La Legge Pinto non si applica alla liquidazione coatta amministrativa: disciplina incostituzionale?
11 Febbraio 2020
La peculiarità della liquidazione coatta amministrativa, rispetto al fallimento, trova la sua giustificazione nelle finalità pubblicistiche di tale procedura, riguardante imprese che, pur operando nell'ambito del diritto privato, involgono molteplici interessi. Non essendo, quindi, configurabile un'identità tra la posizione di un creditore di un fallimento e quella di un creditore di una liquidazione coatta amministrativa, il fatto che i rimedi della Legge Pinto si applichino solo nell'ambito del fallimento e non anche nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa non determina la prospettata incostituzionalità. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 12/20, depositata il 5 febbraio.
Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis, commi 1 e 2, e 2, comma 1, L. n. 89/2001 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 c.p.c.), sollevata nel corso di un giudizio proposto per ottenere un equo indennizzo per l'eccessiva durata di una precedente procedura di liquidazione coatta amministrativa.
Le censure del rimettente. Secondo il giudice a quo, la violazione degli artt. 3 e 21 Cost. deriverebbe dal fatto che, di fronte alla medesima situazione soggettiva di vantaggio (l'essere creditore di un fallimento o di una liquidazione coatta amministrativa), la l. n. 89/2001 (c.d. “legge Pinto”) attribuirebbe solo al primo (e non al secondo) la possibilità di ottenere tutela in relazione al ritardo nella chiusura della procedura concorsuale, nelle forme previste dalla legge stessa.
Le disposizioni impugnate. L'art. 1-bis L. n. 89/2001, al suo comma 1, dispone che la «parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (…) sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa». E, nel successivo comma 2, stabilisce che chi, «pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all'articolo 1-ter, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione».
La ragionevole durata dei processi secondo il diritto vivente. Dalle citate disposizioni, la Cassazione ha enucleato il principio per cui il diritto all'equa riparazione ex lege n. 89/2001 è configurabile solo con riguardo all'eccessiva durata di un “processo” (comportante l'esercizio di un'attività giurisdizionale) e non anche, quindi, con riferimento all'irragionevole protrarsi di un procedimento di carattere meramente amministrativo (cfr. ex plurimis, Cass. Civ., n. 4429/14, n. 13088/10 e n. 23754/07).
Liquidazione coatta amministrativa e fallimento “pari non sono”. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Consulta osserva che la peculiarità della liquidazione coatta amministrativa, rispetto al fallimento, trova la sua giustificazione nelle finalità pubblicistiche di tale procedura (cfr. Corte Cost., n. 363/1994, n. 159/1975 e n. 87/1969), che, infatti, riguarda imprese che, pur operando nell'ambito del diritto privato, involgono tuttavia molteplici interessi o perché attengono a particolari settori dell'economia nazionale, in relazione ai quali lo Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o perché si trovano in rapporto di complementarietà, dal punto di vista teleologico e organizzativo, con la pubblica amministrazione. Segnatamente, l'avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa dipende dalla natura del soggetto debitore (banche, assicurazioni, società cooperative, enti sottoposti a vigilanza e simili). E ciò, appunto, comporta che tra le due comparate procedure non sussista quella “identità” delle rispettive posizioni creditorie, che il giudice a quo presuppone e adduce a motivo della censurata disparità di trattamento delle stesse in tema di equo indennizzo ex lege n. 89/2001.
Il creditore non è privo di tutela a fronte dell'irragionevole durata dalla liquidazione coatta amministrativa. Il Giudice delle leggi rileva, poi, che, in ogni caso, l'inapplicabilità della disciplina dell'equo indennizzo alla liquidazione coatta (in quanto) amministrativa, quale risultante dalla normativa censurata, non comporta che, in caso di non giustificabile eccessiva durata di siffatta procedura, il creditore resti privo di alcun rimedio riparatorio.
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