Furto di beni esposti alla pubblica fede, quando si configura?

Cristina Ingrao
07 Febbraio 2020

La questione oggetto della decisione in esame attiene alla configurabilità del reato di furto aggravato dall'essere stato posto in essere su cose esposte per necessità, consuetudine o destinazione alla pubblica fede. In particolare, ci si chiede: in quali circostanze trova applicazione l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p.?
Massima

L'aggravante prevista per il reato di furto all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p. si configura non solo nel caso di furto di beni custoditi all'interno dell'automobile regolarmente chiusa e parcheggiata sulla pubblica via, che costituiscano parte integrante del veicolo o siano comunque destinati, in modo durevole, al servizio o all'ornamento dello stesso, ma anche nell'ipotesi di sottrazione di oggetti che siano lasciati all'interno dell'abitacolo per necessità o consuetudine, avuto riguardo alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a non portarle con sé. Ai fini della sua configurabilità, la necessità dell'esposizione alla pubblica fede deve essere intesa non in senso assoluto, cioè come impossibilità di custodia da parte del titolare del bene, ma in senso relativo.

Il caso

La vicenda in esame trae origine da un decreto del settembre del 2019 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, con il quale si disponeva la presentazione dell'imputato G.S. per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo.

Sulla base degli elementi probatori acquisiti all'udienza, il giudice convalidava l'arresto e applicava all'imputato la misura dell'obbligo di dimora nel Comune di Canicattì. Veniva, quindi, avanzata dal difensore richiesta di rito abbreviato e il giudice disponeva in conformità.

Dal verbale di arresto emergeva che, nel corso di un ordinario servizio di controllo del territorio, veniva notato l'imputato transitare a piedi lungo Largo Aosta, portando con sé una borsa di colore blu. Insospettiti dal suo atteggiamento, insofferente e nervoso, i militari operanti decidevano di fermarlo e di sottoporlo a perquisizione personale. Si accertava, quindi, che la borsa da lui detenuta custodiva un computer portatile e una tesi di laurea in medicina. Contestualmente l'attenzione degli agenti era richiamata da una ragazza che si trovava nelle immediate vicinanze. Nella specie, la giovane, identificata nella persona offesa F.F., richiedeva l'intervento degli agenti riferendo che poco prima ignoti avevano asportato una borsa di stoffa di colore blu, contenente un pc portatile e una tesina in medicina, dal bagagliaio dell'autovettura a lei in uso, in quel momento parcheggiata in Largo Aosta, a pochi metri di distanza dal luogo in cui il G. era stato fermato e perquisito dagli agenti.

Per quanto riguarda la dinamica del furto, come emergeva dagli altri atti di indagine, la ragazza raccontava agli agenti di aver poco prima parcheggiato l'autovettura in Largo Aosta, di essersi allontanata poi qualche minuto per raggiungere degli amici all'interno di un locale ubicato nelle vicinanze e di aver riscontrato, una volta tornata al parcheggio, che il vetro del finestrino anteriore del lato sinistro dell'autovettura era stato frantumato e che la borsa di stoffa di colore blu era stata rubata. Pertanto, apprese tali circostanze, i militari operanti mostravano alla ragazza il pc e la tesi di laurea poco prima rinvenute nel corso della perquisizione a carico dell'imputato, che la stessa riconosceva come propri.

La questione

La questione oggetto della decisione in esame attiene alla configurabilità del reato di furto aggravato dall'essere stato posto in essere su cose esposte per necessità, consuetudine o destinazione alla pubblica fede. In particolare, ci si chiede: in quali circostanze trova applicazione l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p.?

Le soluzioni giuridiche

Il giudice monocratico di Agrigento risolve la questione sottoposta alla sua attenzione in senso affermativo, riconoscendo la responsabilità dell'imputato, in virtù degli atti acquisiti nel corso del processo. Per giungere a tale decisione si sofferma, preliminarmente, sulle caratteristiche del reato di furto, di cui all'art. 624 c.p., contestato all'imputato.

In particolare, ai fini della sussistenza del suddetto reato è irrilevante il contesto spaziale e la durata del possesso da parte del ladro, perché il delitto in questione si considera consumato ogni volta che l'agente riesce a conseguire, anche per un periodo di tempo cronologicamente limitato, l'effettiva disponibilità della cosa. In relazione al caso di specie, la colpevolezza dell'imputato, peraltro, emergeva già dalla ricostruzione dei fatti delineata in sentenza, posto che lo stesso era stato sorpreso con la refurtiva a pochi metri di distanza dal luogo in cui poco prima era stata asportata la borsa con il pc e la tesi di laurea.

Elemento idoneo a provare la colpevolezza dell'imputato è, secondo il giudice, l'atteggiamento tenuto dallo stesso al momento dell'intervento della P.G. (cioè il nervosismo mostrato al momento in cui veniva fermato e la mancata adduzione di argomenti idonei a giustificare il possesso dei beni rinvenuti nel corso della perquisizione personale), insieme ad elementi probatori indicativi della riconducibilità della detenzione degli stessi alla commissione del furto.

Il soggetto, inoltre, risultava colpevole anche sotto il profilo soggettivo, essendo evidente la coscienza e volontà dello stesso di impossessarsi dei beni anzidetti al fine di trarne profitto, non essendo emerso altro scopo, e tenuto conto che, secondo un orientamento consolidato della Suprema Corte, il fine di profitto, nel quale si concreta il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere financo ad una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta (Cass. pen., Sez. V, Sent. n. 11225 del 2019, Rv. 275906).

Infine, secondo il Tribunale monocratico, sussistono entrambe le circostanze aggravanti contestate all'imputato.

In particolare, per quanto attiene alla circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 2, c.p., in sentenza viene preliminarmente evidenziato che essa sussiste ogni volta che l'agente faccia uso di energia fisica provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione o il mutamento di destinazione della cosa altrui, a prescindere dalla perdita o meno di funzionalità della res sulla quale è esercitata la violenza. A ciò si aggiunga che, sempre secondo la giurisprudenza, non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla res oggetto dell'impossessamento, potendosi l'aggravante configurare anche quando la violenza venga posta in essere nei confronti dello strumento materiale apposto sulla cosa per garantire una più efficace difesa della stessa o comunque nei confronti di un bene che costituisce un ostacolo all'azione di sottrazione, rivelandosi il suo danneggiamento o la sua modificazione strumentale all'amotio della res di cui il ladro intende impossessarsi (così, Cass. pen., sez. II, sent. n. 3372 del 2013, Rv. 254782).

In altre parole, quello che rileva è la strumentalità della violenza alla commissione del furto. Sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che l'aggravante va esclusa solo nel caso in cui la violenza sulla cosa venga esercitata dopo che il delitto sia stato commesso, in un contesto di tempo e di luogo distinto dall'impossessamento della refurtiva (v. Cass. pen., sez. VI, sent. n. 36569 del 2012, Rv 253376).

Ciò premesso, nel caso di specie, alla luce delle emergenze processuali, secondo il Tribunale interessato, è provato che l'azione furtiva fosse stata perpetrata con violenza sulle cose, integrata, nello specifico, dalla rottura del vetro del finestrino anteriore dell'autovettura, a nulla rilevando la circostanza che in sede di perquisizione non fosse stato rinvenuto l'oggetto con il quale era stato infranto il vetro.

Ed invero, considerate le circostanze di tempo e di luogo in cui l'imputato è stato sorpreso con la refurtiva non può dubitarsi del fatto che sia a lui riconducibile l'effrazione del finestrino dell'automobile al fine di impossessarsi dei beni al suo interno custoditi. Lo stesso era stato, infatti, arrestato in condizioni di tempo e di luogo tali da integrare lo stato di quasi flagranza, essendo stato fermato con i beni oggetto dell'azione furtiva a pochi metri dal luogo di consumazione del furto e subito dopo la sua commissione.

Ricorre, inoltre, secondo il giudice, la circostanza aggravante del furto dell'esposizione alla pubblica fede, di cui all'art. 625, co 1, n. 7, c.p.

Sul punto va, invero, rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'aggravante menzionata si configura non solo nel caso di furto di beni custoditi all'interno dell'automobile regolarmente chiusa e parcheggiata sulla pubblica via, che costituiscano parte integrante del veicolo o siano comunque destinati, in modo durevole, al servizio o all'ornamento dello stesso, ma anche nell'ipotesi di sottrazione di oggetti che siano lasciati all'interno dell'abitacolo per necessità o per consuetudine, avuto riguardo alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a non portarle con sé.

In altri termini, come chiarito più volte dalla stessa Suprema Corte, ai fini della configurabilità dell'aggravante in commento, la necessità dell'esposizione alla pubblica fede deve essere intesa non in senso assoluto, cioè come impossibilità di custodia da parte del titolare del bene, ma in senso relativo (v. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 45488 del 2008, Rv. 241988; v. Cass. sez. IV, sent. n. 21262 del 2015, Rv. 263891). Proprio in relazione a ciò, recentemente, la Corte di Cassazione ha affermato che, avuto riguardo ai tempi e ai modi con i quali si attende alle incombenze della propria giornata nella società attuale e, in particolare, tenuto conto dell'utilizzo sempre maggiore dell'autovettura come “base” per organizzare la propria vita quotidiana, l'esposizione alla pubblica fede per necessità o consuetudine ricorre non solo in relazione a quei beni di difficile trasporto che, per ingombro e peso, siano lasciati in auto mentre si attende ad ulteriori incombenze, ma financo in ordine agli effetti personali, quali documenti e occhiali, che per necessità o comodità di custodia siano lasciati lì dal proprietario (v. Cass., sez. V, sent. n. 38900 del 14.6.2019).

Alla luce dei parametri giurisprudenziali esposti, secondo il giudice, nel caso di specie, pertanto, ricorre certamente l'aggravante in contestazione, rilevato che l'autovettura si trovava parcheggiata sulla pubblica via, regolarmente chiusa a chiave, e dovendosi ritenere che risponda a consuetudine lasciare oggetti di un certo ingombro e strumentali ad esigenze di studio/lavoro, quali il computer portatile e la tesi di laurea, all'interno del bagagliaio del proprio veicolo per passare a salutare degli amici all'interno di un locale posto nelle vicinanze del parcheggio.

Interessante è, con riguardo al trattamento sanzionatorio, il mancato riconoscimento in sentenza della circostanza attenuante della lieve entità del danno. Il Tribunale di Agrigento, infatti, in relazione al caso di specie, non ravvisa i presupposti per il riconoscimento, in favore dell'imputato, della stessa.

Per avvalorare la sua posizione nella pronuncia si richiama l'orientamento della Corte di Cassazione sul punto, la quale ha affermato che la concessione della circostanza della lieve entità del danno presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res, senza peraltro rilevare la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno (v. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 6653 del 2017).

Orbene, in relazione al caso di specie, al di là del valore certamente non irrisorio della refurtiva e, in particolare, del computer portatile, occorre tener conto del valore complessivo del pregiudizio arrecato con l'azione criminosa posta in essere dall'imputato. Con riguardo, poi, all'ulteriore danno subito dalla vittima in conseguenza dell'effrazione del finestrino dell'autovettura a lei in uso, il pregiudizio complessivamente arrecato non può definirsi tenue (v. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 6653 del 2017, cit.), con conseguente esclusione della concessione dell'aggravante suddetta.

In conclusione

Il Tribunale di Agrigento, dopo aver ricostruito il fatto, e dopo aver richiamato la giurisprudenza sviluppatasi con riguardo alle questioni giuridiche interessate dallo stesso, ha condivisibilmente condannato l'imputato per il reato di furto aggravato dall'essere stato commesso su beni esposti alla pubblica fede. Posto che la stessa aggravante, come già chiarito, si configura sia nel caso di furto di beni custoditi all'interno dell'automobile chiusa e parcheggiata sulla pubblica via, che costituiscano parte integrante del veicolo o siano destinati, in modo durevole, al servizio o all'ornamento dello stesso; sia nell'ipotesi di sottrazione di oggetti lasciati all'interno dell'abitacolo per necessità o consuetudine, avuto riguardo alle circostanze che possono indurre il soggetto a non portarle con sé, come nel caso di specie. La necessità dell'esposizione alla pubblica fede deve, infatti, essere intesa non in senso assoluto, cioè come impossibilità di custodia da parte del titolare del bene, ma in senso relativo.

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