Istanza di autotutelaInquadramentoL'autotutela rientra tra gli istituti deflattivi del contenzioso. L'Amministrazione può rivedere il proprio operato, d'ufficio o su istanza del contribuente, in caso di atto viziato, laddove sussista un interesse pubblico alla sua rimozione. La materia è stata compiutamente disciplinata dal d.m. n. 37/1997. Formula
All'Agenzia delle Entrate 1 Direzione Provinciale di .... Ufficio territoriale di .... Raccomandata A.R. 2 Oggetto: istanza di autotutela (ai sensi dell'art. 68 d.P.R. n. 287/1992, dell'art. 2-quater d.l. n. 564/1994 e del d.m. n. 37/1997). Il/La sottoscritto/a ...., nato/a a ...., il ...., residente in ...., via ...., n. ...., CAP ...., C.F. ...., P.IVA ...., tel. ...., fax ...., e-mail ...., P.E.C. ....; OPPURE Il/La sottoscritto/a ...., nato/a a ...., il ...., residente in ...., via ...., n. ...., CAP ...., C.F. ...., in qualità di legale rappresentante della società ...., con sede in ...., C.F. ...., P.IVA ...., tel. ...., fax ...., e-mail ...., P.E.C. .... OPPURE Il/La sottoscritto/a ...., nato/a a ...., il ...., residente in ...., via ...., n. ...., CAP ...., C.F. ...., in qualità di procuratore (generale/speciale), giusta procura in calce/a margine/ allegata alla presente istanza, di ...., con sede in ...., C.F. ...., partita IVA ...., tel. ...., fax ...., e-mail ...., P.E.C. .... PREMESSO che in data .... è stato notificato il seguente atto: – cartella di pagamento – rigetto istanza di rimborso – avviso di liquidazione – avviso di rettifica – avviso di accertamento – atto di contestazione – altro .... 3 con n. / prot. .... del .... relativo all'anno d'imposta ....; che con tale è atto è stata contestata/richiesta/pretesa .... 4 ; che, con riferimento ai seguenti importi/recuperi .... 5 l'atto risulta illegittimo per questi motivi .... 6 . Tanto premesso CHIEDE il riesame e l'annullamento totale / parziale dell'atto .... consapevole che questa richiesta non sospende i termini per la proposizione del ricorso alla Corte di giustizia tributaria 7 . Si allegano i seguenti documenti: 1) Copia dell'atto; 2) ....; 3) .... 8 ; Luogo e data .... Firma .... [1] [1]L'istanza va presentata all'ufficio che ha emanato l'atto. Se l'istanza di autotutela è presentata contro un accertamento, l'istanza deve essere inviata all'ente impositore (Agenzia delle Entrate, Inps, ecc.). Se è riferibile ad una cartella di pagamento, deve essere presentata sia all'ente impositore sia all'Agente della riscossione (che, per le imposte erariali, è Agenzia Entrate Riscossione). [2] [2]L'istanza, redatta in carta libera e non soggetta all'imposta di bollo può essere trasmessa dal contribuente all'ufficio competente a mano, con raccomandata a/r, o utilizzando la P.E.C. Non vi sono vincoli di forma. [3] [3]Indicare lo specifico atto notificato. [4] [4]Descrivere il contenuto dell'atto e della pretesa. [5] [5]Indicare imposta, maggiore imposta, sanzioni, interessi, altro. [6] [6]Descrivere l'errore, i motivi della illegittimità e le norme asseritamente violate. [7] [7]In caso di atti impugnabili. [8] [8]Copia di documenti utili al riesame. CommentoL'autotutela. L'istituto dell'autotutela rientra tra gli strumenti che hanno la finalità di evitare un contenzioso tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria e di assicurare il giusto equilibrio tra la pretesa erariale, da un lato, e i diritti del contribuente e l'effettiva capacità contributiva, dall'altro. L'agenzia, di ufficio o su istanza del contribuente, preso atto di aver commesso un errore, può annullare, revocare, sostituire l'atto emesso e correggerlo senza attendere una decisione giudiziaria. L'istituto dell'autotutela è esperibile tutte le volte in cui un atto risulti viziato e nel contempo sussista un interesse pubblico alla sua rimozione (ovvero alla sua rettifica) onde evitare di incidere negativamente nella sfera giuridico patrimoniale del contribuente. La dottrina distingue l'annullamento dell'atto illegittimo, perché presenta elementi invalidanti, dalla revoca, che comporta il ritiro dell'atto non per motivi di illegittimità ma di opportunità; la rinuncia, invece, non è un vero e proprio atto ma la manifestazione di volontà dell'amministrazione di non avviare un procedimento di accertamento o di abbandonare quello in corso per il sopravvenire di elementi in fase di verifica non favorevoli alla p.a. Esiste anche una forma di autotutela sfavorevole per il contribuente: si pensi al riesame positivo che conferma l'atto emesso se dall'attività di controllo non emergono elementi invalidanti; all'autotutela sostitutiva, che comporta la sostituzione dell'atto viziato con un nuovo atto privo di vizi; all'autotutela modificativa o integrativa, con la quale l'amministrazione, venuta a conoscenza di nuovi elementi, emette un atto che apporta modifiche al precedente. Disciplina di riferimento. L'annullamento d'ufficio degli atti dell'amministrazione finanziaria ha trovato il suo primo fondamento legislativo generale espresso nell'art. 68, comma 1, d.P.R. n. 287/1992 (Regolamento degli uffici e del personale del Ministero delle finanze, abrogato dall'art. 23 d.P.R. n. 107/2001). A questa disposizione hanno fatto seguito l'art. 2-quater del d.l. n. 564/1994 (come vedremo oggetto di pronuncia della Corte Costituzionale), convertito nella l. n. 656/1994, che detta, fra le altre, regole sull'individuazione degli organi competenti all'autotutela, sulla definizione dei criteri per il suo esercizio (commi 1, 1-bis e 1-ter) e sulle ipotesi di annullamento o revoca parziali (commi 1-sexies, 1-septies e 1-octies), e il d.m. n. 37/1997 (Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria). Tale ultimo decreto ha compiutamente disciplinato e riordinato la materia. Nella disciplina legislativa e regolamentare dell'autotutela tributaria è previsto, in particolare, che l'amministrazione finanziaria possa in primo luogo annullare d'ufficio i propri atti illegittimi o infondati anche in pendenza di giudizio e anche se si tratta di atti non impugnabili (art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564/1994), e che, in caso di «grave inerzia» dell'ufficio che ha adottato l'atto illegittimo, può intervenire in via sostitutiva la Direzione regionale dalla quale l'ufficio stesso dipende (art. 1 del d.m. n. 37/1997). Il citato regolamento del 1997 individua espressamente alcuni casi in cui l'amministrazione finanziaria può procedere all'annullamento d'ufficio «senza necessità di istanza di parte» (art. 2) e dispone che nell'esercizio dell'autotutela «è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso» (art. 3). Ulteriori disposizioni concernenti l'autotutela sono dettate dalla l. n. 212/2000, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», che, all'art. 7, comma 2, lettera b) l. n. 212/2000, prescrive che, negli atti dell'amministrazione finanziaria, sia indicata l'autorità presso la quale è possibile promuovere la loro revisione in sede di autotutela, e che, all'art. 13, comma 6, affida al Garante del contribuente il compito di attivare le procedure di autotutela nei confronti degli atti di accertamento e di riscossione notificati al contribuente. Competenza. Il potere di autotutela appartiene allo stesso Ufficio che ha emanato l'atto, ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale delle entrate da cui l'ufficio dipende che lo esercita nelle forme dell'annullamento o della rinuncia all'imposizione in caso di auto accertamento (art. 1 d.m. n. 37/1997). Un atto illegittimo può essere annullato “d'ufficio”, autonomamente dall'amministrazione, oppure su richiesta del contribuente. La legge delega per la riforma fiscale (l. n. 111/2023), prevede il potenziamento dell'esercizio del potere di autotutela, estendendolo “agli errori manifesti nonostante la definitività dell'atto”, nonché prevedendo l'impugnabilità “del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate”, limitando di converso la responsabilità nel giudizio amministrativo contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose (art. 4, comma 1, lett. h). Le ipotesi di annullamento di ufficio. L'art. 2 del d.m. cit. al comma 1 dispone che l'amministrazione può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell'imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione. Non si tratta di una elencazione tassativa. Al comma 2 dispone che non si procede all'annullamento d'ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria. L'Amministrazione, nella circ. 8 luglio 1997, n. 195/E, ha precisato che non costituisce ostacolo all'autotutela la sentenza passata in giudicato che abbia esclusivamente accertato l'esistenza di ragioni pregiudiziali (irricevibilità, difetto di giurisdizione, incompetenza, inammissibilità, improcedibilità) che hanno precluso al giudice ogni esame del merito del rapporto tributario e, quindi, ogni pronuncia sul punto. È data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso (art. 3). Annullamento su istanza di parte. Il procedimento di autotutela può essere avviato anche su istanza del contribuente L'istanza, redatta in carta libera e non soggetta all'imposta di bollo, può essere trasmessa dal contribuente all'ufficio competente a mano, con raccomandata a/r, o utilizzando la PEC. Non vi sono vincoli di forma. Se l'istanza di autotutela è presentata contro un accertamento, l'istanza deve essere inviata all'ente impositore (Agenzia delle Entrate, Inps, ecc.). Se è riferibile ad una cartella di pagamento, deve essere presentata sia all'ente impositore sia all'Agente della riscossione (che, per le imposte erariali, è Agenzia Entrate Riscossione). In caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo e tenuto a trasmetterla all'ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente (art. 5 d.m. cit.). Sospensione della riscossione. La legge di stabilità del 2013 (all'art. 1, commi da 537 fino a 543 l. n. 228/2012), ha disciplinato un procedimento di sospensione della riscossione, laddove iniziata, attivabile su iniziativa del contribuente; entro 60 giorni dalla notifica di un primo atto di riscossione, può essere domandata la sospensione della riscossione documentando che gli atti emessi dall'ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l'avviso per i quali si procede, sono stati interessati: a) da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; b) da un provvedimento di sgravio emesso dall'ente creditore; c) da una sospensione amministrativa comunque concessa dall'ente creditore; d) da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell'ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte; e) da un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell'ente creditore; f) da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso, lettera soppressa dall'articolo 1, comma 1, lettera a), punto 2), del d.lgs. 24 settembre 2015 n. 159. Contenuto dell'istanza. L'istanza deve contenere un'esposizione sintetica dei fatti (cioè il ricevimento di una cartella o di un accertamento) e deve essere corredata dalla documentazione idonea a dimostrare le tesi sostenute. Nella istanza occorre indicare: – l'atto di cui si chiede l'annullamento; – i motivi che fanno ritenere tale atto illegittimo e, di conseguenza, annullabile in tutto o in parte (compreso le norme asseritamente violate); – la richiesta (ossia la rettifica, la riduzione o l'annullamento dell'atto impugnato). Profili procedimentali. L'annullamento dell'atto illegittimo può essere richiesto ed effettuato anche se: – il giudizio è ancora pendente; – l'atto è divenuto ormai definitivo per decorso dei termini per ricorrere (l'Agenzia deve tenere comunque conto della richiesta); – il contribuente ha presentato ricorso e questo è stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) con sentenza passata in giudicato (se è favorevole all'amministrazione, non si può procedere all'annullamento d'ufficio). L'ufficio, venuto a conoscenza dei vizi dell'atto autonomamente o su istanza del contribuente, verifica se gli elementi in suo possesso giustificano l'apertura del procedimento di riesame, comunica al destinatario dell'atto e ad eventuali contro interessati l'avvio del procedimento; emette un atto motivato di rigetto o accoglimento della istanza, comunica l'esito al contribuente. Poiché l'autotutela è per l'Amministrazione una facoltà discrezionale, la presentazione di un'istanza non sospende i termini per la presentazione del ricorso al giudice tributario. Risposta. L'autotutela tributaria è un potere esercitabile dall'Amministrazione sulla base di valutazioni discrezionali. Questo significa che l'Agenzia delle Entrate non è tenuta né a rispondere né ad annullare l'atto. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'autotutela tributaria – che non si discosta, in questo essenziale aspetto, dall'autotutela nel diritto amministrativo generale – costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione e tutela del contribuente (ex multis, Cass., sez. trib., n. 7511/2016; Cass., sez. trib., n. 23765/2015; Cass., sez. trib., n. 3442/2015; Cass., sez. trib., n. 24058/2014; Cass., sez. trib., n. 15451/2010; Cass., sez. trib., n. 11457/2010; Cass., S.U., n. 16097/2009; Cass., S.U., n. 7388/2007; Cass. V, n. 1547/2002; Cass., S.U., n. 8685/1996). Il privato può naturalmente sollecitarne l'esercizio, segnalando l'illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564/1994, nella sentenza n. 181/2017, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità, ha argomentato che la ricostruzione della giurisprudenza della Cassazione in materia è corretta: “non esiste un dovere dell'amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d'altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Cass., S.U., n. 7388/2007; Cass. V, n. 13412/2000), con la conseguenza che il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice” (si segnala che il rimettente censura l'art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564/1994 e l'art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, perché consentono all'amministrazione di mantenere in vita atti impositivi «palesemente illegittimi», che portano a essa «un profitto sostanzialmente ingiustificato e del tutto svincolato dalla capacità contributiva del contribuente», e di «rimanere inerte sull'istanza» di autotutela in ipotesi presentata dal destinatario interessato, con la conseguenza che per quest'ultimo è impossibile contestare il silenzio, in violazione degli artt. 3,23 e 53 Cost.). Argomenta la Corte che «La non irragionevolezza della disciplina esaminata non comporta che siano precluse al legislatore altre possibili scelte. Questa Corte ha già osservato che, “in via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale” (sentenza n. 75/2000). La previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l'introduzione di limiti all'esercizio del potere di autoannullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima, per le ragioni sopra viste, una disciplina generale che escluda il dovere dell'amministrazione e, per quanto qui interessa, delle Agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze di autotutela». L'Amministrazione, invero, in svariati documenti ha sollecitato un cambio di rotta degli uffici ad un uso concreto e tempestivo dello strumento deflattivo dell'autotutela, richiamando espressamente il dovere dell'amministrazione alla rimozione tempestiva dell'atto illegittimo, al fine di migliorare il rapporto con i contribuenti, limitare i costi del contenzioso, evitare responsabilità (tra le varie, direttiva n. 48/2012). Si segnala che, nella fase di riscossione, l'autotutela, se proveniente non dall'Agente della riscossione ma dall'ente impositore, prende il nome di “sgravio” degli importi. Quando non è ancora stato emesso l'atto impositivo, l'autotutela si concretizza in un'archiviazione della pratica (si pensi al parziale “annullamento” dell'avviso bonario a seguito di controllo formale o al mancato recepimento di alcuni rilievi del “PVC” dopo le memorie difensive del contribuente). La legge non indica un termine entro il quale deve intervenire l'annullamento dell'atto in autotutela; a giudizio della Corte di Cassazione esso deve essere comunque reso in tempi ragionevoli, nel rispetto dei principi costituzionali, non rilevando la mancata previsione di un termine entro il quale l'autotutela deve essere esercitata; spetta al giudice del merito verificare se il tempo impiegato dall'Amministrazione sia stato eccessivo o meno (Cass. III, n. 6283/2012). Dell'eventuale annullamento, o rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, è data comunicazione al contribuente, all'organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso nonché – in caso di annullamento disposto in via sostitutiva – all'ufficio che ha emanato l'atto (art. 4, comma 2 d.m. n. 37/1997). L'atto deve essere motivato con indicazione dell'interesse pubblico specifico e delle ragioni di illegittimità che sostengono l'annullamento. Nel caso di rifiuto del provvedimento di autotutela, lo stesso può essere espresso o tacito, senza esplicitazione dei motivi, non essendo previsto un obbligo a provvedere. Effetti. L'annullamento dell'atto illegittimo comporta automaticamente l'annullamento degli atti ad esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento infondato comporta l'annullamento della conseguente iscrizione a ruolo e delle relative cartelle di pagamento) e l'obbligo di restituzione delle somme riscosse sulla base degli atti annullati. Processualmente, il mancato esercizio dell'autotutela può avere effetti sul versante delle spese, in quanto l'ente impositore, oltre che alle spese processuali, può essere condannato per responsabilità processuale aggravata o patire una condanna secondo equità. È possibile agire dinanzi al giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente patiti (art. 2043 c.c.) se l'amministrazione finanziaria non agisce in autotutela su di un atto rivelatosi viziato. Impugnabilità. Avverso l'atto con cui l'Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non è esperibile un'autonoma tutela (Cass., S.U., n. 2870/2009). Va chiarito che l'evoluzione giurisprudenziale in materia non è affatto lineare. La Corte di Cassazione, nella ordinanza n. 25135/2018, ha ribadito che il diniego dell'annullamento di atto richiesto, sollecitando il potere di autotutela dell'ente impositore, può essere impugnato dal contribuente solo per motivi riguardanti la legittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere (Cass., V, n. 21146/2018) e non già per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr., Cass. sez. trib., ord. n. 8626/2018; Cass. sez. trib., ord. 17 maggio 2017). Sono, quindi queste ragioni di interesse generale, originarie o anche sopravvenute, che giustificano la sollecitazione del potere di autotutela, non anche per vizi di merito del provvedimento in relazione a vizi che siano nell'interesse proprio ed esclusivo del contribuente (Cass. V, n. 7318/2022); in ogni caso, possono essere sollevati di illegittimità del rifiuto e non anche profili attinenti alla fondatezza della pretesa tributaria Cass. V, n. 25659/2023). Tale principio ha trovato conferma anche nella giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost., n. 181/2017 cit.), secondo cui l'autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d'ufficio sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente. L'impugnabilità del diniego di autotutela è quindi possibile solo quando sussistono profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, dato che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass. IV, n. 3442/2015; da ultimo Cass., sez. trib., n. 8559/2019). La Corte di Cassazione, V nell'ordinanza n. 4937/2019, ha argomentato che «l'interesse generale” può riscontrarsi ad es. nell'interesse derivante dall'intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione oppure nel caso di richiesta di annullamento di un provvedimento basato su una affermazione di principio errata, suscettibile di generalizzazione. Quanto invece all'atto definitivo, si è osservato come “questa Corte di legittimità, del resto, aveva già da tempo chiarito che il contribuente il quale richieda "all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria” (Cass., VI-V, n. 25524/2014). Ed il principio è stato successivamente confermato, statuendo che "in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull'impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., V, n. 7616/2018). Conf. Cass., V, n. 24033/2019. Sembra comunque dominante un orientamento fortemente restrittivo in punto di impugnabilità del diniego, con conseguente inammissibilità dei ricorsi non sorretti dalla prospettazione dell'interesse generale alla rimozione dell'atto e qualora i motivi di ricorso non attengano alla legittimità del diniego stesso impugnato. Dunque, come si è visto, l'impugnativa deve riguardare il corretto esercizio del potere discrezionale della p.a. (la legittimità del rifiuto) non la fondatezza della pretesa. Il giudice tributario “non può prendere in alcuna considerazione eventuali vizi degli atti di accertamento, né, tantomeno scendere nell'esame della debenza o meno della pretesa azionata» (C.t.p., Toscana-Pisa VI, n 496/2014). In definitiva, la valutazione del giudice circa l'illegittimità o meno del provvedimento di diniego, deve essere effettuata comparando “le ragioni esplicitate dal contribuente nella richiesta e quelle contenute nel provvedimento” (la sentenza da ultimo citata chiarisce che una motivazione generica è sicuramente censurabile e che, pertanto, quello che rileva è l'analisi della motivazione addotta dalla Pubblica Amministrazione innanzi ad una precisa domanda del cittadino; in effetti – in tali circostanze – “giustificazioni di mero stile” o “puramente accademiche” possono suggerire ai giudici la fondatezza delle censure sollevate dal contribuente). Desta interesse la recente ordinanza della Corte di Cass. VI, n. 1803/2019, che ha riconosciuto la possibilità di impugnare il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela qualora quest'ultimo possa essere qualificato come atto “di conferma cd. propria”, ossia, se “l'amministrazione entra nel merito dell'istanza e dopo aver considerato i fatti e motivi prospettati dal richiedente, si esprime in senso negativo”, dando corso in tal modo ad “un vero e proprio procedimento di riesame, con una nuova valutazione in fatto ed in diritto”. In tal caso, si legge ancora nella sentenza, l'atto di diniego emanato si sostituisce al procedente come fonte di disciplina del rapporto; in altri termini, il precedente provvedimento resta assorbito dal nuovo e in tale evenienza è ammissibile l'impugnazione di quest'ultimo (nuova pretesa impositiva). L'annullamento e la revoca parziali non sono impugnabili autonomamente. La Corte di Cassazione nella ordinanza n. 29595/2018 dà continuità all'indirizzo secondo cui: “in tema di contenzioso tributario, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa” (Cass. n. 7511/2016; così Cass. n. 25673/2016). Si ripropone, dunque, la impugnabilità di quella che diviene di fatto una nuova pretesa impositiva. Ai sensi dei commi da 1-sexies a 1- octies dell'art. 2-quater del d.l. n. 564/1994 (aggiunti dall'art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 159/2015) nei casi di annullamento o revoca parziali dell'atto, il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l'atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto, purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute. Tali disposizioni non si applicano alla definizione agevolata prevista dall'art. 17, comma 2, d.lgs. n. 472/1997. |