Coincidenza tra la liquidazione a carico del soccombente e quella in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio

15 Gennaio 2020

Il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico in materia di patrocinio a spese dello Stato.

La vicenda. Un giudizio civile, in cui l'attrice era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, si concludeva con la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite liquidate con distrazione in favore dello Stato in € 3.500,00, di cui 2.090,00 per onorari oltre spese generali ed accessori. Con successivo decreto il Tribunale liquidava in favore del legale dell'attrice la minor somma di € 1.500,00 oltre accessori, e l'opposizione proposta dal difensore ai sensi degli artt. 84 e 170 d.P.R. n. 115/2002 veniva rigettata. Il provvedimento, in particolare, rilevava che non poteva accettarsi la tesi dell'avvocato secondo cui vi doveva essere necessaria coincidenza tra la somma liquidata in sentenza a favore dello Stato e quella poi riconosciuta al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Precisava, altresì, che il richiamo al precedente giurisprudenziale costituito dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione sezione penale n. 46537/2011 non era pertinente perché non teneva in conto il meccanismo delle spese processuali nel suo complesso. Il detto provvedimento, infatti, specificava che le spese legali costituiscono solo una parte delle spese che devono essere sopportate dal cittadino per accedere alla giustizia, occorrendo tener conto anche della necessità del versamento del contributo unificato, dei compensi dovuti al difensore, dei relativi accessori nonché delle imposte di registro eventualmente dovute. L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato - continua il detto provvedimento - comporta l'esenzione del pagamento di alcune spese e l'anticipazione di altre da parte dell'erario nonché modalità differenti di determinazione dell'onorario del professionista, essendo espressamente previsto dalla normativa di settore che gli importi spettanti al difensore sono ridotti alla metà. Inoltre, a seguito dell'ammissione, l'interessato non deve versare il contributo unificato, le spese per le notifiche richieste d'ufficio, alcune imposte nonché i diritti di copia, essendo poi anticipati dallo Stato gli onorari e le spese dovute al difensore. Per il detto provvedimento, pertanto, ne deriva che in caso di vittoria del patrocinato il giudice dispone che il pagamento delle spese da parte del soccombente avvenga in favore dello Stato, spese che però non comprendono solo gli onorari dell'avvocato ma mirano a compensare i maggiori oneri a carico dello Stato stesso, il che esclude che possa ravvisarsi un ingiustificato arricchimento a favore di quest'ultimo.
Avverso tale ordinanza il legale proponeva ricorso affidato sostanzialmente a tre motivi. Il primo motivo denunciava la violazione e falsa applicazione di legge in quanto il decreto emesso avrebbe contenuto una duplice ed illegittima decurtazione dell'importo spettante al difensore. Infatti, oltre a doversi considerare che la sentenza emessa all'esito del giudizio presupposto avevo operato una eccessiva decurtazione delle competenze richieste dal ricorrente, liquidando € 3.500,00 a fronte del ben più elevato importo di cui alla nota specifica all'epoca depositata e pari ad oltre € 14.000,00, il decreto di pagamento aveva effettuato un'ulteriore decurtazione, facendo sì che lo Stato potesse recuperare dal soccombente condannato al pagamento delle spese processuali una somma in realtà mai sborsata, favorendo così una ingiusta locupletazione da parte dell'erario. Per questi motivi, secondo la tesi del difensore, al ricorrente andava liquidata la medesima somma alla quale era Stato condannato il soccombente nel giudizio di merito. Col secondo motivo l'avvocato lamentava la contraddittorietà ed illogicità della motivazione laddove la stessa aveva escluso la pertinenza dell'argomento costituito dal richiamo alla giurisprudenza penale di legittimità circa la coincidenza tra la liquidazione fatta a carico del soccombente e quella in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Necessaria la coincidenza tra la somma liquidata in sentenza a favore dello Stato e quella riconosciuta al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato? La Suprema Corte per risolvere il problema giuridico proposto dal ricorrente affronta, anche se in modo sintetico, un excursus sulla propria giurisprudenza. Gli Ermellini riconoscono che un proprio primo orientamento -partendo dalle affermazioni contenute nella pronuncia della sezione penale della Cassazione n. 46537/2011- era quello secondo cui, qualora nell'ambito del giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice è tenuto quantificare misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, al fine di evitare che l'eventuale divario potesse costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a discapito del soccombente oppure, al contrario, di danno erariale. Tuttavia, il Collegio ha ritenuto di dover dare continuità alla propria più recente giurisprudenza che, rivedendo l'iniziale posizione, ha invece escluso che possa costituire vizio del decreto di liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, l'eventuale differenza tra gli importi di tale liquidazione e di quella adottata a carico del soccombente nel giudizio di merito. Per confermare la propria posizione, il Collegio richiama la pronuncia n. 22017/2018 nella quale è stato affermato che il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in modo uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione dell'art. 130, contenente disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, secondo cui gli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato ed al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà. La Suprema Corte rileva che in tal modo si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità. Una volta ribadita la legittimità della normativa applicata nel quantificare i compensi al difensore delle parti ammesse al gratuito patrocinio, la Suprema Corte precisa che non è in alcun caso consentito superare i limiti e le prescrizioni poste da detta normativa, il che comporta che anche a voler ammettere che il giudice sia tenuto a quantificare detto compenso in misura corrispondente all'importo delle spese processuali posto a carico della parte soccombente, tuttavia, il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico, potendo contestare solo sotto tali profili il d.P.R. n. 115/2002. Gli Ermellini, inoltre, sottolineano come nel caso in cui detto decreto abbia riconosciuto somme inferiori rispetto a quelle liquidate in sentenza, legittimata a dolersi è solo la parte soccombente nel giudizio perché presupposti e finalità della rifusione delle spese di lite sono il rendere indenne la controparte delle spese effettivamente sostenute in ragione del processo ma solo di quelle, esulando del tutto una finalità punitiva del tipo di quella ora prevista dall'art. 96, ultimo comma, c.p.c.. Nel caso di specie -continua il Collegio- il ricorrente lamenta una prima riduzione della liquidazione delle spese di lite, come operata nel giudizio di merito, rispetto a quanto richiesto nella nota specifica ma senza però dedurre che la liquidazione effettuata dal giudice a quo nell'importo complessivo degli € 3.500,00 sia violativa dei minimi tariffari imposti per legge. Infatti, le rimostranze non sono relative al fatto che la liquidazione delle competenze nell'ammontare di € 1.500,00 -quale risultante dalla decurtazione del 50% imposta dal summenzionato art. 130, in ragione della natura civile della controversia nella quale è stata prestata attività defensionale- sia avvenuta in violazione dei minimi tariffari, attesa anche l'assoluta genericità delle allegazioni difensive che hanno omesso di riferire sia il preciso valore della controversia di merito sia le specifiche attività difensive ivi svolte nell'interesse della parte ammessa al beneficio. Per tutti questi motivi il ricorso viene rigettato e nulla viene disposto quanto alle spese non avendo l'amministrazione statale svolto attività difensiva.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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