Attribuzioni patrimoniali nella convivenza more uxorio tra obbligazioni naturali e arricchimento senza causa

Katia Mascia
07 Febbraio 2020

In tema di convivenza more uxorio è configurabile un indebito arricchimento ed è pertanto possibile proporre il relativo rimedio giudiziale, nel caso in cui le prestazioni rese da un convivente e convertite a vantaggio dell'altro esorbitano dai limiti di proporzionalità e adeguatezza, ossia esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto.

Il caso. Il Tribunale di Torino, nel 2016, nell'accogliere parzialmente le istanze di un uomo, condannava la sua ex convivente a corrispondere, in suo favore, una cospicua somma di denaro. Rigettava la domanda ai sensi dell'art. 2549 c.c. – escludendo, dalla ricostruzione del complesso rapporto economico intercorso tra le parti in venti anni di convivenza, che tra i due fosse sussistente un accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione – qualificandola come azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c. e ritenendo sussistente il requisito della sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c..
Avverso la sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi, a seguito di ordinanza di inammissibilità dell'appello della Corte territoriale di Torino. L'uomo resisteva in giudizio con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato all'accoglimento del principale.

Motivi di impugnazione. La ricorrente con il primo motivo si doleva del fatto che il Tribunale di Torino non avesse escluso l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento, tenuto conto dell'esistenza di un titolo contrattuale. Con il secondo motivo lamentava il fatto che la sentenza impugnata non avesse ritenuto di ricondurre i versamenti di denaro effettuati dall'uomo nel corso degli anni nella categoria delle obbligazioni naturali, ritenendo invece che fossero assoggettabili all'azione di indebito arricchimento. Con il terzo motivo, infine, deduceva la nullità della sentenza per mancata statuizione su alcuni capi della domanda, non avendo il giudice di prime cure esaminato le vicende patrimoniali riguardanti tutti gli immobili acquistati ed alienati nell'arco temporale di un ventennio.

Osservazioni della Corte di Cassazione. Premesso che nel ricorso per Cassazione è fatta espressa menzione dei motivi di appello ed è riportato il tenore della decisione di inammissibilità della Corte torinese, dovendosi evidenziare l'insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame, i Supremi Giudici della Terza Sezione - richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità, cui risulta essersi conformato il giudice torinese - affermano che quella di indebito arricchimento costituisce un'azione autonoma, per diversità della causa petendi, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale ed ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata soltanto quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito.

L'azione per ingiustificato arricchimento, disciplinata dal legislatore all'art. 2041 c.c., configura un rimedio attraverso il quale chi si sia arricchito, senza una giusta causa, a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a compensare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. In definitiva, l'azione si fonda sulla sussistenza di un arricchimento, posto in correlazione con un depauperamento, avvenuto in mancanza di una giusta causa.
Ciò premesso, i Giudici di Piazza Cavour ritengono non sia sussistente tra le parti un accordo qualificabile in termini di associazione in partecipazione e che la sentenza impugnata abbia ritenuto, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità, che le attribuzioni patrimoniali effettuate dall'uomo non possano essere ricondotte all'adempimento di un dovere morale e sociale e rientrare, in tal modo, nel novero delle obbligazioni naturali, in quanto esorbitano dalle esigenze familiari e non rispettano i minimi di proporzionalità e adeguatezza di cui all'art. 2034 c.c. Come affermato in dottrina, sebbene il presupposto della proporzionalità non sia menzionato dal codice civile, esso deve ritenersi implicito nella stessa idea di obbligazione naturale, in quanto alla stregua della coscienza sociale non è doveroso ciò che va al di là di quanto l'adempiente può ragionevolmente fare o di quanto il beneficiario abbia ragionevolmente bisogno. In definitiva è ammissibile l'azione di arricchimento senza causa nel caso di convivenza more uxorio ove le prestazioni di uno a vantaggio dell'altro convivente superino l'adempimento delle obbligazioni normalmente connesse e originate dal rapporto di convivenza in termini di proporzionalità e di adeguatezza.

Conclusione. I Giudici della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, dichiarano inammissibile il ricorso principale e assorbito quello incidentale. Condannano altresì la ricorrente principale al pagamento delle spese di lite, dando atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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