Violazione del ne bis in idem in pendenza del giudizio divorzile

Paolo Rampini
16 Gennaio 2020

La cassazione precisa i contorni del principio del ne bis in idem nei giudizi di famiglia: non sussiste violazione del divieto se, in pendenza del giudizio divorzile, viene proposta domanda di modifica delle condizioni di separazione, purché in assenza di provvedimenti presidenziali confliggenti.
Massima

La pendenza del giudizio divorzile non osta alla proposizione della domanda di modifica delle condizioni di separazione, anche in caso di identità delle istanze in materia di provvedimenti patrimoniali. Ciò in quanto il vincolo matrimoniale, presupposto dei provvedimenti di mantenimento in regime separativo, viene meno solo con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, operante ex nunc.

Sussiste invece preclusione ove il giudice del divorzio abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti incompatibili con la domanda proposta.

Il caso

Un coniuge presentava al Tribunale di Ancona ricorso ex art. 710 c.p.c. richiedendo di essere esonerato dal versamento dell'assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge, nonché di veder ridurre l'importo di quello per la figlia. Nel resistere, la convenuta domandava altresì l'aumento di entrambi i contributi. Rilevata la pendenza del giudizio di divorzio, nell'ambito del quale i coniugi avevano avanzato le medesime istanze, il ricorso veniva dichiarato inammissibile. Reclamato il provvedimento, la Corte d'Appello rigettava l'impugnazione sulla base delle stesse argomentazioni impiegate dal giudice di prime cure, ossia invocando il principio del ne bis in idem. Il soccombente presentava allora ricorso per Cassazione deducendo l'erronea applicazione del menzionato principio.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha riaffermato il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale non vi è, in linea generale, incompatibilità tra un'azione ex art. 710 c.p.c. e la pendenza di un procedimento ex art. 4 l. 898/1970. Il giudice di legittimità, nel delimitare i confini della compatibilità fra i due giudizi, ha inoltre chiarito le condizioni in presenza delle quali può viceversa invocarsi il predetto divieto.

La questione

Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione affronta la questione relativa all'ammissibilità o meno del ricorso per la modifica delle condizioni di separazione che sia stato presentato in concomitanza temporale con il procedimento di divorzio.

Le soluzioni giuridiche

Si tratta di un'ipotesi non infrequente, in considerazione della possibilità (nel giudizio di separazione ai sensi dell'art. 709-bis c. p. c., come d'altronde per quello di divorzio ex articolo 4, comma 12, l. 898/1970,) che sia pronunciata una sentenza non definitiva limitata al solo status nel caso in cui il processo debba proseguire per le altre questioni. L'introduzione sin dal giudizio di separazione della figura della sentenza parziale sullo status ha comportato l'affermarsi di una tendenza in base alla quale, pendente la causa di separazione, definita con giudicato parziale sullo status, le parti esperiscono azione ex art. 4 l. 898/1970.

L'entrata in vigore della l. 6 maggio 2015, n. 55, che ha introdotto il c.d. «divorzio breve», riducendo i termini per la proposizione della domanda di divorzio, ha incentivato la tendenza, aggravando i delicati problemi di coordinamento che ne derivano, in particolare quanto alla definizione delle questioni accessorie. Restando sullo sfondo le soluzioni della sospensione del giudizio di divorzio, propugnata dalla risalente giurisprudenza di merito ma sempre osteggiata da quella di legittimità (nel primo senso Trib. Milano, 29 settembre 1994, nel secondo senso Cass. civ. 16 dicembre 1985, n. 6372) e della riunione dei giudizi (su cui vedasi DANOVI), il nodo interpretativo più interessante, affrontato anche dalla pronuncia in commento, è quello relativo al contemperamento dei poteri dei due giudici aditi – della separazione e del divorzio – con riferimento all'adozione di provvedimenti patrimoniali.

La complessità del problema deriva dalla mancata disciplina processuale dei rapporti tra giudizio di modifica delle condizioni della separazione e giudizio di divorzio, gravando quindi sull'interprete l'onere di ricostruirne le relazioni.

Sul punto si contrappongono due orientamenti.

Una componente maggioritaria della giurisprudenza, prendendo le mosse dalla profonda diversità intercorrente, quanto a natura e presupposti, tra l'assegno di mantenimento e quello divorzile, ritiene che, pendendo il giudizio di divorzio, sia a certe condizioni ancora possibile chiedere la revisione delle condizioni di separazione (ovvero mantenere fermo un ricorso ex art. 710 c.p.c. già incardinato). Non sarebbe infatti decisiva la mera proposizione di una domanda di divorzio: occorrerebbe viceversa operare una distinzione in relazione al contenuto dell'istanza exart. 710 c.p.c. – nonché al periodo cui essa si riferisce – ponendo mente all'effetto dell'adozione dei provvedimenti ex art. 4 l. 898/1970. Quanto alle richieste in punto di affidamento e responsabilità genitoriale, trattandosi di provvedimenti de futuro, andrebbe ritenuta ormai consolidata la competenza del giudice del divorzio. Invece, quanto al mantenimento, fino all'adozione dei provvedimenti provvisori nel divorzio resterebbe vigente il regime economico proprio della separazione, che può essere modificato con effetto retroattivo (tra le altre Cass. civ, 28 ottobre 2005 n. 21091). L'incontestata operatività ex nunc della sentenza di divorzio comporta che non derivi la cessazione della materia del contendere nel giudizio di modifica delle condizioni di separazione ove permanga l'interesse alla definizione, l'unico limite consistendo nell'impossibilità della coesistenza di due diversi regimi economici ove riferiti al medesimo lasso temporale (Cass. civ., 22 luglio 2011, n. 1612).

L'opposto orientamento, cui ha aderito la Corte d'appello di Ancona nel caso in esame, ritiene che sussista un rapporto di continenza tra giudizio di separazione e giudizio di divorzio, sicché, incardinato il giudizio di divorzio, permarrebbe solo la cognizione del giudice investito di tale giudizio. Ne conseguirebbero l'improcedibilità di una domanda ex art. 710 c.p.c. già proposta e l'improponibilità della stessa domanda in un momento successivo. Nello sviluppare il ragionamento i giudici di merito hanno invocato l'insegnamento di Cass. civ. 10 dicembre 2008, n. 28990 che avrebbe stabilito il principio secondo cui la domanda di modifica delle condizioni di separazione sarebbe, in pendenza del giudizio di divorzio, sempre preclusa dal divieto di ne bis in idem. Ciò in ragione della circostanza che il giudice del divorzio ha il potere, in fase presidenziale, di “convertire” il contributo di mantenimento del coniuge separato in assegno provvisorio.

La Suprema Corte ha, con la sentenza in commento, accolto la prima delle due tesi. Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno innanzitutto chiarito la portata del menzionato divieto di ne bis in idem come enunciato dalla predetta pronuncia del 2008. Poiché l'assegno di mantenimento è dovuto sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, mentre l'assegno divorzile è dovuto da quando tale sentenza produce i suoi effetti, è violato il principio del ne bis in idem laddove entrambi i contributi siano richiesti per lo stesso periodo. In altri termini, solo se durante il giudizio di divorzio fossero adottati provvedimenti provvisori aventi natura anticipatoria in grado di incidere sull'assegno di separazione (come quello ex art. 4 comma 8 l. div.), la decisione su un ricorso ex art. 710 c.p.c. determinerebbe l'indebita sovrapposizione di provvedimenti a titolo diverso.

In assenza di ordinanze presidenziali aventi a oggetto provvedimenti patrimoniali, invece, la citata sovrapposizione non si può determinare, sicché nulla osta alla contemporanea pendenza dei due giudizi. Se poi alla definitiva pronuncia di divorzio si addiviene quando il giudizio di modifica non è ancora terminato, la decisione resa in tale ultima sede sarà comunque utile a disciplinare il quantum dell'assegno di separazione tra il tempo della proposizione della domanda di cui all'art. 710 e il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (si veda sul punto BIANCHI).

Tanto premesso, la Cassazione ha riaffermato il principio in base al quale il giudizio di separazione e quello di divorzio, pur coinvolgendo questioni intimamente connesse, presentano un'intrinseca autonomia, sicché la sentenza di divorzio, definitiva o meno, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione ancora pendente (DANOVI).

Osservazioni

La decisione in commento sottolinea innanzitutto, con l'enfatizzazione dell'autonomia del giudizio di separazione rispetto a quello di divorzio, la natura anticipatoria e lato sensu cautelare dei provvedimenti interinali assunti nel secondo.

Essa pare inoltre coerente con lo sforzo ermeneutico di differenziare le funzioni dell'assegno di mantenimento nella separazione e dell'assegno divorzile, ancora una volta tenendo su “binari paralleli” i correlati giudizi. In proposito, è appena il caso di ricordare come, nel 2017, i giudici di legittimità abbiamo attribuito natura esclusivamente assistenziale all'assegno divorzile, svincolando il quantum debeatur dal riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e parametrandolo alla possibilità di raggiungere l'indipendenza economica. In questa prospettiva risulterebbe ancora più evidente che non solo i due contributi si riferiscono a periodi temporali diversi - e quindi, salvo casi eccezionali, non si darà luogo a sovrapposizioni in contrasto con il ne bis in idem – ma altresì che diverse sono le esigenze cui essi rispondono e diversi sono i criteri di determinazione degli importi. Non si vedrebbe, in quest'ottica, come possa il giudice del divorzio cumulare in sé i poteri relativi ai due assegni, come pure suggerisce il descritto orientamento minoritario disatteso dalla Cassazione nella sentenza in commento.

Nondimeno, si deve ricordare che, nel 2018, pronunciando a sezioni unite, la Cassazione è tornata sul tema della quantificazione dell'assegno divorzile, mutando parzialmente la rotta e affermando che il parametro dell'indipendenza economica non è il solo idoneo alla quantificazione del contributo, perché non tiene conto della funzione contemporaneamente assistenziale, perequativa e compensativa di tale assegno (PATTI).

In altri termini, si è finito per prospettare una sorta di (non coincidenza ma) convergenza tra le rationes dei due contributi, essendo arduo, ad esempio, distinguere l'esigenza del mantenimento del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dalla compensazione dei sacrifici fatti durante la vita in comune.

È difficile prevedere come un simile mutamento di tendenza sarà suscettibile di influenzare i rapporti tra giudizio di modifica delle condizioni di separazione e giudizio di divorzio.

Guida all'approfondimento

F. Danovi, I rapporti tra il processo di separazione e il processo di divorzio alla luce della l. n. 55/2015, in Fam. e dir., 2016, 11, 1093;

L. Bianchi, Sui rapporti tra giudizio di revisione ex art. 710 c.p.c. e giudizio di divorzio, in Fam. e dir., 2009, 7, 694;

F. Danovi, Rapporti tra separazione e divorzio: vie parallele, cumulo processuale o cessazione della materia del contendere?, Atti del convegno “Problematiche processuali nei giudizi della famiglia”, www.fondazioneforensefirenze.it;

S. Patti, Assegno di divorzio: il "passo indietro" delle Sezioni Unite, in Corriere Giur., 2018, 10, 1186;

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