Misure di protezione dei minori: quale Stato competente per l'applicazione?

24 Dicembre 2019

Quali sono i criteri in base ai quali una sentenza inerente interventi a tutela di minori, adottata da uno stato membro dell'Unione Europea, possa essere riconosciuta in Italia?
Massima

Nell'ipotesi in cui un minore abbia cittadinanza in uno Stato e residenza abituale in un altro, compete a quest'ultimo verificare l'adempimento dei presupposti dell'onere sostanziale, rappresentato dalla capacità di operare nell'impossibilità o inerzia dello Stato di residenza abituale del minore, competente in via principale, nonché dell'onere formale, consistente nell'avviata interlocuzione preliminare con lo stesso, necessari perché lo Stato di cui il minore sia cittadino possa adottare misure giudiziarie o amministrative in suo favore.

Il caso

Con sentenza pronunciata dal Tribunale distrettuale di una cittadina ucraina veniva disposto il trasferimento di una minore, nata in Italia ed ivi residente dalla nascita, presso la madre, residente appunto in Ucraina, con ordine di riconsegna rivolto al padre, già convivente con la bambina. La Corte d'Appello di Venezia riconosceva l'efficacia della predetta sentenza ucraina, ritenendo non ostativa a tale riconoscimento nemmeno la pendenza in Italia del procedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale, introdotto dal padre della minore nei confronti della genitrice successivamente alla definizione del giudizio ucraino. Conseguentemente, la predetta decisione della Corte italiana veniva impugnata dal genitore della minore, anche alla luce della pendenza del procedimento di decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale.

La questione

La questione in esame è la seguente: l'identificazione dei criteri in base ai quali una sentenza inerente interventi a tutela di minori, adottata da uno stato membro dell'Unione Europea, possa essere riconosciuta in Italia.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia la Suprema Corte analizza la possibilità di delibare in Italia una sentenza emessa da uno Stato non facente parte dell'Unione Europea (nella specie Ucraina) inerente la fissazione della residenza di una minore presso la madre, nello Stato estero. La fattispecie rientrerebbe per materia appieno nelle ipotesi disciplinate dall'art. 23 del regolamento n. 2201/2003, relativo ai “motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale”, qualora ad emettere la decisione da riconoscere fosse stato uno Stato membro dell'Unione Europea. Trattandosi invece di un Paese extra-Unione, la normativa di riferimento è quella di cui all'art. 64 l.218/1995, che prevede alla lettera a) che l'automatico riconoscimento della sentenza straniera in Italia possa avvenire quando il giudice che l'ha pronunciata poteva avere cognizione della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano. Nel caso concreto, la sentenza ucraina regolamentava la responsabilità genitoriale predisponendo misure rientranti tra gli istituti di protezione del minore, finalizzate alla tutela del suo preminente interesse : è evidente come con tali presupposti la prima condizione per il riconoscimento della sentenza straniera che la Corte di legittimità ha dovuto affrontare sia stata la sussistenza della condizione di reciprocità di cui al predetto art.64 lett.a)l.218/95,che,come rimarcato anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia Cass. civ. 8 aprile 2011, n. 8038, richiede che una sentenza straniera possa essere riconosciuta in Italia soltanto se pronunciata dal giudice che sarebbe competente in base ai criteri che, in casi corrispondenti, determinerebbero la giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero. Requisito fondamentale per la delibazione in Italia è, pertanto, la competenza del giudicante straniero nella materia oggetto della decisione, da determinare in base ai criteri dell'ordinamento italiano. Per la verifica della sussistenza della condizione di reciprocità, però, la Suprema Corte non ha trascurato lo specifico oggetto della sentenza da delibare, prendendo a tal fine in considerazione anche l'art.42 della medesima l. n. 218/1995,che per la determinazione dell'autorità e della legge applicabile nella specifica materia della protezione dei minori rimanda alla Convenzione sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, adottata all'Aja il 5 ottobre 1961 e resa esecutiva in Italia con l.n. 742/1980, sottoscritta -per ciò che interessa la fattispecie concreta oggetto della pronuncia in commento- anche dallo Stato ucraino. La competenza ad adottare misure di protezione per la persona o i beni di un minore è, in base all'art. 1 della predetta Convenzione, univocamente riservata alle autorità giudiziarie o amministrative dello Stato di dimora abituale dello stesso. Tale disposizione dev'essere coordinata con quella di cui al successivo art. 4, che prevede l'ulteriore ed eventuale competenza all'adozione di analoghe misure di protezione anche dell'autorità giudiziaria dello Stato di cui il minore ha la cittadinanza, previa informativa alle omologhe autorità dello Stato di residenza abituale dello stesso. Secondo quanto argomentato dalla Suprema Corte nella sentenza in oggetto, i predetti criteri della dimora abituale e della cittadinanza del minore non individuano competenze concorrenti e alternative, ma, al contrario, evidenziano un criterio ordinario derogabile solo nei limiti di cui al citato art. 4 Conv. Aja 1961, nell'ipotesi di inerzia a provvedere dello Stato di dimora abituale ovvero nel caso di altre circostanze che possano ostacolare o rendere non effettivo il suo intervento. A riprova dell'eccezionalità dell'intervento dello Stato di cittadinanza si consideri quanto previsto dal detto art. 4 Conv. Aja 1961 in merito all'obbligatoria interlocuzione con lo Stato di dimora abituale del minore, principalmente competente. Anche se nel caso di cui alla sentenza in commento, per la successione di leggi nel tempo, la normativa applicabile è quella appena citata, è da evidenziare che alla predetta Convenzione dell'Aja del 05 ottobre 1961 è succeduta la Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, ratificata con l.101/2015, inerente appunto la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori. Anche in tale convenzione è previsto un analogo meccanismo di competenza sussidiario: l'art.5, infatti, prevede la competenza all'adozione di misure di protezione nei confronti del minore delle autorità giudiziarie dello Stato ove lo stesso ha residenza abituale, ovvero (art.6) ove si trovi il minore rifugiato o trasferito a causa di gravi disordini nel suo paese, mentre il combinato disposto dei successivi articoli 8 e 9 della medesima Conv. Aja 1996 concede ulteriormente agli Stati indicati al co.2 del predetto art. 8 la possibilità di adottare misure di protezione per il minore su proposta dello Stato di residenza abituale o di trasferimento del minore ovvero su propria richiesta, previo “scambio di vedute” tra le autorità interessate, al fine di realizzare l'interesse superiore del minore. In sintesi, in virtù delle predette Convenzioni, affinchè lo Stato di cittadinanza possa intervenire e predisporre misure a tutela del minore, è necessario che sia stato assolto sia l'onere sostanziale, ovvero l'impossibilità o inerzia dello Stato primariamente competente(ove il minore sia abitualmente residente) e la conseguente necessità impellente di operare, nonché l'onere formale, rappresentato dall'obbligatorio e preliminare consulto con il medesimo Stato di residenza abituale del minore. Dalla disamina delle Convenzioni in esame, è agevole ricavare come la verifica dell'adempimento di tutti i predetti presupposti necessari per la delibazione competa esclusivamente allo Stato di dimora abituale del minore

Osservazioni

La pronuncia in commento richiama la questione, più volte affrontata nella giurisprudenza della Suprema Corte, dell'individuazione e definizione della residenza abituale del minore. Sul punto la Corte di legittimità è tornata più volte, illustrando una serie di criteri adatti ad identificare correttamente quale possa definirsi il luogo di dimora abituale del minore. Da ultimo con la pronuncia Cass. civ. 28 febbraio 2019, n. 6037, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rimarcato come la residenza abituale del minore altro non sia che il luogo che denota una certa integrazione del bambino in un ambiente sociale e familiare, sottolineando altresì come, ai fini del relativo accertamento, rilevino una serie di circostanze che vanno valutate in relazione alla peculiarità del caso concreto, quali la durata, la regolarità e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, nonché la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, in generale, le relazioni familiari e sociali. Inoltre, per i minori in tenera età sarà compito del Giudicante anche verificare il carattere tendenzialmente stabile di tale permanenza. In precedenza le medesime Sezioni Unite avevano identificato la residenza abituale nel luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione, non dovendosi considerare a tal fine gli intervalli di tempo di residenza in uno Stato privi di significativa rilevanza. Altresì, la Suprema Corte ha evidenziato come tale residenza abituale del minore non coincida con la sua residenza anagrafica (cfr. Cass. civ., sez. I, ord, 28 giugno 2017 n. 16186, già oggetto di commento in questa rivista). In modo analogo si era già espressa la Corte di Giustizia Europea, con una serie di pronunce che ancoravano la residenza abituale del minore al luogo dove la famiglia aveva manifestato di volersi radicare con una serie di comportamenti concludenti, come l'iscrizione del minore a scuola, l'instaurazione di relazioni sociali o persino la locazione di immobili. Il tutto alla luce del perseguimento del preminente interesse del minore al fine di evitare negative ripercussioni di natura psicologica nei confronti del bambino. Infine, è appena il caso di sottolineare come tale criterio della residenza abituale del minore vada determinato al momento della proposizione della domanda e sia fondamentale per individuare la competente autorità giudiziaria in molteplici ipotesi,tra cui la delibazione di sentenze straniere-come nel caso in commento-le domande relative alla responsabilità genitoriale ex art.8 n.1 Reg.U.E. n. 2201/2003,nonché le disposizioni civili sulla sottrazione internazionale dei minori, di cui alla Conv. Aja del 25 ottobre 1980.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.