Assegno divorzile: la funzione riequilibratrice e il valore del sacrificio per le esigenze familiari

Elisa Pradella
14 Gennaio 2020

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, in favore dell'ex coniuge, deve essere valutato non soltanto avendo riguardo allo squilibrio economico-patrimoniale tra le parti, sic et simpliciter, ma occorre che la causa di tale disparità si fondi nelle comuni determinazioni assunte dagli ex coniugi...
Massima

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, in favore dell'ex coniuge, deve essere valutato non soltanto avendo riguardo allo squilibrio economico-patrimoniale tra le parti, sic et simpliciter, ma occorre che la causa di tale disparità si fondi nelle comuni determinazioni assunte dagli ex coniugi nella conduzione della vita familiare, ovvero nel ruolo e nel contributo fornito alla formazione del patrimonio comune e personale, con riferimento anche ai sacrifici delle proprie aspettative lavorative in funzione delle esigenze familiari.

La libera scelta di abbandonare l'occupazione che assicura un reddito fisso, senza trovarne un'altra, pur avendo capacità lavorativa, e l'atteggiamento dismissivo nei confronti dei figli, non fanno sussistere i presupposti per la concessione dell'assegno divorzile, ma per l'eventuale sua revoca.

Il caso

Il Tribunale di Verbania, in sede di giudizio per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva affidato al padre i due figli, con obbligo per la madre di versare un contributo al mantenimento nell'interesse degli stessi, ed aveva posto a carico dell'ex marito un assegno divorzile di pari importo in favore della ex moglie.

La Corte d'Appello di Torino revocava l'assegno in favore della ex moglie, respingendo in toto l'appello incidentale proposto dalla Signora, che chiedeva l'aumento della prestazione, oltre all'affidamento condiviso dei due figli adolescenti presso la propria residenza, trasferita, nel mentre, a casa dei di lei genitori, sul presupposto che la stessa avrebbe tenuto un atteggiamento dismissivo nei confronti dei figli, non vedendoli dal 2014 e senza contribuire al loro mantenimento, e che lo stato di bisogno era stato determinato da una precisa volontà della ex moglie di abbandonare il lavoro, senza cercarsi nuova occupazione, nonostante la giovane età e la piena capacità lavorativa.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Signora in considerazione dell'erronea valutazione dei presupposti per la revoca dell'assegno divorzile, quindi per violazione e falsa applicazione della l. div., art. 5, comma 6, e degli artt. 115 e 116 c.p.c.

La questione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'istante ribadendo che la funzione assistenziale, parimenti compensativa/perequativa, dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, presuppone, in capo al richiedente la prestazione, contestualmente all'accertamento del divario economico, quale conseguenza del contributo fornito dal coniuge più debole nella conduzione della vita familiare e nella formazione del patrimonio comune e personale, in termini di sacrificio, la prova dell'inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e l'impossibilità di procurarseli in modo oggettivo.

La Corte d'Appello di Torino, nel caso de quo, aveva rilevato che l'impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, era collegata alla libera scelta della richiedente l'assegno che aveva deciso di abbandonare l'attività lavorativa, senza procurarsi altra occupazione. Non aveva, altresì, individuato che vi fosse stato, da parte della ex moglie, un particolare contributo alla formazione sia del patrimonio che alla cura del nucleo familiare, tantomeno un sacrificio delle aspettative lavorative in funzione della famiglia.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 prevede, post-matrimonio, l'obbligo per un coniuge di somministrare all'altro un assegno, quando quest'ultimo «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

L'ordinanza in commento si inserisce nel nuovo filone giurisprudenziale che àncora l'impossibilità, in capo al richiedente la prestazione, di procurarsi adeguati mezzi di sussistenza per ragioni oggettive, quindi non collegati ad una libera scelta dismissiva, escludendo l'assegno divorzile per il coniuge che non si sia adoperato per rimuovere il proprio stato di bisogno.

Solamente in caso di stato di bisogno non superabile per ragioni esterne alla volontà, il Tribunale potrà procedere a valutare il divario economico tra gli ex coniugi che dovrà essere analizzato in termini di sacrificio delle aspettative lavorative, in funzione dell'interesse del nucleo familiare.

Non sussiste più, quindi, alcuna distinzione tra la fase dell'an e del quantum debeatur, essendo necessario abbandonare la classificazione tra criteri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio, caratterizzati dal rischio di astrattezza, scollegati dall'effettività della relazione matrimoniale, alla luce di un'interpretazione dell'art. 5, comma 6, quale norma autosufficiente, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento (rispetto all'interpretazione data dalla Corte con sent. n. 11504/2017), in relazione agli artt. 2, 3, 29 della Carta, evidenziando che il matrimonio è fondato sui principi di eguaglianza, parità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione e autoresponsabilità.

Il recente orientamento giurisprudenziale ha re-interpretato il requisito dell'adeguatezza dei mezzi di sussistenza slegandolo dal criterio del tenore di vita analogo a quello in costanza di matrimonio, quindi alla dimostrazione della presumibile continuità di tale tenore in caso di prosecuzione del vincolo, prescindendo dalle potenzialità economiche dei coniugi e dalla verifica dello stato di bisogno in capo al richiedente.

Le Sezioni Unite, negli anni '90, avevano statuito che era sufficiente che il coniuge beneficiario desse la prova dell'apprezzabile deterioramento, a causa del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, e l'inadeguatezza dei mezzi era intesa come insufficienza delle sostanze e dei redditi del richiedente ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello vissuto durante il vincolo.

La Corte Costituzionale, con sent. n. 11/15, stabilisce che “il tenore di vita”, contestato da parte della giurisprudenza, poiché non trovava riferimenti legislativi, deve essere considerato in astratto quale paramento per delimitare il tetto della misura dell'assegno.

L'interpretazione dell'art. 5, comma 6., viene modificata con la sentenza Grilli (Cass. civ. n. 11504/2017), che lega il paramento dell'individuazione dell'inadeguatezza dei mezzi di sussistenza alla impossibilità di procurarseli, che diventa condicio sine qua non per il vaglio di determinazione. Secondo tale orientamento il richiedente l'assegno deve, in primis, provare la dipendenza economica, e, ai fini della debenza, rilevano il principio di autoresponsabilità economica e di autodeterminazione di ciascun coniuge, quale singolo, che orienterà anche l'eventuale valutazione sulle sopravvenienze che potrebbero giustificare la revisione delle condizioni di divorzio, anche con la revoca dell'assegno.

Nel 2018 le Sezioni Unite hanno reinterpretato questi principi anche alla luce del quadro europeo e sulla base dei lavori svolti dalla Commissione Europea del Diritto di Famiglia.

Ai fini della spettanza dell'assegno adeguato, si deve valutare che la causa dello squilibrio patrimoniale tra le parti sia la mancanza concreta ed effettiva tanto dei mezzi a disposizione quanto dell'incapacità a procurarseli per ragioni oggettive fondate su condizioni economico-patrimoniali. Se questa è la causa dello squilibrio patrimoniale, la situazione del richiedente sarà vagliata sotto il profilo soggettivo, unitamente agli altri indicatori di cui all'art. 5, co. 6, l. n. 898/70, in termini di eventuale sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in ragione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare.

Solamente ponendo queste valutazioni alla base, il paramento dell'adeguatezza sarà fondato sul principio di solidarietà e avrà contenuto prognostico che riguarderà, in concreto, la possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico, derivante dall'assunzione di un impegno diverso e la funzione assistenziale dell'assegno divorzile, a carattere temporaneo ed eccezionale, si comporrà di un contenuto perequativo-compensativo, in linea con altri ordinamenti europei.

Osservazioni

Le Sezioni Unite, nel 2018, pongono una particolare attenzione al metodo comparatistico, al fine di analizzare il quadro della legislazione europea «in considerazione della natura dei diritti in gioco e della composizione del principio solidaristico ad essi sotteso». Lo sguardo europeo, a paesi vicini, come la Francia, il cui Code civile, all'art. 270, comma 2, dispone che uno dei coniugi può essere obbligato a versare all'altro una prestazione a carattere forfettario di natura compensatoria, oppure come la Germania, che ai paragrafi 1569 e 1577 BGB, in forza del principio di auto-responsabilità, prevede, in via residuale, l'erogazione della prestazione, nel caso in cui una delle parti non sia in grado di provvedere alle proprie esigenza di vita (in ragione dell'età, della malattia, o in caso di nascita del figlio entro i tre anni di vita), permette di individuare il principio generale secondo cui l'assegno divorzile adeguato deve essere valutato in concreto e non può che avere natura composita, essendo prevalentemente perequativo/compensativo, a carattere residuale, temporaneo ed eccezionale.

Guida all'approfondimento

C. Benanti, Il carattere recessivo della funzione assistenziale dell'assegno divorzile, Nuova Giur. Civ., 2019,5,1011.

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