L'ex convivente ha diritto al rimborso delle somme versate per la costruzione della casa familiare?

22 Gennaio 2020

La corresponsione di somme da un convivente all'altro, a titolo di concorso nelle spese di costruzione della casa familiare, destinata a divenire comune, giustifica, ex art. 2033 c.c., il rimborso delle somme versate, qualora il manufatto rimanga nella proprietà esclusiva dell'altro convivente.
Massima

La corresponsione di somme da un convivente all'altro, a titolo di concorso nelle spese di costruzione della casa familiare, destinata a divenire comune, giustifica, ex art. 2033 c.c., il rimborso delle somme versate, qualora il manufatto rimanga nella proprietà esclusiva dell'altro convivente.

La contribuzione, accertata anche mediante scrittura privata tra i due conviventi, è indebita, se non si è concretizzato l'acquisto della comproprietà del bene immobile.

Spetta semmai al percipiente proprietario esclusivo l'onere di provare che il pagamento fosse avvenuto per altra causale, ad esempio a titolo di liberalità o in virtù di legami affettivi o di solidarietà tra conviventi.

Il caso

Tizio edifica sul proprio fondo un immobile ad uso abitativo utilizzando, per un importo pari alla metà dei costi di costruzione, somme corrisposte dalla convivente Caia.

Quest'ultima aveva deciso di concorrere nelle spese di edificazione al fine esclusivo di adibire l'immobile a casa familiare, e con l'intenzione di divenirne, in seguito, comproprietaria.

Tizio riconosceva, nella scrittura del 15 dicembre 1999, la comproprietà della costruzione per la quota del 50%.

Terminata la convivenza, Caia si rivolgeva al Tribunale di prime cure chiedendo, in via principale, la divisione del bene ed eventuali attribuzioni di somme a titolo di conguaglio o, in via subordinata, la condanna di Tizio al versamento della somma corrisposta dalla stessa.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda di accertamento della comproprietà dell'immobile, riconoscendo tuttavia a parte attrice un credito a titolo di indennità da ingiustificato arricchimento. Dopo l'impugnazione della sentenza, la Corte d'Appello, ritenendo provato il concorso nelle spese da parte di Caia, accertava il suo diritto al rimborso, riqualificando, tuttavia, la domanda quale azione personale di restituzione.

Tizio ricorre in Cassazione.

La Corte Suprema rileva che parte attrice aveva formulato, in subordine, domanda di restituzione di quanto versato all'ex convivente, proprio perché, qualora non fosse stata riconosciuta la comproprietà dell'immobile, presupposto necessario per pronunciarsi sulla divisione, ella avrebbe potuto chiedere la restituzione di quanto versato sine titulo, con reintegrazione del suo patrimonio.

Sussistendo l'alternatività delle domande, ed escluso l'acquisto della comproprietà del bene da parte di Caia, la Corte conclude che la dazione di denaro risultava indebita e, pertanto, soggetta a restituzione ex art. 2033 c.c.

Aggiunge, altresì, che sarebbe spettato all'odierno ricorrente l'onere della prova di una causale (donazione, solidarietà, etc..) tale da non ritenere fondata la pretesa restitutoria.

La questione

La Corte di Cassazione, interpellata sul tema della restituzione delle spese sostenute tra ex conviventi che, da quanto esposto in sentenza, non risultano registrati all'Anagrafe, né risulta la sottoscrizione di un contratto di convivenza, è stata chiamata a decidere se la dazione in denaro, corrisposta al solo scopo di realizzare la futura casa familiare, giustifichi il rimborso delle somme corrisposte a titolo di concorso nelle spese di costruzione, qualora l'immobile sia rimasto successivamente in proprietà esclusiva dell'ex.

Le soluzioni giuridiche

Il regime patrimoniale dei conviventi di fatto, salvo specifica regolamentazione disciplinata nel contratto di convivenza, soggiace alle regole della reciproca assistenza materiale.

La dazione di denaro effettuata da un convivente a beneficio dell'altro deve essere intesa, pertanto, in assenza di diverso accordo, come adempimento di un'obbligazione naturale.

Infatti, giurisprudenza costante è unanime nel considerare le spese e i versamenti in denaro tra conviventi more uxorio quali prestazioni dovute in esecuzione di un dovere di assistenza morale e materiale, prescritto ora per legge per le coppie di fatto registrate all'Anagrafe del Comune di residenza.

Con l'intervento della legge n.76/2016, inoltre, alla coppia registrata che desidera disciplinare sia i reciproci rapporti patrimoniali in costanza di convivenza, sia le conseguenze derivanti in caso di cessazione della relazione, è consentito redigere un accordo in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Mancante tale circostanza, quali sono le tutele che i conviventi registrati o meno, al momento della cessazione della vita di coppia, possono esperire per salvaguardare quanto corrisposto in costanza di rapporto?

Se, infatti, quanto corrisposto nel corso di un consolidato rapporto affettivo viene generalmente qualificato come obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. e, come tale, non ripetibile in forza del principio della soluti retentio, non sembrerebbe esservi alcun margine per il recupero di quanto conferito.

La tesi incontra, tuttavia, un unico limite: le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente sono irripetibili a condizione che vengano rispettati i principi di proporzionalità e adeguatezza (ex plurimis, Tribunale Reggio Calabria, sez. I, 03 gennaio 2019, n. 10, Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 2016, n.1266, Cass. civ.,sez.I, 22 gennaio 2014, n. 1277).

In altri termini, le spese del ménage familiare sono da considerarsi sostenute con spirito solidaristico qualora esse siano proporzionate all'entità del patrimonio di chi le ha affrontate.

Nell'ipotesi contraria, la corresponsione di somme ingenti produrrebbe in capo al beneficiario un indebito arricchimento, contro il quale si ritiene esperibile azione di arricchimento senza giusta causa ex art. 2041 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2015, n. 18632).

Manca in tali situazioni, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, la giusta causa sia nell'arricchimento dell'uno sia nella diminuzione patrimoniale dell'altro partner.

Con specifico riferimento alle ipotesi di realizzazione di un manufatto sul fondo di proprietà esclusiva di uno soltanto dei componenti della coppia, ma con l'impiego di somme di entrambi, la giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa in materia di comunione legale tra coniugi.

Non da ultimo ha statuito che, seppur prevalga il principio generale dell'accessione ex art. 934 c.c., secondo il quale la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi appartenga esclusivamente a quest'ultimo, spetta al coniuge non proprietario che abbia contribuito all'onere della costruzione tutela sul piano obbligatorio, mediante il diritto di ripetere nei confronti dell'altro le somme spese, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27412, Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2010, n.20508, Cass. civ., sez. I, 14 aprile 2004, n. 7060, Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1998, n. 8585).

Nel caso in esame la Corte di Cassazione, riprendendo quanto già previsto in materia coniugale, applica, in via analogica anche all'ipotesi di rottura della relazione sentimentale tra conviventi, la tutela sul piano del diritto obbligatorio, volta al riconoscimento di un diritto di credito.

Osservazioni

La pronuncia che ci occupa offre lo spunto per soffermarsi sulla gestione dei rapporti patrimoniali tra conviventi e sui rimedi esperibili nell'ipotesi di cessazione della relazione.

Due, in particolare, le considerazioni da svolgere in merito:

1. alla sorte delle prestazioni in denaro effettuate tra coppie di fatto;

2. alla tutela a favore del solvens.

La correlazione tra i due aspetti può essere individuata nel concetto di famiglia di fatto, quale formazione sociale ai sensi dell'art. 2 Cost.

E così, sussistendo analogie con il vincolo familiare che si forma nell'ambito del matrimonio, si può concludere nel senso che anche le attribuzioni patrimoniali, avvenute durante il periodo della convivenza, possano ritenersi effettuate secondo la logica solidaristica e assistenziale che lega i due soggetti.

Tuttavia, non tutte le prestazioni possono dirsi avvenute per esigenze quotidiane della coppia.

È logico ritenere, infatti, che qualora esse travalichino i limiti di proporzionalità, valutati alla luce delle condizioni patrimoniali del convivente more uxorio che esegue la prestazione economica, vi sia un mezzo che possa tutelare quest'ultimo nell'eventualità della cessazione del rapporto.

In tema di convivenza, come si è accennato in precedenza, la giurisprudenza ha costantemente offerto all'ex convivente la possibilità di agire ex art. 2041 c.c. per vedersi riconosciuto un indennizzo a fronte della perdita economica subita.

Anche recentemente, con la sentenza Cass. civ., sez. VI, 15 febbraio 2019, n. 4659, si è ritenuta meritevole di accoglimento la domanda diretta alla corresponsione di un indennizzo, sulla base dell'avvenuta contribuzione economica destinata alla costruzione di un immobile poi intestato esclusivamente ad uno dei conviventi.

Così giustificata, tuttavia, l'azione di arricchimento senza giusta causa non appare lo strumento più idoneo, avendo essa natura sussidiaria e, dunque, applicabile solo laddove l'ordinamento non predisponga altri strumenti di difesa.

Procedendo con l'analisi della norma, infatti, la domanda ex art. 2041 c.c. può essere esperita, in materia di versamenti in denaro tra componenti della coppia, qualora, in primo luogo, le prestazioni non trovino giustificazione nella solidarietà del legame esistente e, in secondo luogo, nel momento in cui si realizzino contemporaneamente un arricchimento dell'accipiens e un impoverimento del solvens, privi di una valida causa giustificativa.

Fattispecie diversa dal caso di specie.

Gli Ermellini correttamente hanno riqualificato la domanda esperita, sulla base del fatto che risulta mancante il titolo del pagamento.

La donna, cioè, avrebbe adempiuto ad un'obbligazione inesistente, acquistando il correlato diritto a ottenere le somme impiegate per l'immobile rimasto nella proprietà esclusiva dell'altro e mai adibito a casa familiare.

E questo perché, senza una concretizzazione dell'acquisto della comproprietà del bene da parte della convivente, l'atto di corresponsione del denaro si è tradotto in una prestazione compiuta in forza di un titolo non esistente e, pertanto, in un'indebita dazione.

Cessato il rapporto, è venuta conseguentemente meno anche la ragion d'essere del pagamento.

In ultimo, vi è da considerare anche un ulteriore elemento: la scrittura privata tra Tizio e Caia fornisce prova della cifra che, all'epoca, parte resistente aveva conferito.

Da una parte, dunque, il documento che attesta l'importo esatto – e che esclude la necessità di ricorrere al Giudice con la richiesta di indennizzo- e, dall'altra, la stessa giurisprudenza che ammette lo strumento della condictio indebiti allorquando la medesima casistica coinvolga due coniugi.

Nell'ottica di una progressiva equiparazione, a livello giurisprudenziale e legislativo, della coppia di fatto alla coppia unita in matrimonio, non appare sussistere alcuna valida ragione per differenziare le due tutele rimediali nelle medesime ipotesi.

Guida all'approfondimento

Simone, Manuale di istituzioni di diritto privato, XX edizione, Napoli, pp. 598-601

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario