Inventario

Mauro Di Marzio
15 Gennaio 2020

Gli artt. 769 ss. c.p.c. regolano l'inventario dei beni ereditari, ma, attraverso il rinvio contenuto nell'art. 777 c.p.c., si applicano a tutti i casi di inventario ordinato dalla legge (non, dunque, agli inventari stragiudiziali che ciascuno può scegliere di erigere in ogni caso in cui lo creda opportuno), salve le formalità speciali stabilite dal codice civile per l'inventario dei beni dei minori.
Inquadramento

Gli artt. 769 ss. c.p.c. regolano l'inventario dei beni ereditari, ma, attraverso il rinvio contenuto nell'art. 777 c.p.c., si applicano a tutti i casi di inventario ordinato dalla legge (non, dunque, agli inventari stragiudiziali che ciascuno può scegliere di erigere in ogni caso in cui lo creda opportuno), salve le formalità speciali stabilite dal codice civile per l'inventario dei beni dei minori.

È possibile poi evincere una disciplina unitaria dell'inventario giudiziale non soltanto sul piano processuale, ma, come è stato evidenziato in dottrina, anche su quello sostanziale. Si è osservato, difatti, che le varie ipotesi di inventario previste dall'ordinamento « ;possono raggrupparsi attorno ai fenomeni più generali di amministrazione di beni altrui o di amministrazione limitata del patrimonio proprio» (Comunale, Inventario, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 632).

Da un lato — quanto al primo aspetto — meritano segnalazione ipotesi quali l'inventario posto obbligatoriamente a carico del tutore del minore e dell'interdetto, ai sensi degli artt. 362 e 424 c.c., ovvero dell'adottante, con riguardo all'adottato minorenne, ex art. 49 l. 4 maggio 1983, n. 184. Alle ipotesi di inventario imposto al rappresentante legale può assimilarsi l'inventario richiesto a chi intenda immettersi nel possesso temporaneo dei beni dell'assente o del presunto morto, ex artt. 52 e 64 c.c., a fine di tutela di questi ultimi per l'eventualità che essi tornino. E, quale amministratore di beni altrui, deve compiere l'inventario il curatore dell'eredità giacente, ex art. 529 c.c., così come l'esecutore testamentario, ai sensi dell'art. 705 c.c., se tra i chiamati all'eredità vi sono minori, interdetti o persone giuridiche. Devono fare l'inventario, poi, il curatore del fallimento ed il commissario giudiziale, in caso di concordato preventivo, ex artt. 87 e 172 R.d. 16 marzo 1942, n. 267. In queste ipotesi — è stato osservato — l'inventario serve a constatare che il patrimonio amministrato non sia stato depauperato ed a circoscrivere la responsabilità dell'amministratore in vista dell'obbligo di restituzione o, secondo i casi, di liquidazione dei beni (Comunale, op. cit., 635).

Dall'altro lato — quanto al secondo aspetto — viene in questione l'inventario di cui è onerato l'erede beneficiato al duplice fine di circoscrivere la propria responsabilità e di indicare ai creditori e legatari i beni sui quali possono soddisfarsi, in prospettiva dell'adempimento dell'obbligo di rendiconto, previsto dall'art. 496 c.c.

Non si può escludere, però, che uno stesso inventario sia contemporaneamente diretto a soddisfare entrambe le esigenze alle quali si è accennato. Difatti, « ;è ammissibile la redazione di un unico inventario del patrimonio di un minore a servizio sia dell'accettazione con beneficio di inventario che della contestuale apertura della tutela» (Pret. Udine 16 febbraio 1993, in Riv. not., 1993, 497).

Nozione, funzione ed efficacia probatoria dell'inventario

Nel linguaggio comune l'inventario è l'elencazione dei beni mobili ed immobili dei quali è costituito un patrimonio. La nozione giuridica di inventario — per un aspetto — coincide con quella comune, giacché con esso « ;s'elencano e si descrivono i singoli beni (mobili od immobili, ovvero gli uni e gli altri), in modo da consentire un'esatta visuale dell'entità patrimoniale ;» (Scuto, Inventario (Diritto vigente), in NovissDI, IX, Torino 1963, 3).

Ma, con questa definizione, si pone l'accento sul solo significato che deve riconoscersi all'espressione inventario quale attività materiale di inventariazione. In tale accezione, l'inventario è «un atto in senso stretto od, in particolare, un'operazione» (Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1990, 467). Difatti, accanto al significato indicato, con l'espressione inventario si intende sia l'atto disciplinato, quanto alla forma ed al contenuto, dagli artt. 769 ss. c.p.c., sia il documento formato dall'ufficiale procedente all'esito del procedimento, ossia il verbale di inventario.

L'inventario quale atto regolato dal codice di rito ha «una funzione in sostanza probatoria, s'esso serve a fissare la consistenza del patrimonio» (Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio di inventario, Milano 1953, 352), ovvero ha lo « ;scopo di precostituire la prova intorno alla quantità, all'estensione e allo stato delle cose predette ;» (Scuto, op. cit., 3). Esso assume i connotati della « ;dichiarazione di scienza ;» (Comunale, op. cit., 642) in cui si cristallizza « ;un atto di accertamento, nel senso che colui che provvede all'inventario accerta che esistono in un determinato luogo e in un determinato tempo, determinate cose ;» (Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, 79).

Alla funzione probatoria dell'inventario si collega, secondo un'opinione comunemente accolta, quella in senso lato cautelare, giacché esso permette di constatare che il patrimonio non venga sminuito (Comunale, op. cit., 635; Pret. Roma 23 luglio 1981, in Dir. eccl., 1981, II, 415).

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L'inventario — secondo quest'indirizzo — è una misura «di generica conservazione dei beni costituenti l'asse ereditario» (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 581), ovvero diretta a «garantire un'integrità patrimoniale» (D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957, 419).

La cautela si attua grazie all'efficacia probatoria privilegiata che l'inventario, quale documento, possiede. Il verbale di inventario, infatti, ha natura di atto pubblico, potendo essere formato esclusivamente da pubblici ufficiali, notai e cancellieri, autorizzati ad attribuirgli pubblica fede, ex art. 2699 c.c., alla luce, rispettivamente, degli artt. 1 l. 16 febbraio 1913, n. 89 e 57 c.p.c. Ne segue che esso, secondo l'art. 2700 c.c., fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

Le funzioni probatoria e cautelare dell'atto, dunque, si coniugano nell'attribuzione al documento di efficacia fidefacente, giacché « ;attraverso l'inventario la cosa acquista una esistenza giuridica (...): non si può negare la cosa senza negare l'inventario ;» (Satta, op. cit., 80). Si tratta, in particolare, di una presunzione iuris et de iure di veridicità che si estende non solo agli elementi estrinseci dell'atto — provenienza, luogo e tempo —, ma anche al suo contenuto intrinseco, sebbene limitatamente alle dichiarazioni raccolte ed a quanto il pubblico ufficiale ha personalmente constato o compiuto.

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In proposito si è detto che «l'attività diretta alla formazione dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale quale risulta dalle carte e dalle note del defunto (...) e la partecipazione di un pubblico ufficiale comporta la prova della verità degli atti da lui compiuti e quindi dell'esistenza delle carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realtà fattuale delle risultanze delle scritture» (Cass. civ., 1° aprile 1983, n. 2626).

Naturalmente, l'efficacia probatoria dell'inventario, nei limiti indicati, può essere infirmata esclusivamente della querela di falso. Ed invece, si collocano al di fuori dell'efficacia fidefacente dell'inventario i giudizi espressi dall'ufficiale incaricato della sua formazione e, in particolare, le stime che egli, ovvero lo stimatore nominato ai sensi dell'art. 773 c.p.c., abbiano effettuato.

Natura del procedimento di formazione dell'inventario

L'erezione dell'inventario ha natura volontaria. Nell'ordinarne la formazione e controllare, se richiesto, lo sviluppo successivo del procedimento, il giudice sovrintende all'osservanza della disciplina dettata dagli artt. 769 ss. c.p.c. mediante provvedimenti revocabili e modificabili, certamente non idonei ad acquistare autorità di cosa giudicata (Cass. civ., 23 novembre 1983, n. 6997; Cass. civ., 28 maggio 1992, n. 6451, che hanno escluso, in materia, il rimedio del ricorso ex art. 111 Cost.).

Ed inoltre, lungi dal dirimere controversie su diritti, il giudice interviene nel realizzare la funzione latamente cautelare, in precedenza posta in luce, che l'inventario possiede quale strumento di constatazione dell'entità del patrimonio a fine di generica conservazione dell'integrità dell'asse.

Analogamente, in dottrina, si è osservato che il procedimento di formazione dell'inventario ha natura volontaria poiché ha per oggetto la descrizione dei beni che appartenevano al defunto e dei debiti da lui contratti, nonché la stima e la custodia dei soli mobili. La natura volontaria del procedimento è riconosciuta da diversi autori (Cattaneo, Inventario, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), X, 1993, 157).

Al riguardo, si è ribadito da parte della Suprema Corte che il decreto che autorizza la formazione dell'inventario, ai sensi dell'art. 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo

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«sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 c.p.c.; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.» (Cass. civ., 20 gennaio 2010, n. 922; nello stesso senso Cass. civ., 18 luglio 2002, n. 10446).

Istanza di inventario

Stabilisce l'art. 769, comma 1, c.p.c., che: « ;L'inventario può essere chiesto al tribunale dalle persone che hanno diritto di ottenere la rimozione dei sigilli ed è eseguito dal cancelliere del tribunale o da un notaio designato dal defunto con testamento o nominato dal giudice». L'inventario si chiede dunque anzitutto al tribunale, che provvede in composizione monocratica, ai sensi degli artt. 769 c.p.c., 110 e 244, comma 2, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51.

Territorialmente competente è il tribunale del luogo dell'aperta successione. Sebbene non vi sia una espressa disposizione in proposito, un ampio complesso di norme — si pensi agli artt. 484, 493, 508, 509 c.c., 747 c.p.c. — radica dinanzi al giudice del luogo dell'aperta successione le varie articolazioni del procedimento di accettazione beneficiata dell'eredità, alla quale la formazione dell'inventario è elettivamente strumentale.

Legittimazione al ricorso per inventario

L'individuazione dei legittimati alla richiesta di inventario procede dalla combinazione di tre disposizioni, gli artt. 769, comma 1, 763, comma 1, e 753, nn. 1, 2 e 4, c.p.c. Sono legittimati a chiedere l'inventario, cioè, coloro i quali possono chiedere la rimozione dei sigilli, e possono chiedere la rimozione dei sigilli tutti quelli che possono chiederne l'apposizione, eccettuati i coabitanti e le persone di servizio del de cuius.

È bene chiarire che la legittimazione a richiedere l'inventario spetta alle persone che hanno diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 c.p.c. anche quando l'apposizione dei sigilli, misura che può anche mancare, non sia stata in concreto disposta (Cass. civ., 18 luglio 2002, n. 10446). Perciò, la legittimazione spetta all'esecutore testamentario, a coloro che possono avere diritto alla successione e ai creditori. Ma, taluno ricorda che « ;la richiesta può essere fatta anche dal pubblico ministero, specie nel caso di cui all'art. 754 c.p.c.: pubblico depositario o funzionario, persona che abbia ricoperto cariche pubbliche» (D'Onofrio, op. cit., 419).

La legittimazione a chiedere l'inventario spetta a chi fornisca precisi e concreti elementi indiziari circa la sussistenza di una scheda testamentaria a suo favore (Pret. Milano 10 dicembre 1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, 798).

Introduzione del procedimento

Nel procedimento di formazione dell'inventario si distinguono due fasi. La prima è volta ad ottenere il provvedimento con cui il giudice ordina la formazione dell'inventario e nomina, se del caso, l'ufficiale che deve procedervi. La seconda attiene alla vera e propria esecuzione dell'inventario.

Il procedimento si introduce con ricorso, nel quale il ricorrente, ai sensi dell'art. 769, comma 2, c.p.c., deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, e ciò in collegamento col disposto dell'art. 772 c.p.c. (Satta, op. cit., 81).

Il ricorso, ove si verta in materia successoria, deve contenere l'indicazione dell'ultimo domicilio del de cuius, poiché, in mancanza, difetterebbe il criterio di collegamento indispensabile a radicare la competenza territoriale del giudice adito, competenza inderogabile ai sensi dell'art. 28 c.p.c. È necessario, poi, che il ricorrente comprovi la sua legittimazione. La legittimazione a chiedere la formazione dell'inventario, dunque, deve normalmente risultare da documenti. In un caso è stata tuttavia ammessa la legittimazione dimostrata, in mancanza di documenti, da altri «precisi e concreti elementi» (Pret. Milano 10 dicembre 1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, 798).

Come il procedimento di sigillazione, anche quello di inventario può essere introdotto personalmente dai legittimati, ma questi possono anche conferire procura ai sensi dell'art. 83 c.p.c.

Il decreto che ordina l'inventario

Il giudice, valutata la propria competenza e la legittimazione del ricorrente, provvede con decreto, ai sensi dell'art. 769, comma 3, c.p.c., ordinando la formazione dell'inventario e nominando, a tal fine, un cancelliere del tribunale o un notaio del distretto, salvo che alla designazione del notaio non abbia già provveduto il de cuius nel testamento, ai sensi dell'art. 769, comma 1, c.c.

Anche in quest'ultimo caso, però, il decreto che ordina l'inventario è indispensabile, al fine di «investire il notaio delle funzioni» (Satta, op. cit., 81). E, se egli è privo di delega del giudice e non è stato designato dal testatore, l'inventario che abbia redatto è nullo, con la conseguenza — se si tratti di inventario inserito nella procedura di accettazione beneficiata — che gli eredi non acquistano il beneficio di inventario e divengono eredi puri e semplici (Trib. Firenze, 2 luglio 1962, in Giur. tosc., 1962, 509).

Secondo alcuni il decreto con cui si ordina l'inventario è reclamabile e revocabile. Secondo altri il provvedimento non è impugnabile, «nel senso almeno che non si possa impedire la sua esecuzione» (D'Onofrio, op. cit., 409). Analogamente, si è ammesso che il decreto possa essere revocato e modificato (in questo senso, al fine di escludere la ricorribilità per cassazione, v. Cass. 18 luglio 2002, n. 10446), come ogni provvedimento di volontaria giurisdizione, ex art. 742 c.p.c., ma si è negata la sua soggezione al reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c. Quest'ultima sembra la soluzione esatta. L'erezione dell'inventario ha indubbia natura volontaria, il che giustifica l'applicazione alla misura della disciplina propria dei procedimenti camerali, per quanto non disposto dagli artt. 769 ss. c.p.c. e nei limiti della compatibilità. Così, in particolare, si deve ammettere la revocabilità e modificabilità del provvedimento che dispone la formazione dell'inventario, ex artt. 742-bis e 742 c.p.c. In tal senso, in giurisprudenza, una decisione di merito (la già ricordata Pret. Roma 23 luglio 1981, in Dir. eccl., 1981, II, 415) ha giudicato infondata un'istanza di revoca del decreto di inventario, ritenendola così implicitamente ammissibile. Ed ancora — per quanto attiene all'applicabilità del procedimento camerale — è stato ritenuto ammissibile il reclamo di cui all'art. 739 c.p.c. contro il provvedimento del pretore che era stato investito dal notaio incaricato della formazione dell'inventario della decisione sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 775, comma 1, n. 5, c.p.c., dell'inventariazione di una lettera inviata al de cuius da un chiamato all'eredità (Cass. civ., 12 maggio 1973, n. 1293).

Il decreto che ordina l'inventario, invece, non è soggetto al reclamo di cui all'art. 739 c.p.c. neppure attraverso la norma di rinvio contenuta nell'art. 742-bis c.p.c. Lo scopo latamente cautelare dell'inventario, quale semplice strumento di controllo della consistenza di un patrimonio, infatti, non esige né consente il reclamo. E, se il decreto non è reclamabile, è certo immediatamente efficace, non trovando applicazione l'art. 741 c.p.c. Al contrario, se si ammettesse la soggezione al reclamo, si dovrebbe allo stesso tempo riconoscere, in punto di efficacia, l'applicazione dell'art. 742 c.p.c., con conseguenze vistosamente incongrue, in particolare sul decorso del termine nel caso di inventario da eseguirsi in vista o in conseguenza dell'accettazione beneficiata.

Trovano ingresso le regole ordinarie sul reclamo, invece, in caso di provvedimento di diniego del decreto che ordina l'inventario, attraverso il rinvio all'art. 739 c.p.c. da parte dell'art. 742-bis c.p.c.

In evidenza

Si è chiarito che il decreto che autorizza la formazione dell'inventario, ai sensi dell'art. 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., 3 marzo 2017, n. 5460).

Svolgimento dell'inventario

Si affrontano qui, unitariamente, tre diversi aspetti: quando l'inventario possa dirsi iniziato, come si debba procedere al rinvio delle operazioni e quando possa dirsi completato.

Sul primo aspetto — che, in particolare, ha importanza, nella procedura di accettazione beneficiata, ai fini della concessione della proroga di cui all'art. 485 c.c. — un giudice di merito ha chiarito che l'inizio dell'inventario richiede l'inventariazione di almeno un bene (Trib. Roma 12 luglio 1999, in Giur. romana, 1999, 367).

Quando l'inventario non può essere ultimato nel giorno del suo inizio, l'ufficiale che vi procede ne rinvia la continuazione ad un giorno prossimo, avvertendone verbalmente le parti presenti, ex art. 774 c.p.c. È ovvio che il rinvio ad altra data deve essere verbalizzato.

In mancanza, poiché l'art. 772 c.p.c., come si è visto, prevede che l'ufficiale incaricato della formazione dell'inventario dia avviso del luogo, del giorno e dell'ora in cui darà inizio alle operazioni, non v'è dubbio che analogo avviso debba essere nuovamente inviato nel caso che l'inventario si svolga in più sedute, quando il rinvio delle operazioni a data fissa non risulti dal verbale. In caso contrario il diritto di assistere all'inventario rimarrebbe del tutto frustrato.

Per quanto riguarda la nozione di completamento dell'inventario — nozione che ha notevole rilievo nelle vicende dell'accettazione beneficiata — sembra doversi affermare che essa va intesa in senso formale e che, cioè, sia l'ufficiale procedente, valutato l'esaurimento delle operazioni, a porre fine all'inventario, dopo l'ultima seduta, rivolgendo agli interessati, con esito negativo, l'interpello previsto dall'art. 192 disp. att. c.p.c. Ciò perché l'inventario, quale atto regolato dal codice di rito, deve rispondere alle regole che esso pone.

Non potrebbe ritenersi, pertanto, che l'inventario non sia stato completato perché, secondo una valutazione a posteriori, risulti non inventariato un qualche bene compreso, invece, nell'asse. In tal senso — ad esempio — si è detto che se l'inventario sia stato eseguito e chiuso nelle forme prescritte, non può ritenersi incompiuto o imperfetto agli effetti del termine previsto dall'art. 487, comma 3, c.c. (App. Firenze, 22 maggio 1953, in Giur. tosc., 1953, 453). Tuttavia, va segnalato che una importante decisione di legittimità ha accolto una nozione — potremmo dire — sostanziale di conclusione dell'inventario, avendo considerato che esso — ai fini dell'applicazione degli artt. 485 e 487 c.c. — era da ritenersi concluso con l'elencazione delle sole poste attive, sebbene fosse poi proseguito per l'elencazione delle passività (Cass. civ., 3 ottobre 1959, n. 2664).

Invalidità dell'inventario

Sul problema dell'invalidità dell'inventario non si rinvengono se non sporadiche decisioni, incentrate su aspetti particolari, né la dottrina ha specificamente approfondito il tema. In linea generale, si afferma che l'omissione delle formalità prescritte dalla legge rende nullo l'inventario (Cass. civ., 29 aprile 1930, n. 1411). E la decisione, benché remota, appare ancora attuale, in quanto la disciplina previgente dell'istituto non differiva sensibilmente da quella odierna.

Sulla nullità dell'inventario, poi, si è soffermata, sotto diversi profili, una decisione secondo cui l'inventario è nullo se eretto da un notaio non delegato dal giudice, né designato dal de cuius nel testamento (Trib. Firenze, 2 luglio 1962, in Giur. tosc., 1962, 509). Ed inoltre, la stessa pronuncia ha riconosciuto la nullità dell'inventario eseguito senza che uno degli eredi residenti fuori della circoscrizione del tribunale fosse stato notiziato dell'inizio delle operazioni o gli fosse stato nominato un notaio per rappresentarlo, ai sensi dell'art. 772 c.p.c. Ma, come si è visto, altra giurisprudenza ha escluso la nullità, ritenendo soltanto che l'inventario, in un caso simile, non fosse opponibile alla persona pretermessa (App. Roma, 23 febbraio 1982, in Riv. not., 1982, II, 897). Secondo la citata decisione fiorentina, infine, è nullo l'inventario eseguito senza tener conto dei mobili che si trovavano nell'ultima residenza del de cuius. Un altro giudice di merito ha affermato che, ai fini dell'efficacia dell'inventario redatto nel corso della procedura di eredità beneficiata, qualsiasi omissione od errore relativo alla redazione dell'inventario rende lo stesso inattendibile (Trib. Milano, 17 aprile 1969, in Mon. trib., 1969, 688).

Riferimenti
  • Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964;
  • Cattaneo, Inventario, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), X, 1993, 157;
  • Comunale, Inventario, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972;
  • D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971;
  • Scuto, Inventario (Diritto vigente), in NovissDI, IX, Torino 1963.

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