Divorzio e procedimenti ex art. 709 ter c.p.c.: la dimora di fatto radica la competenza

Cristina Ravera
18 Dicembre 2019

La residenza abituale del coniuge, rilevante ai fini della determinazione della competenza nel giudizio di divorzio, coincide con la sede di abituale e volontaria dimora
Massima

La residenza abituale del coniuge, rilevante ai fini della determinazione della competenza nel giudizio di divorzio, coincide con la sede di abituale e volontaria dimora, intesa come permanenza del coniuge nel luogo ove si concentrano le consuetudini di vita e le ordinarie relazioni personali e sociali, a prescindere dalle risultanze anagrafiche, che assumono un mero valore indiziario.

Il caso

Tizia, anagraficamente residente in provincia di Como e domiciliata di fatto Milano, instaura il giudizio di divorzio al Tribunale di Como. Nell'ambito di tale procedimento, Tizia propone un ricorso ex art. 709 ter c.p.c. per la soluzione di una controversia relativa al percorso scolastico dei figli minori. Caio eccepisce la incompetenza territoriale. Il Tribunale di Como dichiara la propria incompetenza territoriale a conoscere della domanda ex art. 709 ter c.p.c.

La questione

La questione in esame è la seguente: che cosa si intende per “residenza abituale” di un coniuge ai fini della competenza per territorio in ordine alla domanda di divorzio e ai procedimenti ex art. 709 ter c.p.c. promossi in corso di causa?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Como ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi in un procedimento ex art. 709 ter c.p.c. proposto nell'ambito di un giudizio di divorzio.

Il Giudice ha evidenziato che la disposizione dell'art. 709 ter c.p.c., che attribuisce la competenza a conoscere detto procedimento al “giudice del procedimento in corso”, va intesa nel senso che la competenza a conoscere del procedimento ex art. 709 ter c.p.c. proposto in corso di causa presuppone la competenza del giudice a trattare il procedimento nel quale si innesta quello promosso ex art. 709 ter c.p.c. (i.e. nel caso di specie, il giudizio di divorzio).

Trattandosi di un giudizio di divorzio, a mente dell'art. 4 l. 898/1970, la competenza territoriale spetta al giudice del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio e, qualora sia residente all'estero o risulti irreperibile, al giudice del luogo di residenza o domicilio del coniuge ricorrente.

Nel caso di specie, essendo il coniuge convenuto residente in Svizzera, il criterio di competenza era la residenza o il domicilio del coniuge ricorrente. Orbene, tale coniuge era anagraficamente residente nel circondario del Tribunale di Como, ma domiciliato di fatto a Milano.

Il Tribunale ha evidenziato che in Milano si trovava la casa coniugale assegnata al coniuge ricorrente e ivi tale coniugale svolgeva la propria attività lavorativa e i figli minori frequentavano la scuola.

Alla luce di tali elementi, il Tribunale ha ritenuto che la dimora di fatto del coniuge ricorrente fosse da individuarsi in Milano, a nulla rilevando le mere risultanze anagrafiche - che individuavano la residenza del coniuge ricorrente nel circondario del Tribunale di Como - e la circostanza che tale coniuge si recasse di frequente in detto circondario ove disponeva di una abitazione.

Osservazioni
Nei giudizi di divorzio, il criterio di riparto della competenza territoriale è fissato dall'art. 4 l. 898/1970 - dopo l'intervento della Corte Costituzionale (con la pronuncia del 23 maggio 2008 n. 169) - nel luogo di residenza o di domicilio del coniuge convenuto.Le nozioni di residenza e domicilio si desumono dall'art. 43 c.c. e s'identificano, rispettivamente, con il luogo in cui il coniuge convenuto ha stabilito la sede principale dei propri affari e interessi e con quello in cui ha la sua dimora abituale, da determinarsi in ambo i casi sulla base di un duplice elemento, oggettivo e soggettivo.

In particolare, per quanto concerne la individuazione del domicilio, occorre avere riguardo al luogo ove si trova il centro di riferimento dei rapporti della persona - intesi non solo in senso economico e patrimoniale, ma anche morale, sociale e familiare – unitamente alla effettiva volontà di ivi collocarlo, a prescindere dalla dimora o dalla concreta presenza in quel determinato luogo.

La residenza è invece, intesa, come permanenza della dimora della persona in un determinato luogo, con l'intenzione di rimanervi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni familiari e sociali.

Ai fini della competenza per territorio in ordine alla domanda di divorzio, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la residenza, intesa nei termini di cui sopra, è individuata nel luogo di abituale e volontaria dimora della persona, desumibile dalle consuetudini di vita e dalle relazioni personali e sociali, rispetto al quale le risultanze anagrafiche hanno un mero valore indiziario. A tali fini, il certificato anagrafico ha un mero valore presuntivo in ordine al luogo di effettiva dimora abituale, suscettibile di essere superato con la allegazione, a cura della parte interessata, di altri elementi indicativi di una diversa ubicazione della dimora.

La pronuncia in commento è in linea con tale orientamento, in quanto supera il dato anagrafico valorizzando altri elementi – nella specie, l'ubicazione della casa coniugale, la sede dell'attività lavorativa del coniuge e degli istituti scolastici frequentati dai figli – indicativi di una residenza abituale in località diversa da quella anagrafica.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.