Atto di appello con richiesta di inibitoria della sentenza impugnataInquadramentoStabilisce l'art. 52 d.lgs. n. 546/1992 che la sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado può essere appellata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado competente. L'appellante può chiedere allaCorte di giustizia tributaria di secondo grado di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. Il successivo art. 53 disciplina la forma dell'appello e stabilisce che il ricorso in appello contiene l'indicazione della Corte di giustizia tributaria a cui è diretto, dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l'esposizione sommaria dei fatti, l'oggetto della domanda ed i motivi specifici dell'impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto, in conformità alla previsione dell'art. 18, comma 3. Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all'art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell'art. 22, commi 1, 2 e 3. Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della Corte di giustizia tributaria di secondo grado chiede alla segreteria della Corte di giustizia tributaria di primo grado la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza. FormulaCORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DI .... RICORSO IN APPELLO CON RICHIESTA DI INIBITORIA DELLA SENTENZA IMPUGNATA nella causa vertente tra il sig. ...., nato a ...., il ...., e residente in ...., C.F.: ...., elettivamente domiciliato in ...., via ...., presso lo Studio dell'Avv. ...., il quale lo rappresenta e difende giusta procura in calce al presente atto 1 ; - ricorrrente - E Il sig. .... - resistente - PREMESSO CHE -) con ricorso del .... il ricorrente .... ha agito in giudizio nei confronti di .... dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di .... per ivi sentir accogliere le conclusioni che si riportano: ....; -) a fondamento del ricorso il ricorrente ha esposto quanto segue ....; -) la controparte si è costituita per resistere, spiegando le conclusioni seguenti: ....; –) con sentenza del ...., n. ...., resa tra le parti, comunicata in data ...., la Corte di giustizia tributaria adita ha così deciso ....; –) la sentenza deve essere riformata, nella parte in cui ha respinto la domanda della odierna parte appellante, per i seguenti motivi di DIRITTO –) ....; –) ....; –) ..... Sussistono inoltre i presupposti per disporre la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata. Ricorrono infatti i seguenti gravi e fondati motivi: –) ....; –) ....; –) ..... In ogni caso dall'esecuzione dell'atto può derivare all'istante un danno grave e irreparabile. P.Q.M. voglia la Corte di giustizia tributaria di secondo grado adita, in riforma della sentenza appellata, previa sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata, accogliere le seguenti conclusioni: .... .... Luogo e data .... Avv. .... [1] [1]Occorre considerare che l'art. 12 del d.lgs. n. 546/1992 contempla l'obbligo dell'assistenza in giudizio di un difensore abilitato, per le parti diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione, dai soggetti iscritti nell'albo di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 446/1997. L'obbligo non sussiste per le controversie il cui valore non sia maggiore di tremila euro, calcolato sulla base dell'importo del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni. In caso di difetto di rappresentanza di assistenza o di autorizzazione, o in caso di vizio che determina la nullità della procura al difensore, si applica, per espresso rinvio dell'art. 12, la disciplina dell'art. 182 c.p.c. Possono essere abilitati all'assistenza tecnica: – gli avvocati, i commercialisti (iscritti nella sezione A del relativo albo), i consulenti del lavoro; – se iscritti nell'elenco tenuto a cura del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ed in possesso degli ulteriori requisiti richiesti per ciascuna categoria, a titolo esemplificativo: gli impiegati delle carriere dirigenziale; gli ufficiali e ispettori della guardia di finanza; i dipendenti delle associazioni di categoria rappresentate dal CNEL, e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate; i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) e delle relative società di servizi, limitatamente alle controversie dei propri assistiti, se scaturite da adempimenti per i quali i CAF hanno prestato assistenza. L'elenco di cui sopra è tenuto secondo le modalità stabilite nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentito il Ministero della giustizia, congiuntamente alla determinazione delle ipotesi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione, anche sulla base dei principi contenuti nel codice deontologico forense. Allo stato attuale il decreto è in fase di approvazione; – se iscritti nei relativi albi professionali, e per le controversie concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo di una particella e la consistenza, il classamento delle unità immobiliari e l'attribuzione della rendita catastale: gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi e forestali, gli agrotecnici, i periti agrari; – se iscritti nel relativo albo e per le controversie relative ai tributi doganali: gli spedizionieri doganali. I soggetti indicati possono stare in giudizio personalmente limitatamente alle controversie rientranti nell'ambito della loro attività. CommentoLe sentenze delle Corti di giustizia tributaria di primo grado possono essere impugnate mediante appello. Quest'ultimo è mezzo di impugnazione ordinario, che va proposto entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione della sentenza o, in mancanza, di sei mesi dalla data di pubblicazione. Carattere tipico dell'appello, anche nel processo tributario, è l'effetto sostitutivo, vale a dire che la pronuncia del giudice di appello si sostituisce integralmente a quella di primo grado, fatta eccezione per i casi tassativi in cui il giudice di appello deve rimettere la lite alla Corte di giustizia tributaria di primo grado. L'appello è inoltre mezzo di impugnazione, come si suol dire, a critica libera, e cioè può essere impiegato per far valere qualunque vizio della sentenza, sia di legittimità, che di merito, a differenza, ad esempio, del ricorso per cassazione, che può essere utilizzato soltanto per far valere i vizi di legittimità elencati dall'art. 360 c.p.c. Il giudizio di appello è governato dal principio devolutivo, riassunto nel latinetto tantum devolutum, quantum appellatum, il che sta a significare che il giudice di appello è investito della controversia nei limiti dei motivi di impugnazione ed eventualmente di quanto fatto oggetto di riproposizione dalla parte pur vincitrice, che abbia visto disattese una o più questioni da essa sollevate. Difatti, il processo tributario richiede la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, non essendo sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (Cass., sez. trib., n. 30444/2017). Più in specifico, nel processo tributario, l'art. 56 d.lgs. n. 546/1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all'appellato e non all'appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l'onere dell'espressa riproposizione riguarda, nonostante l'impiego della generica espressione «non accolte», non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia – rappresentata dagli artt. 56 del detto d.lgs. e 346 c.p.c., rispetto all'unica alternativa possibile dell'impugnazione – principale o incidentale – o dell'acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (Cass., sez. trib., n. 14534/2018). Ciò che non è oggetto di impugnazione, ovvero se del caso di riproposizione, rimane in linea di principio coperto dal formarsi del giudicato interno. Altro carattere precipuo del giudizio di appello è il divieto di domande nuove. Nel processo non possono essere proposte domande nuove, il che sta a significare che il petitum non può subire modificazioni oggettive (e così non può essere richiesto l'annullamento di altri atti non originariamente impugnati), ma anche che a fondamento del medesimo petitum non possono essere dedotti profili diversi. In tale prospettiva, ad esempio, è stato affermato che nel processo tributario d'appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all'originaria causa petendi e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l'indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un'eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 d.lgs. n. 546/1992 (Cass., sez. trib., n. 13742/2015). Egualmente, costituisce motivo nuovo quello concernente il vizio di sottoscrizione dell'atto di accertamento, non precedentemente dedotto (Cass., sez. trib., n. 28467/2017). Egualmente non sono ammissibili eccezioni nuove, intendendosi tuttavia con ciò soltanto le eccezioni in senso proprio, ossia quelle aventi ad oggetto la deduzione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa di controparte, e non invece le mere difese. Dunque, nel processo tributario, la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso può rendere specifica la stessa in sede di gravame poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall'art. 57, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (Cass., sez. trib., n. 12651/2018). Il giudizio di appello viene instaurato e si svolge, in generale, sulla falsariga di quello di primo grado, sia per quanto attiene alla notifica dell'atto introduttivo, che ha forma di ricorso, sia per ciò che riguarda la costituzione in giudizio. La sequenza processuale può essere così riassunta: notifica alla controparte dell'atto d'appello; costituzione in giudizio dell'appellante entro 30 giorni dalla notifica dell'appello; costituzione in giudizio dell'appellato entro 60 giorni dalla data di ricezione dell'appello; eventuale proposizione dell'appello incidentale; deposito di documenti e di memorie illustrative; trattazione della causa. La S.C. ha in più occasioni affermato che l'indicazione dei motivi di appello nel processo tributario, ai sensi dell'art. 53 d.lgs. n. 546/1992, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione a sostegno del gravame, essendo, per contro, sufficiente un'esposizione chiara e univoca – sia pure sommaria – della domanda rivolta al giudice di appello e delle ragioni della doglianza. Ne discende che i motivi di appello ben possono essere ricavati, anche per implicito, dall'intero atto d'impugnazione considerato nel suo complesso. In tale prospettiva è stato anche di recente ribadito che nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall'art. 53, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all'art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l'accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell'atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l'effettività del sindacato sul merito dell'impugnazione (Cass., sez. trib., n. 707/2019). L'art. 52, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 non richiama congiuntamente i canonici concetti del "fumus boni iuris" e del "periculum in mora", ma richiede la sussistenza di "gravi e fondati motivi" per la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata, o, comunque, di un "danno grave e irreparabile" per la sospensione dell'esecuzione dell'atto oggetto del giudizio. La sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata e dell'atto condividono il requisito della gravità, rispettivamente configurabile delibazione in diritto (non disgiunta da quella sulla fondatezza della motivazione) e con prognosi in fatto (accompagnata da una valutazione sulla irreparabilità alla luce dell'attività concretamente esercitata dall'intimato-istante). Il collegio è chiamato a verificare la sussistenza di gravi e fondati motivi o comunque del danno grave e irreparabile sulla base di un bilanciamento che deve avvenire secondo la metafora dei vasi comunicanti, potendo il maggior rilievo di uno compensare il minor rilievo dell'altro. Costituisce danno grave ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l'esecuzione della sentenza, ove foriero di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell'esecutore ed i sacrifici dell'esecutato. La gravità del danno deve altresì essere inevitabile, nel senso che non può essere efficacemente ridotta ricorrendo alla rateazione del pagamento richiesto o ad altre misure finanziarie. Costituisce danno irreparabile ciò che l'esecuzione causa con la perdita o con la distruzione delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità di un suo reintegro in natura o per equivalente in caso di accoglimento del ricorso. Sussiste il presupposto in parola quando l'ammontare dell'importo da pagare, rapportato alla situazione in cui versa il contribuente persona fisica, sia tale da produrre in capo a quest'ultimo effetti irreparabili anche sotto il profilo familiare e sociale. Depone nel senso della ricorrenza del presupposto in questione anche la circostanza che gli interessi (che spetterebbero al contribuente in caso di eventuale successiva restituzione di quanto dalla stessa indebitamente pagato in pendenza del processo) sarebbero comunque inferiori a quelli che lo stesso dovrebbe corrispondere alle banche per ottenere la provvista necessaria (Comm. trib. reg. Lombardia 11 febbraio 2019, n. 313). |