Istanza congiunta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere

Mauro Di Marzio

Inquadramento

L'art. 46 d.lgs. n. 546/1992, rubricato: «Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere», stabilisce che il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere. La cessazione della materia del contendere è dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della Corte di giustizia tributaria. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell'art. 28. Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.

Formula

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI ....

ISTANZA CONGIUNTA DI ESTINZIONE DEL GIUDIZIO

Nella causa n. .... / .... R.G.

PROMOSSA DA:

.... con l'Avv. ....

CONTRO

.... con l'Avv. ....

PREMESSO

-) pende tra le parti in epigrafe indicate il giudizio avente ad oggetto ricorso avverso .... 1 ;

-) nelle more del giudizio è venuta meno la materia del contendere per le seguenti ragioni 2 ....

tutto ciò premesso, le parti concordemente chiedono che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

Firma Avv. ....

[1] [1]Indicare sinteticamente i termini del giudizio

[2] [2]Indicare le ragioni di cessazione della materia del contendere. Si tenga presente che nello specifico caso della cessazione della materia del contendere per annullamento dell'atto impugnato si può fare uso della formula n. 361.

Commento

L'art. 46 citato si riferisce al caso in cui il processo si estingue a seguito del verificarsi di un fatto che fa venir meno il contrasto tra le parti e dunque la lite.

Vale al riguardo distinguere:

-) i «casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge», come la conciliazione giudiziale (art. 48 d.lgs. n. 546/1992), i condoni e le sanatorie, nel caso in cui incidono sull'intera pretesa;

-) «ogni altro caso di cessazione della materia del contendere».

A quest'ultima ipotesi possono essere ricondotti i casi in cui la lite viene meno a causa del comportamento volontario di una delle parti, la quale, durante il processo, riconosce la fondatezza delle ragioni della controparte. Ciò può accadere ove l'Amministrazione riconosca l'illegittimità o l'infondatezza dell'atto impositivo, annullandolo in via di autotutela, come pure nel caso in cui il contribuente presti acquiescenza alla pretesa fiscale.

Anche la transazione fiscale conclusa nell'ambito della procedura di concordato preventivo ai sensi dell'art. 182-ter, comma 5, l.f. comporta la cessazione della materia del contendere, che deve essere dichiarata dal giudice di legittimità anche d'ufficio, con conseguente inefficacia sopravvenuta della sentenza impugnata, non vertendosi in una delle tipologie decisorie di cui agli artt. 382, comma 3, c.p.c., 383 e 384 c.p.c. (Cass., V, n. 16755/2020).

È stato affermato che la mera rimozione dell'atto impugnato anche per effetto della sua sostituzione con l'emissione di un nuovo atto determini la cessazione della materia del contendere: costituisce difatti atto di autotutela quello posto in essere dall'Amministrazione finanziaria che emette un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di quello precedente, carente delle aliquote da applicare. L'atto di autotutela, infatti, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell'atto, costituiti dai destinatari, dall'oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass. sez. trib., n. 2424/2010). Nella stessa prospettiva si trova affermato che nel processo tributario il sopravvenuto annullamento, per qualsiasi motivo, dell'atto impugnato determina la cessazione della materia del contendere, in quanto la prosecuzione del giudizio non potrebbe comportare alcun risultato utile per il contribuente, stante l'inammissibilità, in detto processo, di pronunce di mero accertamento dell'illegittimità della pretesa erariale, senza che, peraltro, il diritto di difesa dello stesso contribuente sia violato dall'eventuale riedizione del potere da parte dell'Amministrazione finanziaria, a fronte della quale potrà essere proposta impugnazione contro il nuovo atto impositivo (Cass. sez. trib., n. 33587/2018). Si è anche detto, però, che la rimozione dell'atto impugnato determina la cessazione della materia del contendere laddove la situazione giuridica sia interamente satisfattiva della domanda del ricorrente. Ed invero, l'esercizio del potere di autotutela in materia tributaria incontra un limite, oltre che nell'avvenuta formazione del giudicato sull'atto viziato e nel decorso del termine decadenziale fissato per l'accertamento, anche nella tutela del diritto di difesa del contribuente. Pertanto, l'annullamento parziale di un avviso di accertamento, con sentenza ancora soggetta ad impugnazione, non preclude all'Amministrazione finanziaria l'adozione di un nuovo avviso di contenuto identico a quello risultante dalla decisione del giudice tributario, in sostituzione o riforma dell'atto impugnato, ma l'emissione del nuovo avviso non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio tributario, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di difendere, dinanzi al giudice dell'impugnazione investito della controversia relativa al primo avviso, la tesi della non debenza totale (Cass. sez. trib., n. 7335/2010).

In senso consonante si è quindi affermato che, in tema di accertamento delle imposte, la modificazione, in diminuzione, dell'originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente. Pertanto, in sede processuale, tale evenienza non può comportare la cessazione della materia del contendere, in quanto permane l'interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l'autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., V, 18625/2020).

Nel processo tributario, la pronuncia di cessazione della materia del contendere ex art. 46 d.lgs. n. 546/1992 presuppone la cessazione della posizione di contrasto tra le parti in ragione del sopravvenire, nel corso del giudizio, di fatti sostanziali - quali l'annullamento dell'atto oggetto di impugnazione - incidenti sul petitum e sulla causa petendi della lite contestata e idonei perciò far venir meno l'interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia, con la conseguenza che non può desumersi dall'avvenuta definizione, in altro processo e con forza di giudicato, di una pretesa impositiva il venir meno del contrasto tra le parti in ordine ad un diverso atto impositivo che consegua da distinti presupposti (Cass., sez. trib., n. 5351/2020).

Ne consegue che l'integrale sgravio del ruolo disposto dopo la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva quindi dell'impugnazione, trattandosi di un comportamento che può essere fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione, senza che assuma rilievo l'esistenza o meno di atti prodromici all'atto impugnato né che tale condotta evidenzi la cessazione della materia del contendere (Cass., VI-V, n. 18976/2019).

L'estinzione opera automaticamente al perfezionarsi della fattispecie estintiva, ma deve essere dichiarata, ai sensi dell'attuale comma 2 dell'art. 46, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, dal Presidente della sezione con decreto o dalla Corte di giustizia tributaria con sentenza, a seconda che intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell'udienza di discussione.

L'art. 9, comma 1, lett. q), n. 1), d.lgs. n. 156/2015 ha novellato il comma 2 dell'art. 44 d.lgs. 546/1992, eliminando le parole: «salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge». Per l'effetto, dal 1° gennaio 2016, l'estinzione del giudizio può essere dichiarata solo con sentenza o con decreto presidenziale, con soppressione del riferimento ad altre leggi speciali.

Il decreto presidenziale è reclamabile innanzi alla Corte di giustizia tributaria ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 546/1992, mentre la sentenza collegiale è censurabile con gli ordinari mezzi di impugnazione.

La cessazione della materia del contendere è rilevabile d'ufficio, a condizione che il fatto tale da determinare la risulti dagli atti del giudizio o vi sia concorde dichiarazione in tal senso delle parti (Cass. I, n. 8822/2003).

La pronuncia di estinzione per cessata materia del contendere costituisce riflesso processuale del venir meno della ragione sostanziale di contrasto tra le parti. Non è il caso qui di prendere posizione sulla complessa questione se la pronuncia di cessazione della materia del contendere abbia natura di pronuncia di rito o di merito.

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