La domanda riconvenzionale in seno all'opposizione all'esecuzione

06 Febbraio 2020

Si ritiene possibile estendere l'oggetto dell'opposizione all'esecuzione ad altro diritto che non sia quello per il quale si proceda esecutivamente?

Un soggetto debitore, sottoposto ad azione esecutiva, propone opposizione all'esecuzione eccependo l'invalidità del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente.

Quest'ultimo, per contrastare l'opposizione del debitore intende, oltre che affermare la piena validità del titolo esecutivo, opporre anche un diverso titolo in base al quale il proprio diritto di credito risulti esistente in modo tale da frustrare, a sua volta, l'opposizione del debitore.

Si ritiene possibile, quindi, estendere l'oggetto dell'opposizione all'esecuzione ad altro diritto che non sia quello per il quale si proceda esecutivamente?

Il problema posto dal quesito, in materia di opposizione all'esecuzione, si pone, in modo identico, anche per l'opposizione agli atti esecutivi.

L'esigenza di estendere l'oggetto dell'opposizione esecutiva si può riferire tanto al creditore che al debitore.

Si pensi al caso in cui si eccepisca una compensazione del credito del procedente con uguale credito del debitore esecutato; oppure si pensi al caso, sotteso dal quesito, in cui il creditore, accolta l'opposizione, intenda far valere un diverso diritto di credito nei confronti del debitore al fine di non veder caducata l'azione esecutiva da lui introdotta.

Il problema si presenta molto spesso nella pratica ove, in sede di opposizione esecutiva il soggetto opposto ritenga di resistere ampliando l'oggetto del giudizio di opposizione.

Sul punto le opinioni in giurisprudenza non sono sempre state univoche.

Infatti, in epoca più risalente, si è affermato che l'accertamento del giudice che accolga l'opposizione è un accertamento negativo del diritto della parte istante e nulla più; di conseguenza il giudizio in sede di opposizione non potrebbe essere esteso ad un diritto diverso da quello per il quale si proceda esecutivamente. In questo senso si è espressa la giurisprudenza, secondo la quale: «L'ambito del giudizio di opposizione all'esecuzione deve rimanere sempre circoscritto alla contestazione del diritto della parte a procedere ad esecuzione forzata, cosicché non è consentito al giudice prendere in considerazione e decidere questioni diverse da quelle che attengono all'esistenza o alla validità del titolo esecutivo, ovvero domande che non siano in riferimento o siano in contrasto con il contenuto di esso. Tuttavia, poiché anche rispetto ai limiti di cognizione del giudice dell'opposizione opera, con efficacia convalidante, l'accettazione del contraddittorio nelle domande che non sarebbero, in linea di principio, comprese nella sua competenza, può essere presa in considerazione in sede di opposizione, ove sia accettato il contraddittorio, anche la domanda di condanna al pagamento della differenza in più tra il credito per cui si procede e quello, di maggiore ammontare, opposto in compensazione del debitore opponente» (Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1979, n. 1602).

Più recentemente, in senso contrario, però, la stessa giurisprudenza ha affermato che, facendo leva sul principio dell'economia dei mezzi giuridici e considerando anche che il procedimento di opposizione è un vero e proprio giudizio di cognizione, sarebbe consentito al creditore procedente di proporre sia le eccezioni alla soddisfazione del proprio credito, sia chiedere la condanna del debitore per un titolo diverso svolgendo domanda riconvenzionale. In questo senso: «L'opposizione all'esecuzione, proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., si sostanzia in una domanda tendente all'accertamento negativo della pretesa esecutiva del creditore procedente, il quale è legittimato, nel susseguente giudizio e nelle forme e termini di legge, a proporre eventualmente una domanda riconvenzionale diretta a costituire un nuovo titolo esecutivo che si aggiunga a quello per cui si procede o che ad esso si debba sostituire per intraprendere un'esecuzione diversa da quella iniziata» (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7225).

Attualmente la prassi è nel senso di permettere l'introduzione di domande nuove all'interno del processo di opposizione esecutiva al fine di pervenire all'esatto ristoro del creditore senza gravare il debitore oltre il necessario, salvo, poi, indagare quale sia la validità di un giudicato in sede di opposizione esecutiva sulle questioni dedotte in quella sede.

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