Niente particolare tenuità nel processo contro gli enti collettivi

Ciro Santoriello
07 Febbraio 2020

Nella decisione in commento, la Cassazione afferma che già in precedenti pronunce era stato escluso che la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. potesse trovare applicazione nell'ambito del procedimento nei confronti degli enti collettivi, ma in realtà questa conclusione pare eccessivamente tranchant e non pienamente rispondente a quelle che...
Massima

La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non è applicabile alla responsabilità amministrativa degli enti per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione, in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale e quella amministrativa dell'ente per il fatto di reato commesso da chi al suo interno si trovi in posizione apicale o sia soggetto alla altrui direzione.

Il caso

Il Tribunale di Trento assolveva, ai sensi dell'art. 131-bisc.p., per la particolare tenuità del fatto, una società per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 undecies d.lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 256 d.lgs. 152/2006, contestatole per l'esecuzione di attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi da parte del legale rappresentante della società, nell'interesse della stessa, ritenendo che l'offesa provocata da tale illecito si fosse rilevata di particolare tenuità in considerazione del modesto vantaggio conseguito dall'ente, della riparazione successiva e della non abitualità del comportamento.

Avverso la proponeva per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Trento, lamentando l'inosservanza e l'errata applicazione dell'art. 131-bisc.p. da parte del Tribunale, per essere tale causa di esclusione della punibilità applicabile solamente ai reati e non anche agli illeciti amministrativi commessi dalle persone giuridiche e disciplinati dal d.lgs. 231/2001, risultando, tra l'altro, irrilevante nei confronti dell'ente l'eventuale proscioglimento degli imputati per la particolare tenuità del fatto, la cui realizzazione costituisce presupposto sufficiente per poter affermare la responsabilità dell'ente nel cui interesse il reato sia stato commesso e che da esso abbia tratto profitto, anche nel caso in cui gli autori siano stati dichiarati non punibili. Nel caso in esame il Tribunale aveva affermato come sussistenti gli elementi costitutivi del reato presupposto e il vantaggio per l'ente, con la conseguente sussistenza dei presupposti per applicare all'ente la sanzione amministrativa, indebitamente esclusa dal Tribunale, risultando errato il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alla mancata previsione nell'art. 8 del d.lgs. 231/2001 della causa di esclusione della punibilità contemplata dall'art. 131-bisc.p., non ancora introdotta nell'ordinamento all'epoca della approvazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti.

La questione

Sul tema della possibile applicazione nell'ambito del procedimento degli enti della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. (su cui SANTORIELLO, La clausola di particolare tenuità del fatto, Napoli 2016; MANGIARACINA, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative; PACIFICI, La particolare tenuità dell'offesa: questioni di diritto penale sostanziale; CAPRIOLI, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, tutti in www.dirittopenalecontemporaneo.it; MARANDOLA, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, in Dir. Pen. Proc., 2015, 791; BARTOLI, L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ibidem, 659; GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, ibidem, 517), alcuni autori si sono espressi in senso positivo sostenendo in primo luogo che contro questa conclusione non è decisiva la circostanza che il legislatore non abbia previsto che la declaratoria di non punibilità pronunciata nei confronti della persona, essendo assai probabile che tale silenzio, più che il frutto di una scelta consapevole, sia il risultato di una mera trascuratezza (così D'ACQUARONE, Tenuità del fatto: brevi riflessioni sulla posizione dell'ente, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 143).

In secondo luogo, si sottolinea (CORSO, Responsabilità dell'ente da reato non punibile per particolare tenuità del fatto, in Quotidiano Ipsoa on-line, 24 marzo 2015; SCARCELLA, C'è ancora spazio per la responsabilità dell'ente se il fatto è di particolare tenuità?, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 119; D'ACQUARONE, Tenuità del fatto, cit., 143) come sarebbe incongruo che, a fronte di un comportamento umano qualificato dal giudice come di particolare tenuità, possa invece ritenersi sussistere una responsabilità dell'Ente. Contro questa osservazione non potrebbe richiamarsi il contenuto dell'art. 8 d.lgs. n. 231 del 2001 in base al quale in caso di estinzione del reato commesso dalla persona fisica – salvo il caso che l'estinzione sia conseguente ad amnistia – il procedimento penale nei confronti dell'ente prosegue; infatti, l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è, per tale dottrina, istituto diverso dalla causa di estinzione del reato: “il nuovo istituto, salvando la persona fisica, salva anche la persona giuridica, con eccezione dei casi in cui sia ravvisabile una diversa volontà legislativa [come] accade con riguardo al reato di lesioni gravissime da infortunio sul lavoro che – nonostante i limiti di pena massima contenuti nei 5 anni – rimane punibile sia per la persona fisica che per quella giuridica, laddove il reato di lesioni gravi, ritenuto non punibile per la persona fisica, è non punibile anche per l'ente” (SCARCELLA, cit., 119, che richiama CORSO, Responsabilità dell'ente da reato, cit.).

A conferma di tali indicazioni, inoltre, si evidenzia come, in sede di riforma del reato di falso in bilancio di cui agli artt. 2621 ss. c.c., il legislatore abbia introdotto l'art. 2621-ter c.c. che disciplina l'ipotesi in cui il reato di false comunicazioni sociali sia di particolare tenuità e quindi per tale ragione non punibile. Orbene, fra i reati presupposto della responsabilità della persona giuridica non compare il falso in bilancio di particolare tenuità di cui al citato art. 2621-ter con la conseguenza che deve ritenersi che la modestia del fatto escluda la punibilità non solo della persona fisica che rende la mendace comunicazione contabile ma anche dell'ente cui quella comunicazione si riferisce; tale soluzione adottata dal legislatore con riferimento al reato di falso in bilancio, tuttavia, secondo la dottrina che si sta esaminando avrebbe portata più general, dovendo operare con riferimento a tutti gli altri illeciti presupposti della colpevolezza della persona giuridica. D'altronde, non ha senso che la scelta di deflazione del sistema penale - quale quella rappresentata dall'introduzione dell'art. 131-bis c.p. – venga circoscritta alla sola persona fisica facendo persistere la necessità di processare comunque l'ente per un fatto illecito oggettivamente riconosciuto marginale: “l'art. 2621-ter c.c. non è, quindi, l'eccezione alla regola del permanere della responsabilità dell'ente come «autonoma» da quella penale della persona fisica; semmai, va considerata la punta dell'iceberg e cioè la prima chiara emersione di una scelta di fondo diretta ad evitare la responsabilità amministrativa dell'ente per reato presupposto particolarmente tenue alla luce dei parametri applicativi dell'art. 131-bis c.p.” (SCARCELLA, C'è ancora spazio, cit. 123).

Non mancano posizioni contrarie alle tesi esposte (GUERRINI, Clausole di esclusione della punibilità e responsabilità degli enti, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 128). In particolare, si evidenzia come la «particolare tenuità» del fatto non rappresenti propriamente una causa di estinzione del reato ma una causa di esclusione della punibilità e tale ricostruzione della natura del nuovo istituto sarebbe di ostacolo all'applicazione dell'art. 131 bis c.p. alla persona giuridica posto che nella relazione governativa al d.lgs. n. 231 del 2001 si legge che «le cause di estinzione della pena [...] al pari delle eventuali cause di non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente, non escludendo la sussistenza di un reato»: alla luce di queste affermazioni, il nuovo istituto, essendo configurabile come causa di non punibilità, non sembra, secondo tale orientamento, poter esercitare una qualche influenza sulla responsabilità dell'ente, in quanto esso, non operando sulla punibilità in astratto, non esclude la configurazione del reato, ma, anzi, conferma e conserva la natura antigiuridica del fatto e si limita a non punirlo, in concreto, perché ritenuto di scarsa offensività.

Inoltre, mentre la nuova causa di non punibilità pone quale condizione per la sua operatività il riconoscimento giudiziale di un fatto di reato, la citata relazione ministeriale vieta espressamente che la società possa sottrarsi all'irrogazione della sanzione a fronte della ritenuta sussistenza dell'illecito dipendente da reato, facoltà, questa, che deve, quindi, essere riconosciuta solo alla persona fisica. Al più, secondo tale orientamento, la declaratoria di non punibilità ottenuta dalla persona fisica potrà produrre quale unico beneficio per la persona giuridica la possibilità di godere della «tenuità dell'illecito», in virtù dell'art. 12 d.lgs. n. 231 del 2001, che appunto attenua la risposta sanzionatoria senza intaccare la punibilità dell'ente.

Secondo i sostenitori di questa tesi, quella ora esposta sarebbe una conclusione del tutto coerente con l'impianto dell'illecito amministrativo delineato dal decreto 231, del quale il reato è un elemento che rileva esclusivamente quale presupposto di una responsabilità di tipo non penale, come nel caso dell'obbligazione civile derivante dalla commissione di un reato, per cui, sotto il profilo della loro incidenza sulla responsabilità della societas, le condizioni di non punibilità vengono ad essere equiparate alle ipotesi disciplinate dall'art. 8 d.lgs. n. 231 del 2001. D'altronde, le condizioni sopravvenute di non punibilità hanno carattere «personale», nel senso che nella gran parte dei casi sono strettamente connesse ad una qualità soggettiva (si pensi alla qualità di prossimo congiunto che esclude la punibilità dei reati contro il patrimonio commessi senza violenza sulle persone), ovvero ad una condotta dell'agente successiva alla commissione di un reato (come nel caso della ritrattazione): tali cause, poiché lasciano sussistere l'illiceità del fatto e si limitano a far venir meno la punibilità per ragioni di opportunità legate al soggetto agente, hanno la capacità di produrre effetti esclusivamente nei confronti di colui al quale direttamente si riferiscono (ancora GUERRINI, Cause di esclusione, cit., 148 che richiama, a conferma della sua tesi, il contenuto della legge n. 186 del 2014, con cui è stato la cd. voluntary disclosure, che consente la regolarizzazione dei redditi detenuti all'estero sottratti a tassazione in Italia: nel prevedere, allo scopo di favorire l'adesione del maggior numero possibile di contribuenti alla procedura di collaborazione volontaria, una causa di non punibilità per determinati delitti in capo a chi «presta la collaborazione volontaria», il legislatore non ha previsto alcuna norma che estenda alle persone giuridiche i benefici introdotti per gli autori dei reati resi non punibili dall'adesione alla voluntary).

In sostanza, la posizione in parola evidenzia come l'illecito amministrativo dell'ente e il reato presupposto commesso dalla persona fisica sono istituti diversi e da tale diversità ontologica deriva che il legislatore, qualora decida di introdurre una disciplina di favore per le persone giuridiche, deve prevederla espressamente, mentre ove ciò non avvenga, le condizioni che estinguono il reato o che ne limitano la punibilità non si applicano alla persona giuridica. D'altronde, la disciplina sanzionatoria dell'illecito amministrativo degli enti è basata su principi del tutto distinti dagli stilemi penalistici e le ragioni di politica criminale che motivano la concessione di benefici agli autori del reato presupposto non sono in alcun modo applicabili agli enti collettivi.

Quanto alla giurisprudenza, come vedremo, la stessa presenta contenuti più sfumati.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato accolto venendo ribadito il principio che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bisc.p. non è applicabile alla responsabilità amministrativa degli enti per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione, in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale (che, per espressa previsione legislativa può ora essere esclusa nel caso di particolare tenuità del danno e del pericolo provocati dalla condotta, nella concorrenza delle altre condizioni richieste dall'art. 131-bisc.p.), e quella amministrativa dell'ente per il fatto di reato commesso da chi al suo interno si trovi in posizione apicale o sia soggetto alla altrui direzione.

Tale conclusione si fonda sulla considerazione secondo cui la responsabilità amministrativa degli enti è un tertium genus di responsabilità, il quale, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343) ed è autonoma rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato- presupposto, come dimostrato dalla disposizione di cui all'art. 8 d.lgs. 231/2001, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", secondo cui la responsabilità dell'ente deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile, ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060). Da queste affermazioni, la Cassazione fa derivare la conclusione secondo cui la responsabilità amministrativo-penale da organizzazione prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica e tale autonomia esclude che l'eventuale applicazione all'agente della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all'ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso (Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2017, n. 9072).

In particolare, la suddetta causa di esclusione della punibilità non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell'ente, essendo espressamente e univocamente riferita alla realizzazione di un reato, la cui punibilità viene esclusa per la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, mentre, come evidenziato, quella dell'ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, ma è volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell'ente.

Osservazioni

Nella decisione in commento, la Cassazione afferma che già in precedenti pronunce era stato escluso che la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. potesse trovare applicazione nell'ambito del procedimento nei confronti degli enti collettivi, ma in realtà questa conclusione pare eccessivamente tranchant e non pienamente rispondente a quelle che sono le affermazioni presente nella sentenza (unica precedente sul punto) della terza Sezione n. 11518 del 23 gennaio 2019.

In tale pronuncia infatti non si esclude tout court l'incompatibilità fra il procedimento ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed art. 131-bis c.p. ma si afferma che in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l'applicazione dell'art. 131-bis, c.p. non esclude la responsabilità dell'ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto, emessa nei confronti della persona fisica.

In effetti, l'opzione di escludere la punibilità dell'ente collettivo in ragione della irrilevanza del reato presupposto concretamente posto in essere dal singolo è scelta che può risultare difficilmente compatibile con i valori che assistono la responsabilità degli enti e il procedimento volto al suo accertamento, tutto incentrato ad incentivare l'ente ad adottare il modello organizzativo e così scongiurare che lo stesso ricada nell'illecito ed infatti il reato presupposto commesso dalla persona fisica è solo uno degli elementi la cui sussistenza può determinare la responsabilità della società, la quale si fonda anche sulla sussistenza della cosiddetta colpa di organizzazione ed assume inoltre valenza diversa a seconda delle carenze organizzative riscontrate, del ruolo che il singolo responsabile del reato diverse nella società, del profitto che la società ha ricavato dall'illecito ecc. Da queste considerazioni deriva, dunque, che l'eventuale particolare tenuità del fatto di reato commesso da persona fisica è solo uno degli elementi che può guidare il giudice nella valutazione circa la gravità del rimprovero da muovere alla persona giuridica: posta la rimarcata differenza fra crimine del singolo ed illecito amministrativo dell'ente alla natura bagattellare del primo non necessariamente segue la sussistenza di una minima responsabilità della persona giuridica, così come non è affatto detto che a fronte d'un reato presupposto particolarmente “odioso” debba fare seguito il riconoscimento di una significativa colpevolezza in capo alla società.

Da quanto detto, a nostro parere, devono seguire le seguenti conclusioni. L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è espressione di una scelta fondamentale del legislatore italiano, ispirata al perseguimento di valori di rango costituzionale - non solo l'esigenza di deflazione processuale, ma anche la necessità di tornare a valorizzare la natura del diritto penale quale extrema ratio, nonché il suo carattere frammentario. In quanto tale, la disciplina di cui all'art. 131-bis c.p. non può trovare applicazione solo nei confronti delle persone fisiche ma deve logicamente e necessariamente estendersi a quelle ipotesi in cui l'illecito del singolo sia in qualche modo presupposto per l'applicazione di un trattamento sanzionatorio nei confronti di altri soggetti dell'ordinamento, quand'anche si tratti di enti collettivi.

Da quanto detto però non deriva che l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla persona giuridica sia determinata esclusivamente dalla natura bagattellare del reato presupposto. A nostro parere, il giudice che voglia accedere ad una tale conclusione del processo nei confronti della società non può limitarsi a valutare solo la gravità del crimine commesso dal singolo, ma deve anche considerare come tale reato “si inserisca” all'interno della vita dell'azienda, in che misura ne rappresenti la politica imprenditoriale, se sia espressione di una scelta degli organi apicali o sia la conseguenza di un'imprevedibile atteggiamento criminoso del singolo, se la sua commissione sia stata resa possibile o facilitata dalle carenze organizzative dell'ente ecc.. In sostanza, mentre allorquando si voglia applicare l'art. 131-bis c.p. alla persona fisica il giudice, per espressa indicazione presente nella suddetta disposizione codicistica, deve - oltre a considerare ovviamente l'entità della pena applicata per il reato per cui si procede - valutare le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, la non abitualità del comportamento, la mancanza di crudeltà o di particolare aggravanti, nel processo nei confronti degli enti collettivi una valutazione circa la modestia del rimprovero che può essere mosso alla società va condotta alla luce di altri parametri, anch'essi comunque ricavabili dal dettato normativo presente nel decreto n. 231: in particolare, accanto alla considerazione della pena comminata per il reato presupposto, dovranno essere considerati i profili attinenti la colpa di organizzazione, l'identità dei soggetti responsabili dell'illecito - riteniamo, infatti, difficilmente riconoscibile la sussistenza della causa di non punibilità in parola laddove l'illecito sia stato commesso da organi apicali -, il profitto che l'ente ha ricavato dal reato ed infine la circostanza che il reato sia stato commesso nell'interesse esclusivo dell'ente o invece l'ente abbia ricavato un minimo vantaggio da un reato che era stato commesso il reato nell'interesse di terzi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.