cause di valore inferiore ai tremila euro (salvo l'obbligo, ove si intendano avvalere della modalità telematica ai fini della costituzione in giudizio, di indicare un indirizzo di posta elettronica certificata); per altro verso, per i ricorsi già iscritti a ruolo, in casi eccezionali il Presidente di Corte, o di Sezione, può autorizzare, con provvedimento motivato, il deposito con modalità diverse da quelle telematiche.

Commento

In tema di IVA la sovrafatturazione di operazioni commerciali oggettivamente inesistenti, in attuazione del principio di "cartolarità" sancito dall'art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972 (nel testo modificato dall'art. 31, comma 1, del d.lgs. n. 158/2015 ), determina l'insorgenza del rapporto impositivo a fronte della semplice "emissione" del documento contabile, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali ove non sottratto tempestivamente al commercio giuridico, senza che ciò violi il principio di neutralità dell'IVA che informa la disciplina unionale, prevalendo la funzione ripristinatoria conseguente all'eliminazione dell'anomalia creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura concernente dati difformi dalla realtà dell'operazione economica (Cass. VI, n. 4344/2019).

In tema di IVA, una volta assolta da parte dell'Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne, di contro, l'effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l'esibizione della fattura, documentazione di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (Cass. V, n. 26453/2018).

In tema d'IVA, l'Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l'indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare che l'operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l'assenza dell'operazione, non è configurabile la buona fede di quest'ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass. VI, n. 18118/2016).

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