La concessione del permesso premio al condannato c.d. ostativo dopo la sentenza della Corte cost. n. 253/2019

Lorenzo Cattelan
10 Febbraio 2020

La questione posta all'attenzione della Suprema Corte, alla luce della già richiamata sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, è chiamata a valutare – unicamente in materia di permessi premio – il rapporto tra la nuova configurazione dell'art. 4-bis, comma 1, ord. penit. e l'art. 58-ter, o.p. (in tema di persone che collaborano con la giustizia).
Massima

Preso atto della caducata preclusione assoluta di pericolosità sociale riferita ai condannati per uno dei delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), l'accertamento incidentale ex art. 58-ter ord. penit., devoluto alla competenza del Tribunale di Sorveglianza, non riveste più alcuna utilità per i procedimenti - instaurati dai medesimi detenuti “di prima fascia” - volti all'ottenimento di permessi premio di cui all'art. 30-ter ord. penit.

Il caso

M.P., detenuto in relazione a reati compresi nell'art. 4-bis, comma 1, ord. penit., desiderando fruire di un permesso premio, ha presentato, prima della pronuncia della Corte Costituzionale con cui – proprio con riguardo al beneficio di cui all'art. 30-ter – è stata dichiarata l'illegittimità della preclusione assoluta di pericolosità per i condannati “ostativi” (Corte Cost. 23 ottobre - dep. 4 dicembre 2019, n. 253), istanza volta all'accertamento dell'impossibilità della sua collaborazione.

Il Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria, con ordinanza datata 11 giugno 2019, ha dichiarato insussistenti – nel merito – i requisiti richiesti ai fini dell'ottenimento dello status di collaboratore impossibile (ossia, l'integrale accertamento dei fatti criminosi e delle conseguenti responsabilità operato con sentenza passata in giudicato).

Preso atto dell'esito valutativo del Tribunale, con provvedimento del 20 giugno 2019, il Magistrato di Sorveglianza ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di permesso premio presentata dal medesimo condannato.

Avverso tali decisioni, il difensore di fiducia di M.P. ha presentato ricorso per Cassazione, adducendo due motivi di illegittimità. In primis, il ricorrente ha dedotto che il Tribunale di Sorveglianza ha errato nel non estendere il suo scrutinio al profilo inerente l'inesigibilità della collaborazione (ossia, derivante dalla limitata partecipazione dell'interessato ai fatti criminosi), dal momento che la stessa risulterebbe pacifica dalla sentenza di condanna e che avrebbe consentito di superare l'ostatività propria dell'art. 4-bis o.p. In secondo luogo, M.P. ha eccepito l'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione, nella parte in cui esclude la possibilità di concedere i permessi premio al condannato per i delitti in essa indicati che non abbia prestato utile/impossibile/inesigibile/irrilevante collaborazione con la giustizia.

La questione

La questione posta all'attenzione della Suprema Corte, alla luce della già richiamata sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, è chiamata a valutare – unicamente in materia di permessi premio – il rapporto tra la nuova configurazione dell'art. 4-bis, comma 1, ord. penit. e l'art. 58-ter, ord. penit. (in tema di persone che collaborano con la giustizia).

In altri termini, di fronte ai giudici di Piazza Cavour si sono posti due possibili scenari:

a) ritenere l'accertamento ex art. 58-ter o.p. oramai privo di autonomo interesse, dal momento che la valutazione da compiersi in sede di permesso premio prescinde dalla positiva verifica di condotte collaborative con la giustizia;

b) ritenere che l'accertamento ex art. 58-ter o.p. conservi una propria valenza, dal momento che l'ottenimento dello status di collaboratore conserva significatività in punto di onere allegatorio (e probatorio) posto in capo all'interessato.

Le soluzioni giuridiche

Con la stringata motivazione della sentenza in esame, anzitutto, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile nella parte in cui avversa l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza a motivo della sopravvenuta carenza di interesse.

Come già chiarito, infatti, nelle more del giudizio di legittimità, la Consulta ha affermato che è costituzionalmente illegittimo l'art. 4-bis, comma 1, ord. penit., nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di “prima fascia”, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ord. penit. allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

In questo senso, poiché queste ultime valutazioni sono estranee all'ambito dell'accertamento incidentale devoluto al Tribunale di Sorveglianza ai sensi del citato art. 58-ter o.p. – essendo esse, almeno in prima istanza, di esclusiva competenza del Magistrato di Sorveglianza chiamato a decidere sul permesso (Sez. 1, n. 40744 del 14.02.18, C., Rv. 273940-01) – siffatto accertamento non riveste più alcuna utilità nel caso di specie, onde il venir meno dell'interesse del condannato a coltivare in parte qua la presente impugnazione. Oltre a ciò, i giudici della prima sezione penale hanno negato l'utilità dell'accertamento (e del connesso interesse all'impugnazione) osservando che, avendo il condannato dedotto solamente l'ipotesi di collaborazione c.d. non prestata – e non l'ipotesi di collaborazione c.d. attiva –, l'eventuale esito favorevole dell'accertamento incidentale non sarebbe neppure in grado di incidere sulla quota-parte di pena espiata necessaria per l'accesso al beneficio in parola (Cass. pen., Sez. I, 20 dicembre 2017, n. 26073, Ardizzone, Rv. 273123-01).

Con riguardo alla doglianza relativa al provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, invece, il ricorso è stato riqualificato come reclamo e trasmesso per competenza al Tribunale di Sorveglianza distrettuale (ex art. 568, comma 5, c.p.p.).

Infatti, la Corte di Cassazione sottolinea al ricorrente che avverso la decisione del Magistrato di Sorveglianza in materia di permessi è ammesso reclamo – nel termine di ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento – al Tribunale di Sorveglianza, avanti al quale si segue il procedimento a contraddittorio camerale regolato dall'art. 666 c.p.p. (Cass. pen., Sez. I, 10 novembre 2015, n. 5186, Pinna., Rv. 266136-01).

Osservazioni

Omettendo di offrire al lettore un percorso logico-giuridico approfondito, la Corte di Cassazione ha dunque stabilito che non è più rilevante, oltre che necessario, ai fini della concessione del permesso premio al condannato c.d. ostativo, procedere all'accertamento della collaborazione, dal momento che la Magistratura di Sorveglianza è in ogni caso chiamata a procedere all'accertamento dell'assenza di contatti con la criminalità organizzata.

In questo senso, la collaborazione impossibile costituirebbe un dato neutro rispetto alla sussistenza di contatti con il crimine organizzato. In caso contrario, secondo l'orientamento in esame, verrebbe a porsi un'ulteriore questione di legittimità costituzionale riassumibile col seguente interrogativo: perché trattare coloro che possono collaborare in maniera deteriore rispetto a quanti vedano i fatti accertati per altra via senza che – peraltro – abbiano mai voluto collaborare?

Ciò premesso, pare il caso di evidenziare che, ad ogni modo, l'ipotetica e diversa modalità di accertamento (del legame dell'interessato con la consorteria mafiosa) non giustifica un giudizio autonomo davanti al Tribunale di Sorveglianza, assunto che la collaborazione impossibile non costituisce più un passaggio obbligato per accedere al beneficio di cui all'art. 30-ter o.p.

La portata della decisione de qua è dirompente, se solo si provi a fare un raffronto con i primi arresti della – seppur non unanime – giurisprudenza di sorveglianza.

Secondo la maggior parte degli interpreti della materia penitenziaria, infatti, nella motivazione della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale 253/2019 emergerebbe il differente (e meno gravoso) onere probatorio che graverebbe sull'interessato nell'ipotesi in cui egli richieda l'accertamento della collaborazione “impossibile”, “inesigibile” o “irrilevante”, dato che – laddove ottenesse un giudizio positivo – non dovrebbe nemmeno allegare elementi a sostegno dell'assenza di attualità dei collegamenti con la criminalità e dell'assenza del pericolo del ripristino dei collegamenti con la medesima. In questi casi, infatti, sarebbe onere del Magistrato di Sorveglianza, chiamato a decidere nel merito la richiesta di permesso premio (a seguito dell'accertamento della collaborazione “non prestata”), provvedere ex officio alle manchevolezze istruttorie dell'istante.

Invece, nella diversa ipotesi in cui il beneficio di cui all'art. 30-ter ord. penit. venisse richiesto dal condannato che non abbia positivamente collaborato con la giustizia o che non abbia allegato la sussistenza di ipotesi “succedanee”, dovrebbe ritenersi incombente sull'interessato stesso l'onere di allegare elementi a sostegno dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e dell'assenza di pericolo di un ripristino dei medesimi.

In aggiunta, secondo questo diverso indirizzo, nel in cui le acquisizioni istruttorie disposte dal Giudice di Sorveglianza smentiscano le allegazioni dell'istante, incomberebbe su quest'ultimo un vero e proprio onere di provare gli elementi a contrasto delle dette acquisizioni.

Infine, solo se all'esito di tale procedura il Magistrato sia in grado di accertare l'avvenuto superamento della presunzione relativa, l'istanza sarebbe ammissibile e, pertanto, suscettibile di essere valutata nel merito secondo i parametri ordinari.

In conclusione, dunque, non rimane che attendere gli ulteriori inevitabili interventi che la Suprema Corte riserverà al delicato tema in esame, dal momento che il dibattito pare destinato a maturare e a suscitare nuove – e più consapevoli – interpretazioni.

Guida all'approfondimento

CATTELAN, La Consulta salva l'ergastolo ostativo ma abroga la presunzione assoluta di pericolosità per i condannati a uno dei reati ex art. 4-bis, comma 1, ord. penit., in Questa Rivista, 13 gennaio 2020.

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