Cessazione della materia del contendere e compensazione delle spese

12 Febbraio 2020

La pronuncia in commento si occupa della dichiarazione della cessazione della materia del contendere e sui relativi effetti.
Massima

In tema di giudizio di legittimità, ove le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, domandando la cessazione della materia del contendere, può essere disposta la compensazione integrale delle spese, anche a prescindere da una espressa richiesta in tal senso delle parti medesime, poiché pure il loro silenzio sul punto deve essere inteso come invito alla Corte ad astenersi dall'individuare chi sarebbe stato soccombente.

Il caso

I ricorrenti avevano convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Roma una società poiché, mentre eseguivano, in determinate circostanze, lavori di restauro sulla facciata di un edificio, operando dall'interno del cestello di una piattaforma sopraelevata su un'autogru di proprietà della società stessa, il mezzo si era dapprima inclinato per un cedimento del terreno e, poi, si era ribaltato su un fianco, provocando lesioni personali oltreché la morte di un uomo, C.C. che era a bordo di un autoveicolo che transitava in quel momento. Dopo due gradi di giudizio, conclusosi il primo con la condanna della sola società proprietaria della gru (e non anche del Comune committente e degli altri convenuti) e il secondo con l'esclusione della responsabilità anche della società proprietaria del mezzo, i ricorrenti interponevano l'odierno ricorso per cassazione. Tuttavia veniva depositata dagli eredi del C.C. una nota con cui si dichiarava di aver raggiunto con le parti avverse un bonario componimento della vicenda e che la società assicuratrice della proprietaria del mezzo aveva provveduto a versare le somme concordate. Nell'udienza pubblica successiva a tale deposito veniva depositata ulteriore attestazione, da parte dei difensori dei ricorrenti, che analogo accordo era stato raggiunto anche in favore degli stessi. Sussistevano pertanto tutti i presupposti per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere.

La questione

La questione principale si appunta sulla dichiarazione della cessazione della materia del contendere e sui relativi effetti.

Le soluzioni giuridiche

Come è ben noto la cessazione della materia del contendere è una pronuncia dichiarativa che ha la funzione di porre fine al processo ed è divenuta, grazie all'opera ricostruttiva dei giudici di legittimità, un istituto processuale vero e proprio (Sassani, Cessazione della materia del contendere, in Enc. giur. Treccani, Roma 1988, 3). Come risulta evidente dal nome dell'istituto de quo, essa consiste in un'obiettiva situazione creatasi per sopravvenute ragioni fattuali che estinguono la materia su cui la controversia si è innestata (Giovannoni, Orientamenti giurisprudenziali in tema di cessazione della materia del contendere, in Foro it. 1997, I, 3619 ss.).

Il suo diretto "addentellato legislativo" è dato dalla previsione di cui all'art. 23, ultimo comma della legge istitutiva dei Tar, a norma del quale se entro il termine previsto per la fissazione dell'udienza, l'amministrazione annulla o riforma l'atto impugnato in modo conforme all'istanza del ricorrente, il Tar deve dare atto della cessata materia del contendere e provvedere sulle spese (a sua volta l'art. 27 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 stabilisce che per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere si provveda in camera di consiglio o si svolga la trattazione in pubblica udienza a seconda che la dichiarazione de qua sia richiesta da una o da entrambe le parti del giudizio. Su questo argomento cfr. Attardi, Riconoscimento del diritto, cessazione della materia del contendere e legittimazione ad impugnare, in Giur. it. 1987, IV, 485 ss.). Un ulteriore riferimento può ravvisarsi nel disposto dell'art. 13 del d.P.R. n. 636/1972 a norma del quale la rinnovazione nel termine fissato dalla Commissione ha l'effetto di impedire ogni decadenza e di provocare la cessazione della materia del contendere sui motivi accolti dall'atto rinnovato. Come è stato giustamente rilevato, l'analoga formulazione non consente di ritenere che la cessazione della materia del contendere nel processo civile debba rivestire gli specifici caratteri che presenta in ciascuna delle due norme sopra riferite né che sia aprioristicamente corretto utilizzare il testo di legge per valutare la correttezza delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza della Cassazione. Semmai la valutazione dell'identità della formula consente di ritenere che in ciascuno di tali giudizi, compreso quello civile, la cessazione della materia del contendere si ricolleghi strettamente al già menzionato sopravvenire pendente lite di circostanze che incidono sull'oggetto del processo.

La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, nel 2000 ha dato una definizione dell'istituto, affermando che «La pronuncia di "cessazione della materia del contendere" costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passati in cosa giudicata, dall'altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio (con l'ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa)» (così Cass. civ., Sez. Un., n. 1048/2000).

Secondo una recente pronuncia delle Sezioni Unite, nel caso in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell'efficacia della sentenza impugnata, non essendo inquadrabile la situazione in una delle tipologie di decisione indicate dagli artt. 382, comma 3, 383 e 384 c.p.c. e non potendosi configurare un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta dello stesso (in questo senso Cass. civ., Sez. Un., 11 aprile 2018 n. 8980, richiamata in motivazione).

Chiarissime, sulla natura della definizione convenzionale della controversia, le parole della Corte nella motivazione di Sez. Un. n. 8980/2018 secondo cui «Poichè la situazione che si esamina suppone, naturalmente, che la controversia abbia un oggetto che le parti possono regolare convenzionalmente, il che è quanto accade nella specie, la circostanza che anche in Cassazione il processo in simili casi è dominato dall'interesse delle parti e dal loro potere dispositivo giustifica che la Corte debba rispettare la loro richiesta concorde di dichiarare la controversia definita dall'intervenuto accodo negoziale. Tanto impone, nell'esercizio dei poteri decisionali, di adottare una formula decisoria che realizzi detto interesse e che dunque dia atto della cessazione della materia del contendere per l'intervenuto accordo negoziale.

Tale dichiarazione implica necessariamente, proprio perchè la Corte accerta che la controversia è ormai oggetto solo di regolazione convenzionale, la constatazione dell'automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti regolando con l'accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia.

Il fenomeno che si verifica non è una "cassazione" della sentenza impugnata, bensì l'accertamento che la sua efficacia è venuta meno per effetto dell'accordo negoziale delle parti, perchè con esso le parti ne hanno disposto.

È di tanto che la Corte di Cassazione deve dare atto, sicchè non può essere accolta la richiesta svolta dalle parti nella loro istanza di cassazione senza rinvio della sentenza (peraltro proposta evocando precedenti che non concernono l'ipotesi di cessazione della materia del contendere discendente dalla prospettazione della definizione negoziale della lite)».

Osservazioni

Il profilo principale della pronuncia in commento si appunta sul regime delle spese. In generale, quanto alle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, si ritiene pacificamente che non si possano utilizzare i criteri della parte “vittoriosa” o “soccombente” e che, di conseguenza, non possano in alcun modo applicarsi i principi di cui agli artt. 91 e ss. A tal fine e per predisporre una regolamentazione delle spese, la giurisprudenza ha elaborato il criterio della cd. soccombenza virtuale. Ad es., di recente, si è precisato che il Giudice che dichiari cessata la materia del contendere dovrà, comunque, pronunciarsi sulle spese di giudizio secondo il principio della soccombenza virtuale, laddove detta soccombenza andrà individuata in base ad una ricognizione della 'normale' probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su indagine sommaria di delibazione del merito. Con l'ulteriore precisazione che la delibazione in ordine alle spese può condurre non soltanto alla condanna del soccombente, bensì anche ad una compensazione, purché ricorrano determinati presupposti di legge, in presenza di soccombenza reciproca o di gravi ed eccezionali ragioni (Cass. civ., 29 novembre 2016, n. 24234). Così anche secondo ulteriori pronunce che specificano che deve escludersi che la statuizione di cessazione della materia del contendere comporti l'obbligo - per il giudice - di fare applicazione del criterio di soccombenza virtuale, con esclusione del potere del potere di pervenire alla compensazione delle spese stesse, totale o parziale. La cessazione della materia del contendere che sopravvenga nel corso del processo di impugnazione - infatti - non esime il giudice dal provvedere sulle spese dell'intero giudizio, anche in difetto di istanza di parte, valutando, al riguardo, se sussistano giusti motivi di totale o parziale compensazione, ovvero addossando dette spese all'una o all'altra parte secondo il criterio della soccombenza virtuale (Cass. civ., 23 aprile 2015, n. 8309).

Nel caso di specie, la Corte aderisce all'opinione espressa dalle Sezioni Unite già citate, secondo cui anche prescindendo da una espressa richiesta delle parti in tal senso, le spese possano essere compensate integralmente tra le parti, perché anche il silenzio eventualmente serbato dalle stesse sul punto, può intendersi come un invito diretto alla Corte a disporre la compensazione astenendosi dall'individuare chi sarebbe stato soccombente, ciò perché “questa astensione è implicata dall'accordo negoziale” (così Cass. civ., Sez. Un., n. 8980/2018 riportata in motivazione).

Alla luce della soluzione prescelta non avendo detto le parti alcunchè sulla regolamentazione delle spese, si deve intendere, secondo le pronunce riportate, che esse abbiano inteso che la Corte ne debba disporre la compensazione, astenendosi dall'individuare chi sarebbe stato soccombente. E ciò perchè questa astensione dalla pronuncia sulle spese sarebbe implicata dall'accordo negoziale. Il principio non pare del tutto condivisibile, dato che il silenzio delle parti sul punto può non essere inequivocabilmente diretto ad invitare la Corte a disporre la compensazione delle spese, ma, piuttosto, a fare applicazione del criterio, emerso nella prassi, della soccombenza virtuale. Restiamo in attesa pertanto di ulteriori chiarimenti da parte della giurisprudenza di legittimità su questo specifico profilo.

Guida all'approfondimento
  • Cordopatri, La cessazione della materia del contendere e la condanna alla rifusione delle spese, in Riv. dir. proc., 2006, 349;
  • De Stefano, La cessazione della materia del contendere, Milano, 1972;
  • Garbagnati, Cessazione della materia del contendere e giudizio di cassazione, Riv. dir. proc., 1982, 601;
  • Giordano, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, in Giur. merito, 2009, 7;
  • Panzarola, Cessazione della materia del contendere (dr. Proc. civ.), in Enc. del Dir., VI, Agg., 2002, 224;
  • Sassani, Cessazione della materia del contendere 1) dr. Proc. civ., in Enc. Giur., VI, 1988;
  • Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001;
  • Vianello, Cessazione della materia del contendere, in Dig. Civ., Agg., 2000, 129.

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