Natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie: il travagliato percorso dall’Unità nazionale all’Ordinamento repubblicano
05 Dicembre 2019
Le Commissioni Tributarie [denominazione tralaticia che ne denuncia l'antica origine amministrativa pre-unitaria (In molti Stati preunitari si faceva riferimento all'esperienza francese del “partage des compétences ou division des pouvoirs”: la cognizione in materia di imposte dirette era attribuita ad organi amministrativi e la giurisdizione sulle imposte indirette era riconosciuta ai Giudici ordinari)] furono istituite con Legge 14 luglio 1864, n. 1830, sull'imposta di ricchezza mobile - e confermate dalla Legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E - per “deliberare sulla somma di reddito effettivo”, mentre per le imposte indirette era prevista - oltre al facoltativo ricorso amministrativo - la giurisdizione del Giudice ordinario; successivamente esse divennero organi speciali di contenzioso amministrativo per questioni di “semplice estimazione”, estese anche ad altri tributi (per il resto, la cognizione tributaria restava attribuita al Giudice ordinario). Entro tali limiti, quindi, furono ritenute organi giurisdizionali e la migliore dottrina (Santi Romano, “Le giurisdizioni speciali amministrative”, in “Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano”, diretto da Vittorio Emanuele Orlando, Milano 1907; pag. 577 e ss. “la competenza giudiziaria è ristretta, normalmente, solo alle questioni che riguardano la tassabilità del reddito (an debeatur), mentre le controversie relative all'accertamento e all'ammontare delle imposte (quantum debeatur) sono deferite a giurisdizioni amministrative speciali”) del primo 900 le annoverava tra le giurisdizioni speciali amministrative.
Con R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, convertito nella L. 7 giugno 1937, n. 1016, ed i successivi R.D. n. 1516/1937 e D.L. 334/1944, tale giurisdizione delle Commissioni Tributarie fu estesa alle imposte indirette sugli affari e, con il citato R.D.L. 1639/1936, furono istituite le Commissioni Distrettuali e Provinciali, inserite in un sistema procedimentale articolato in ben sei gradi di giudizio: tre dinanzi alle Commissioni Tributarie (distrettuale, provinciale e centrale) e tre dinanzi al Giudice ordinario (Tribunale, Corte d'Appello e Cassazione). Natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie
Nel 1948 - con l'art. 102, Cost. - fu stabilito che “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali”, e - con la VI disposizione transitoria - che, entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione (tale termine fu poi ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza meramente ordinatorio), si dovesse procedere alla revisione dei preesistenti organi di giurisdizione speciale. Nonostante la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale avessero concordemente riconosciuto la natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie e la Corte di Cassazione continuasse ad affermarne la natura giurisdizionale (SS.UU. nn. 2175 e 2201 del 1969), nel 1969 la Corte Costituzionale cambiò orientamento con le sentenze nn. 6 e 10, negandone la natura giurisdizionale. Ciò perché il contenzioso dinanzi alle Commissioni Tributarie non esauriva l'iter del giudizio, atteso che potevano seguire altri tre gradi di giurisdizione dinanzi al Giudice ordinario, ed una fase giurisdizionale non poteva che seguire ad una fase amministrativa. Tuttavia, re melius perpensa, con sentenza n. 287/1974 redatta dallo stesso giudice-estensore della precedente opposta sentenza n. 10/1969 (“un'acrobatica giravolta” secondo Giuliano Tabet), la Consulta torna sui suoi passi riconoscendo la natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie. Ciò perché il Giudice ordinario non aveva mai avuto giurisdizione sulle controversie di “semplice estimazione”, che restavano - in via esclusiva - nella cognizione delle Commissioni Tributarie cui, però, con le citate sentenze nn. 6 e 10 del 1969, la Consulta aveva negata la natura giurisdizionale; pertanto, l'art. 113 Cost., secondo cui: “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa”, sarebbe rimasto per tali controversie del tutto inapplicabile. Il riconoscimento della natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie era stato necessariamente esteso al periodo antecedente la revisione costituzionale operata dalla legge delega n. 825/1971, cui fece seguito il d.P.R. n. 636/1972, per non impattare sul divieto di nuova istituzione di giudici speciali imposto dall'art. 102 della Costituzione. Ampiezza della giurisdizione tributaria
Tale episodica quinquennale giurisprudenza costituzionale (dalle sentenze nn. 6 e 10 del 1969 alla sentenza n. 287 del 1974), negazionista della natura giurisdizionale delle Commissioni Tributarie, influenzò radicalmente la legiferazione tributaria procedimentale del periodo; infatti, i decreti delegati del 1972-1973 (Legge delega n. 825/1971- La questione dell'autorizzazione giudiziaria non è stata affrontata neanche dalla legge delega n. 413 del 1991, cui seguirono i vigenti decreti legislativi n. 545 (ordinamentale) e n. 546 (processuale) del 1992, e successive modificazioni di integrazione) risolsero tuzioristicamente la questione dell'autorità giudiziaria competente ad autorizzare* operazioni (Tra tutte le attività efficacemente possibili, vanno esercitate quelle meno invasive e più economiche in termini di risorse da consumare, senza compromettere l'incisività del controllo; “Nel condurre le indagini, gli Uffici non sono obbligati ad esercitare tutti i poteri messi a loro disposizione dal legislatore... o con la medesima intensità nei confronti di tutti i soggetti controllati" Falsitta, Manuale di diritto tributario, vol. I, Padova, 1995, pagg. 531-532. In tal senso anche Lupi, Diritto tributario, vol I, Milano, 1999, pag. 176) ispettive tributarie particolarmente invasive [Superiori esigenze di giustizia o di interesse generale possono giustificare una compressione temporanea dei diritti civili solo se e nella misura in cui siano realmente funzionali a conseguire tali esigenze ed interessi generali. “…consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa per il quale la P.A. deve esercitare i poteri di cui è dotata in modo da ottenere la soddisfazione dell'interesse pubblico con il minor sacrificio di quello privato” Falsitta, Manuale di diritto tributario, vol. I, Padova, 1995, pagg. 531-532. - cfr. Barone, voce Discrezionalità I) diritto amministrativo, in Enc. Giur. Vol XI, Roma, 1989, pag. 4 - Salvini, La partecipazione del privato all'accertamento, Padova, 1990, pag. 129 e segg. - Gallo, Discrezionalità nell'accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell'Ufficio, in "Riv. Dir. Sc. Fin.", 1992, I, pag. 665], attribuendone il potere al Procuratore della Repubblica o, comunque, all'autorità giudiziaria più vicina (talché può anche essere il giudice di pace ordinario).
Qualunque magistrato ordinario: giudicante o inquirente/requirente è dunque competente ex lege a valutare ed autorizzare l'operazione ispettiva tributaria richiesta, la cui eventuale invalidità travolgerebbe, per derivazione o per carenza probatoria, il provvedimento conclusivo del procedimento impositivo-sanzionatorio, oggetto** di giurisdizione delle Commissioni Tributarie. L'attuale ampiezza della giurisdizione tributaria, sancita dall'art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, è piena ed esclusiva “per tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, ed in via incidentale per “ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato la capacità delle persone, diverse dalla capacità di stare in giudizio”. Sorge, pertanto, spontanea una domanda: consideratane la consolidata riconosciuta natura giurisdizionale, non sarebbe la Commissione Tributaria il giudice naturale per il rilascio di tali autorizzazioni giudiziarie?
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