Le preclusioni nel rito del lavoro: condizioni e limiti di ammissibilità della produzione tardiva di documenti

23 Gennaio 2020

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte affronta il problema dell'ammissibilità delle produzioni documentali tardive, delineando le condizioni e i limiti entro cui è possibile, per le parti e per il giudice, derogare alle preclusioni probatorie che scandiscono i tempi e le fasi del processo del lavoro.
Massima

Nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell'esigenza di replicare a difese altrui; inoltre, l'acquisizione documentale può essere disposta d'ufficio, anche su sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione, cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti, sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull'onere della prova.

Il caso

Tizia, dirigente di primo livello in posizione funzionale B2, impugnava in sede di legittimità la sentenza della Corte d'appello che, confermando la decisione di primo grado, aveva respinto la domanda di inquadramento nella superiore posizione B1 proposta dalla stessa nei confronti dell'Asl datrice di lavoro.

La Corte territoriale aveva, innanzitutto, ritenuto ininfluente il motivo di appello relativo alla mancata ammissione, poiché tardive, di alcune produzioni documentali esibite alla prima udienza di discussione davanti al tribunale, atteso che la fondatezza della domanda doveva comunque escludersi già sulla base della prospettazione di essa per come formulata dalla ricorrente.

Quest'ultima, pertanto, aveva proposto ricorso per cassazione lamentando che la Corte d'appello, confermando la decisione di primo grado nella parte in cui non aveva ammesso le produzioni documentali eseguite alla prima udienza di discussione, avrebbe violato gli artt. 421 e 437 c.p.c.

Il ricorso veniva rigettato.

In motivazione, «L'acquisizione in causa di documenti successivamente al deposito del ricorso introduttivo (o, rispetto al convenuto, rispetto alla memoria di costituzione e risposta) può aversi soltanto a ben precise condizioni, essenziali al fine di assicurare tenuta al principio di preclusione che governa il rito del lavoro;

la produzione tardiva può essere ammessa in particolare se si tratti di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi, oppure se la loro rilevanza emerga in ragione dell'esigenza di replicare a difese altrui che, in adeguamento agli sviluppi indotti dal contraddittorio, giustifichino l'ampiamento probatorio;

altrimenti, l'acquisizione documentale potrebbe aversi d'ufficio, anche previa sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione, e cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti, sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull'onere della prova;

le produzioni tardive soggiacciono, quindi, per essere utilizzabili rispetto alla decisione, a regole di efficace ingresso nel processo, che postulano allegazioni giustificative ad opera delle parti (o del giudice, se si tratti di acquisizione officiosa) secondo una delle dinamiche sopra esaminate; nel caso di specie (…) va evidenziato che il motivo nulla precisa con adeguata specificità ed aderenza al caso concreto sulle esatte ragioni che, per gli altri documenti, giustificherebbero l'ingresso tardivo nel processo».

La questione

La pronuncia in esame affronta il problema dell'ammissibilità delle produzioni documentali tardive, delineando le condizioni e i limiti entro cui è possibile, per le parti e per il giudice, derogare alle preclusioni probatorie che scandiscono i tempi e le fasi del processo del lavoro.

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza di legittimità ha variamente tentato di delimitare i confini e specificare i contenuti del principio di preclusione che caratterizza il rito del lavoro, sia sul piano delle allegazioni che sul versante dei mezzi istruttori.

Nell'ampio dibattito ingenerato dalla necessità di far coesistere l'onere di allegazione - inteso come monopolio delle parti private per la delimitazione dell'ambito di fatto della lite, in ossequio ai principi della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato – e l'esigenza della ricerca della verità materiale cui è funzionale il processo si possono, in estrema sintesi e con specifico riferimento alla prova documentale, individuare due differenti approcci ricostruttivi.

Il primo, invero più risalente, era orientato nel senso di derogare per le prove precostituite al regime di preclusioni di cui agli artt. 414, 416 e 420 c.p.c. - applicabile quindi alle sole prove costituende - concludendo nel senso che i documenti possano essere prodotti in ogni momento del giudizio di primo grado (Cass. civ., 8 giugno 1999, n. 5639), o fino a quando non sia iniziata la discussione orale (Cass. civ., 26 maggio 2000, n. 6932).

Per legittimare un meno rigoroso impatto delle preclusioni sulla prova documentale si argomentava nel senso che l'ammissibilità tardiva di questa prova, in quanto già costituita prima e al di fuori del processo, non sortirebbe l'effetto, a differenze delle prove costituende, prima fra tutte quella testimoniale, di ritardare i tempi del giudizio.

Tali statuizioni sono state superate da altro più recente orientamento che ha sfatato detto assunto, sia perché ingiustificato alla stregua del tenore letterale delle disposizioni in gioco, sia perché comunque anche la produzione tardiva di documenti può determinare la protrazione del processo in dipendenza di istanze di verificazione, oppure della proposizione di querele di falso o delle deduzioni di mezzi di prova ulteriori connessi alla nuova documentazione prodotta.

Sono allora intervenute le Sezioni Unite a tracciare le coordinate nel rispetto delle quali deve procedersi per individuare - con una coerenza logica importante una indifferenziata soluzione per ogni tipo di prova - i termini processuali entro i quali è consentito nel rito del lavoro l'ingresso ad istanze istruttorie e, pertanto, anche la produzione di documenti.

Segnatamente, in base al combinato disposto degli artt. 416 comma 3 c.p.c. - che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare (onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13/1977) - e 437 comma 2 c.p.c. - che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova, fra i quali devono annoverarsi anche i documenti - l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione; e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello (Cass. civ., Sez.Un., 20 aprile 2005, n. 8202).

Pertanto, nel caso in cui sia chiesta da una parte la produzione di documenti all'udienza di discussione e la controparte non proponga tempestivamente, nel termine perentorio fissato dal giudice, proprie istanze istruttorie o comunque non si opponga alla produzione, deve ritenersi che il silenzio di detta parte comporti l'accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione (Cass. civ., 28 agosto 2013, n. 19810).

Con l'ordinanza in commento la Cassazione conferma integralmente i principi testé enunciati.

Vengono, invero, passate in rassegna le fattispecie che costituiscono deroghe consentite alla rigida scansione temporale che governa l'ingresso delle prove documentali nel processo del lavoro, distinguendosi ipotesi ingenerate da iniziative di parte da quelle su impulso del giudice.

Tutte sono accomunate, a parere della Corte, dalla necessità, per chi intenda avvalersene, di sopportare un preciso onere motivazionale, tale da legittimare quella che costituisce una vera e propria eccezione alla regola.

Osservazioni

Una delle caratteristiche fondanti del processo del lavoro consiste in un impiego particolarmente incisivo della tecnica delle preclusioni,ritenuto strumento indispensabile per l'accelerazione dell'iter cognitivo, secondo i postulati dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza, oltre che per assicurare l'ordinato e leale svolgimento del processo.

Ed infatti, le preclusioni nel rito del lavoro impongono ad entrambe le parti del processo di esporre nel primo scritto difensivo tutte le rispettive domande, eccezioni, produzioni e richieste di prova. In tal modo il thema decidendum viene individuato in forma esauriente e chiara sulla base del solo atto introduttivo della lite; conseguentemente il giudice è in grado di conoscere la causa prima dell'udienza (tendenzialmente unica, almeno in teoria) e quindi può espletare con cognizione il tentativo di conciliazione, l'interrogatorio delle parti, l'eventuale ammissione dei mezzi di prova, oppure la decisione della causa stessa.

Proprio perché questo rigido sistema di decadenze è stato introdotto per esigenze che trascendono l'interesse delle parti attenendo allo stesso funzionamento del processo, si ritiene che neppure l'accettazione del contraddittorio possa legittimare la loro violazione, che deve essere comunque rilevata dal giudice d'ufficio.

Quanto agli oneri assertivi, il rigore del dettato normativo (e segnatamente, l'art. 414 c.p.c. per il ricorrente e l'art. 416 c.p.c. per la parte convenuta) induce ad affermare che, se si esclude l'ipotesi della deduzione di fatti sopravvenuti nel corso del processo, purché – si badi – effettuata alla prima occasione utile, in sostanza il divieto di allegazioni tardive è insuperabile.

L'ordinanza in esame, ponendosi sul solco già tracciato dalle Sezioni Unite nel 2005, rassicura, invece, circa la presenza di strumenti di temperamento al regime delle preclusioni per ciò che riguarda le prove.

Alle fattispecie, scrutinate dall'arresto giurisprudenziale in commento, dell'emersione di elementi probatori documentali dopo lo spirare dei termini di decadenza e della necessità di avvalersi di documenti ulteriori rispetto a quelli prodotti all'atto della costituzione in giudizio in conseguenza dell'evolversi del contraddittorio e delle difese spiegate dalla controparte, la casistica offre un panorama ancora più variegato.

Si pensi alla rimessione in termini accordata laddove la controparte sia autorizzata alla modificazione di domande, eccezioni e conclusioni, in replica alle difese contenute in atti di intervento di terzi, o ancora quale sanatoria concessa al contumace, se questi provi l'impossibilità di una costituzione tempestiva per causa a lui non imputabile.

Se tali evenienze pongono, a parere di chi scrive, principalmente un problema di puntuale e rigorosa specificazione delle ragioni poste a fondamento della richiesta di rimessioni in termini, ancora più delicato si appalesa il concreto operare delle ipotesi di attenuazione del sistema preclusivo normativamente previste dagli artt. 421 e 437 c.p.c.

Esse, infatti, sottendendo l'attivazione di un potere officioso il cui utilizzo, specie in grado di appello ove il legislatore richiede l'ulteriore requisito della indispensabilità della prova, deve avvenire con la prudenza necessaria a non compromettere l'imparzialità del giudice, non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti o, peggio ancora, alla totale ed ingiustificata inerzia della parte già decaduta, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime.

Né possono riguardare fatti pacifici, come tali sottratti all'istruttoria, sia di parte che d'ufficio, così come non possono tradursi nell'adozione di una prova atipica o non voluta dalle parti.

Si tratta pur sempre, in ultima analisi, di valvole di sfogo del sistema, motivate dall'esigenza di superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell'atto introduttivo e sempre che sussistano significative "piste probatorie" emergenti dal complessivo materiale probatorio correttamente acquisito agli atti del giudizio.

Guida all'approfondimento
  • AA.VV., Codice di procedura civile commentato (a cura C. Consolo), Ipsoa, 2013
  • A. Vallebona, Allegazioni e prove nel processo del lavoro, Padova, 2006.

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