La rilevabilità d'ufficio della nullità del patto di quota lite per “incongruità” del compenso

Mariantonietta Salerno
03 Febbraio 2020

La questione in esame nella pronuncia in commento è la seguente: il giudice può sempre rilevare la nullità per carenza di congruità del patto di quota lite, con riferimento alla modifica dell'art. 45 del codice deontologico forense, che consente all'avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», alla condizione, tuttavia, «che i compensi siano proporzionati all'attività svolta».
Massima

A seguito dell'abolizione del divieto del patto di quota lite, la congruità del patto è prevista anche dal punto di vista delle regole deontologiche, con la modifica dell'art. 45 del codice deontologico forense, che consente all'avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», alla condizione, tuttavia, «che i compensi siano proporzionati all'attività svolta». La nullità del contratto sotto il profilo della carenza di congruità del patto di quota lite è sempre oggetto di rilievo ed indicazione da parte del giudice.

Il caso

L'Avv. X conveniva in giudizio Y per chiedere la condanna al pagamento del compenso per prestazioni professionali, nella misura di C 16.446,73 sulla base di una pattuizione, che determinava il compenso in ragione del 20% delle somme ottenute a titolo di risarcimento in caso di vittoria, oltre alle spese vive, anche nell'ipotesi di cambio di difensore nel corso di causa, mentre, in caso di soccombenza, era dovuto solamente l'acconto nella misura di €. 1000,00.

All'esito del giudizio di impugnazione, la Corte d'appello Z, con sentenza, confermava la sentenza del tribunale di Venezia, che aveva accolto solo parzialmente la pretesa dell'Avv. X, determinando il compenso in relazione all'attività effettivamente svolta, quantificandola in C 1872,00.

La corte territoriale riteneva anch'essa che la clausola relativa al patto di quota lite stipulato tra le parti avesse natura vessatoria, ai sensi degli artt. 33 e 34 del Codice del Consumo, poiché determinava uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in quanto obbligava il cliente a corrispondere la prestazione anche in caso di revoca, non stabiliva la ripartizione proporzionale dei compensi con il difensore subentrante e, al di là della previsione per iscritto, non chiariva se vi fosse una trattativa individuale per la determinazione del compenso sulla base delle aspettative di vittoria e del valore della causa.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l'Avv. X sulla base di cinque motivi.

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'art. 345 c.p.c., per avere la corte territoriale, in assenza di appello incidentale, pronunciato sulla nullità del contratto sotto il profilo della carenza di congruità del patto di quota lite, in assenza di devoluzione al giudice d'appello in quanto il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità del contratto solo in relazione alla vessatorietà della clausola, che prevedeva la corresponsione del compenso anche in caso di revoca del mandato.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1261 c.c., dell'art. 2, comma 2 e 2-bis, d.l. n. 223/2006 e dell'art. 13, commi 3 e 4, l. n. 247/2012, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto dall'interpretazione sistematica di dette norme si evincerebbe la legittimità del patto di quota lite, purché redatto in forma scritta e purché non sussista cessione del bene litigioso.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 2233, 2697 e 2702 c.c., nonché dell'art.34 del Codice deontologico, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale affermato la carenza di prova sull'esistenza di trattative individuali per la determinazione del patto di quota lite, senza considerare che il Y si sarebbe rivolto al difensore all'approssimarsi della scadenza dei termini e che le condizioni dell'accordo sarebbero state determinate dall'urgenza della sua prestazione professionale.

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'art. 2233 c.c. e degli artt. 33 e 34 del Codice di Consumo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto invalido l'intero contratto per contrarietà al Codice del consumo.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'art. 2233 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché l'irrilevanza delle valutazioni deontologiche ai fini della valutazione della validità della clausola.

Con ordinanza la Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

La questione

La questione in esame è la seguente: il giudice può sempre rilevare la nullità per carenza di congruità del patto di quota lite, con riferimento alla modifica dell'art. 45 del codice deontologico forense, che consente all'avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», alla condizione, tuttavia, «che i compensi siano proporzionati all'attività svolta».

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, la Corte di cassazione osserva che le Sezioni Unite, con la nota sentenza del 22 marzo 2017, n. 7294, hanno affermato che il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione - e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia - trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. Nella specie, Y, pur avendo eccepito in primo grado la nullità del contratto sotto il profilo della vessatorietà della clausola - che riconosceva il compenso al difensore in misura percentuale del credito riconosciuto in sentenza anche in caso di revoca del mandato - ben poteva sottoporre al giudice d'appello un ulteriore profilo di nullità del contratto, senza proporre appello incidentale, in quanto si trattava di eccezione in senso lato, rilevabile anche d'ufficio, perché afferente ai fatti costitutivi della domanda.

L'art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006 ha disposto l'abolizione del divieto previsto dall'art. 2233 c.c., comma 3 ed ha ammesso pattuizioni, purché redatte in forma scritta, di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

Nella specie, la corte di merito, oltre al profilo della vessatorietà della clausola, che obbligava il cliente a corrispondere la prestazione anche in caso di revoca, non ha ritenuto la congruità del patto di quota lite, perché, al di là della previsione per iscritto, il contratto non chiariva se vi fosse una trattativa individuale per la determinazione del compenso sulla base delle aspettative di vittoria e del valore della causa. La Corte territoriale ha valutato in concreto l'incongruità della clausola contrattuale, anche sotto il profilo del rapporto del compenso con il valore della causa, elemento essenziale per valutare l'adeguatezza del compenso, come successivamente stabilito dal legislatore con l'emanazione del d.m. n. 55/2014.

Con riferimento alla censura riguardo violazione degli artt. 2233, 2697 e 2702 c.c., nonché dell'art. 34 del Codice deontologico, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la Corte afferma che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c. consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione della fattispecie astratta di una norma di legge e, perciò, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, con la conseguenza che il ricorrente che presenti la doglianza é tenuto a prospettare quale sia stata l'erronea interpretazione della norma in questione da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, a prescindere dalla motivazione posta a fondamento di questa. Al contrario, se l'erronea ricognizione riguarda la fattispecie concreta, il gravame inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo ai sensi dell'art.360, n. 5, c.p.c.

Con riferimento alla violazione dell'art. 2233 c.c. e degli artt. 33 e 34 del Codice di Consumo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto invalido l'intero contratto per contrarietà al Codice del consumo, Il ricorrente non deduce l'erronea ricognizione della fattispecie astratta di una norma di legge, prospettando quale sia stata l'erronea interpretazione della norma in questione da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, ma critica l'interpretazione del contratto fornita dal giudice di merito ed il vizio di motivazione, senza però dedurre la violazione dei canoni di interpretazione contrattuale.

Il riferimento alle norme deontologiche infine, costituisce una delle argomentazioni svolte per sostenere la necessità della valutazione della congruità del compenso, in caso di patto di quota lite.

La Corte territoriale non ha fondato la decisione sulle norme deontologiche poste a carico del difensore, ma, nell'ambito della ricostruzione della normativa, ha affermato che, a seguito dell'abolizione del divieto del patto di quota lite, la congruità del patto è previsto anche dal punto di vista delle regole deontologiche, con la modifica dell'art. 45 del codice deontologico forense, che consente all'avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», alla condizione, tuttavia, «che i compensi siano proporzionati all'attività svolta».

Osservazioni

La pronuncia in esame esprime una soluzione condivisibile nonostante, attraverso una prima lettura, possa insinuarsi il dubbio di una sopravvivenza del divieto delpatto di quota lite. Come già ampiamente evidenziato, una delle novità della legge n. 248/2006 è l'introduzione, nel terzo comma dell'art. 2233 c.c. al posto del divieto del patto di quota lite, del requisito della forma scritta dei patti tra avvocato e cliente determinativi del compenso, ciò a pena di nullità. Questa normativa sembrava assolvere ad una funzione ben precisa: inserendosi nella scia del neoformalismo negoziale quale tecnica di controllo degli abusi, si riteneva fosse funzionale alla tutela del contraente debole, quale, evidentemente, veniva considerato il cliente allorché, nel momento del bisogno, si rivolge all'avvocato per tutelare beni fondamentali della vita; in questo senso la forma scritta poteva rappresentare una garanzia di maggiore riflessione sulle conseguenze impegnative derivanti dall'assunzione dell'obbligazione. Sennonché, venuto meno il limite dell'inderogabilità dei minimi, la determinazione del compenso deve pur sempre tenere conto della specialità della professione forense e della circostanza per cui, oltre che di stampo deontologico, l'obbligo di esercitarla - tra l'altro - con dignità e decoro trova nella stessa legge la sua fonte (art. 3, comma 2, l. n. 247/2012). Dignità e decoro diventano, pertanto, criteri concorrenti di controllo della congruità del patto di determinazione del compenso tramite i quali è possibile, ad esempio, censurare quello col quale il professionista concordi una remunerazione irrisoria o, all'inverso, eccessiva e sproporzionata alla sua attività. Ovviamente, il controllo è di stampo deontologico perché dal punto di vista civilistico un eventuale patto tra cliente ed avvocato potrà, ora, essere controllato solo nei limiti in cui integri un patto di quota lite e, fuori di questo caso, solo se ed in quanto possano ravvisarsi eventuali vizi del consenso o altre patologie tali da giustificare l'azione di annullamento, o di rescissione, ricorrendone i presupposti.

Alla luce delle considerazioni svolte, la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimangono l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato.

Guida all'approfondimento
  • R. Danovi, Ordinamento forense e deontologico, Milano, Giuffrè,2014, 96 ss.;
  • U. Perfetti, Patti e modalità di determinazione del compenso nella novella di cui alla l. 248 del 2006. La morte apparente del divieto del patto di quota lite, in Contr. Impr., 2007, 71 ss.;
  • V. Vigoriti, Patto di quota lite e libertà di concorrenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 583.

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