All'imputato assente giudicato con il rito abbreviato deve essere notificato l'estratto della sentenza? La soluzione delle Sezioni Unite

17 Febbraio 2020

A seguito della riforma della disciplina del procedimento in absentia, che ha portato all'abrogazione della disposizione di cui all'art. 548, comma 3, c.p.p.
Massima

A seguito della riforma della disciplina sulla contumacia, l'estratto della sentenza emessa nel giudizio abbreviato non deve più essere notificato, ai sensi dell'art. 442, comma 3, c.p.p. e dell'art. 134, disp. att. c.p.p., all'imputato assente.

Il caso

A seguito di condanna pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, l'imputata proponeva appello il quale veniva dichiarato inammissibile per tardività, essendo stato presentato ben oltre due mesi dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 585, comma 1, lett. b) per la presentazione dell'impugnazione.

Contro tale provvedimento l'imputata, a mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione deducendo, come unico motivo, la violazione dell'art. 442, comma 3, c.p.p. in relazione all'art. 591 c.p.p. Sosteneva, in particolare, che le sentenze emesse a seguito del rito abbreviato devono essere notificate all'imputato che sia stato assente per tutto il corso del giudizio e che il termine per impugnare decorre dalla notifica dell'avviso di deposito, termine valido sia per il difensore che per l'imputato come previsto dall'art. 585, comma 3, c.p.p. Nel caso di specie l'avviso prescritto non era mai stato notificato di conseguenza, al momento della proposizione dell'appello, il termine per l'impugnazione non era ancora spirato, donde l'erronea dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione per tardività.

La questione

A seguito della riforma della disciplina del procedimento in absentia, che ha portato all'abrogazione della disposizione di cui all'art. 548, comma 3, c.p.p. nella parte in cui prevedeva che «l'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace», la giurisprudenza si è divisa in ordine alla necessità di continuare ad effettuare tale notifica all'imputato mai comparso giudicato con il rito abbreviato. Il dubbio si è posto in quanto la disposizione dell'art. 442, comma 3, c.p.p., non modificata dal legislatore della riforma attuata con l. 28 aprile 2014, n. 67, continua a stabilire che la sentenza emessa dal giudice, in sede di giudizio abbreviato, deve essere notificata all'imputato che, durante il procedimento a proprio carico, «non sia comparso». Di analogo tenore è poi la previsione contenuta nell'art. 134 disp att. e coord. c.p.p. secondo cui «la sentenza emessa nel giudizio abbreviato è notificata per estratto all'imputato non comparso, unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima».

In effetti, secondo un primo orientamento dopo la riforma della disciplina del processo in absentia, l'avviso previsto dall'art. 442, comma, 3 c.p.p. e dall'art. 134 disp. att. e coord. c.p.p. non risulta più dovuto, in quanto l'imputato è rappresentato dal difensore (Cass. pen., Sez. V, 22 marzo 2019, n. 22831, S., RV 275405; Cass. pen., Sez. VI, 16 gennaio 2019, n. 12536, Batidiane, RV 276377; Cass. pen., Sez. II, 25 settembre 2018, n. 57918, A., RV 274473; Cass. pen., Sez. V,27 settembre 2018, n. 57097, S., RV 274391; Cass. pen., Sez. VI, 18 luglio 2017, n. 35215, S., RV 270911; Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2015, n. 49164, B., Rv 265318). In particolare, si è affermato che «con la nuova disciplina dell'assenza, volta a garantire l'effettiva conoscenza del processo ed a ricondurre la mancata partecipazione dell'imputato a una deteminazione consapevole e volontaria, presupposto dell'eliminazione dell'obbligo di notifica della sentenza, è venuta meno anche la ragione giustificatrice della disposizione di cui all'art. 442, comma 3, c.p.p., tanto più che nel giudizio abbreviato l'imputato non comparso resta rappresentato da un difensore investito dei poteri conferitigli da procura speciale, necessaria per accedere al rito alternativo. Per tale ragione il difensore è certamente in contatto con il proprio assistito e può fornirgli tutte le informazioni necessarie sulla definizione del procedimento e sugli adempimenti da porre in essere per potere contestare la decisione sfavorevole mediante proposizione dell'impugnazione» (Cass. pen., Sez. I, 22 maggio 2018, n. 3049, Careri, Rv 273485). Secondo tale linea interpretativa una diversa lettura finirebbe per sortire effetti incostituzionali, creando un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi sia giudicato col rito abbreviato e chi scelga il rito ordinario, perchè a fronte della pari condizione di assenza, soltanto il primo avrebbe diritto alla notificazione dell'estratto della sentenza, sebbene rappresentato ed assistito da un difensore munito di procura speciale, che contribuisce ad assicurargli certa conoscenza del processo cui ha scelto di non prendere parte.

Secondo altro orientamento, invece, risulterebbe oltremodo inconsueto che il legislatore della riforma attuata con l. 28 aprile 2014, n. 67 abbia dimenticato di abrogare due norme importanti come l'art. 442 comma 3 c.p.p. e l'art. 134 disp. att. e coord. c.p.p., considerato che l'intervento è stato organico e ha comportato una revisione di diverse norme del codice (Cass. pen., Sez. III, 16 luglio 2018, n. 32505, G., RV 273695).

Non vi sono perciò elementi per ritenere che la persistenza della regola per la quale all'imputato a qualsiasi titolo non comparso debba essere notificata la sentenza resa all'esito di giudizio abbreviato, costituisca il frutto di una svista o di un mancato coordinamento tra norme succedutesi nel tempo. Gli interventi concomitanti e successivi alla modifica dell'art. 442 c.p.p. ma non del suo terzo comma, impediscono di affermare il contrario (Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 2015, n. 29286, Fanale, RV 264301). D'altro canto far dipendere una sanzione, produttiva di effetti negativi per l'imputato (che vedrebbe, infatti, dichiarato, inammissibile un atto di impugnazione, con passaggio in giudicato della decisione di condanna) da una interpretazione che ritiene abrogata tacitamente una norma di favore, risulterebbe in contrasto con i principi del giusto processo secondo i quali le norme penali e processuali penali devono essere intepretate in modo restrittivo e nel rispetto del favor rei (Cass. pen., Sez. III, 16 luglio 2018, n. 32505, G., cit.).

Considerato che il contrasto interpretativo generava prassi difformi degli uffici giudiziari, con evidenti conseguenze sul piano della uniformità del trattamento degli imputati giudicati con il rito alternativo, la Terza sezione penale ha rimesso la questione alle Sezioni Unite chiedendo di stabilire se gli artt. 442, comma 3, e 134 disp. att. e coord. c.p.p. dovessero considerarsi implicitamente abrogati o tuttora vigenti in ragione della specialità della disciplina del rito abbreviato.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite hanno concluso che a seguito della riforma della disciplina sulla contumacia, l'estratto della sentenza emessa nel giudizio abbreviato non deve più essere notificato, ai sensi dell'art. 442, comma 3, c.p.p. e dell'art. 134, disp. att. c.p.p., all'imputato assente.

A tale soluzione esse sono pervenute ritenendo non condivisibile la tesi opposta fondata essenzialmente su tre argomenti:

a) il primo, di natura letterale, secondo cui la specifica regola dettata dall'art. 442, comma 3, c.p.p. sarebbe rimasta inalterata nonostante le ripetute modifiche apportate alla disciplina prima dalla legge n. 479 del 1999 e successivamente dalla legge n. 67 del 2014;

b) il secondo, il quale fa leva sulla considerazione che la rappresentanza del difensore, da sola, non sarebbe idonea a far ritenere non dovuta la notifica, così come avveniva in passato per il latitante al quale era notificato l'estratto della sentenza;

c) il terzo, di natura sistematica, secondo il quale non si potrebbe far dipendere una sanzione produttiva di effetti negativi per l'imputato da una interpretazione che ritiene abrogata tacitamente una norma di favore, giacché ciò risulterebbe in contrasto con i principi del giusto processo secondo i quali le norme penali e processuali penali devono essere intepretate in modo restrittivo e nel rispetto del favor rei.

Il superamento di questi argomenti passa innanzitutto per una ricostruzione del quadro normativo che si è succeduto nel tempo.

Il giudizio abbreviato, previsto per la prima volta nel nostroordinamento dal codice del 1988, a differenza del rito ordinario, non prevedeva la dichiarazione di contumacia, stante il rinvio alle disposizioni stabilite per l'udienza preliminare e quindi anche all'art. 420 c.p.p. che non contemplava tale declaratoria. Sennonché nella Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice si evidenziava la possibilità che il giudizio abbreviato si celebrasse in assenza dell'imputato e dunque l'opportunità di prevedere che la sentenza dovesse essere notificata all'imputato non comparso (§6.1.). Sicché per tale giudizio speciale si introdusse una norma parallela a quella dell'art. 548 comma 3 c.p.p. e, in particolare, nell'art. 442, comma 3, c.p.p., si stabilì che «la sentenza è notificata all'imputato che non sia comparso» e, nell'art. 134disp att. c.p.p., si ribadì che «la sentenza emessa nel giudizio abbreviato è notificata per estratto all'imputato non comparso, unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima».

Successivamente con la l. 479 del 1999 l'istituto della contumacia fu esteso anche all'udienza preliminare: all'abrogazione degli artt. 485, 486, 487, 488 c.p.p., previsti per il rito ordinario, corrispose l'introduzione nella disciplina dell'udienza preliminare dell'art. 420-quater intitolato “contumacia dell'imputato”. Quest'ultima norma per effetto del rinvio contenuto nell'art. 441 c.p.p. divenne applicabile anche al giudizio abbreviato sicché, anche in quest'ultimo giudizio l'imputato poteva alternativamente risultare 'presente', ove avesse assistito di persona al giudizio, 'assente' ove avesse acconsentito alla celebrazione del giudizio senza la sua partecipazione, o 'contumace'.

Con l'introduzione della possibilità di dichiarare la contumacia sin dall'udienza preliminare (e quindi anche nel giudizio abbreviato), si assistette alla coesistenza nel medesimo codice di due regimi perfettamente sovrapponibili: uno specifico per il rito abbreviato, delineato dal combinato disposto degli artt. 442, comma 3, c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p., e l'altro, disciplinato dall'art. 548, comma 3, c.p.p., per il giudizio ordinario, ma divenuto applicabile anche al giudizio abbreviato.

In quel momento, sebbene la questione della compatibilità tra i due regimi non si fosse posta in sede interpretativa, essendo in concreto indifferente, sul piano degli effetti, l'applicazione di un regime in luogo dell'altro, secondo il Supremo Collegio, si sarebbe verificata l'abrogazione tacita per rinnovazione della materia, della disciplina contenuta negli artt. 442, comma 3, c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p. (ex art. 15 delle preleggi), giacché la legge n. 479 del 1999, disciplinando ex novo l'istituto della contumacia, avrebbe reso applicabile anche al rito abbreviato il solo art. 548 comma 3 c.p.p. In particolare, essendo lo status giuridico dell'imputato del rito abbreviato diventato identico a quello del rito ordinario, la previgente disciplina era divenuta inapplicabile non potendo più l'imputato essere tecnicamente dichiarato 'non comparso' ma solo 'contumace'. Anche ad esso doveva dunque applicarsi la normativa generale prevista dall'art. 548 comma 3 c.p.p. e non più quella speciale e di settore prevista dalla previgente normativa, in quanto la nuova legge sulla contumacia, aveva fatto venir meno – relativamente alla costituzione delle parti – la specialità del rito abbreviato, assimilato, sotto il suddetto profilo, in tutto e per tutto, alla normativa del rito ordinario.

Muovendo da queste considerazioni le Sezioni Unite ritengono superato l'argomento letterale su cui si fonda la tesi per cui all'imputato assente nel giudizio abbreviato deve tuttora essere notificato l'estratto della sentenza. Risulta, infatti, sconfessata l'affermazione secondo cui lo specifico regime delineato dagli artt. art. 442, comma 3, c.p.p. e 134 disp att. c.p.p. sarebbe rimasto inalterato a seguito delle successive modifiche apportate alla disciplina del giudizio abbreviato dalla legge n. 479 del 1999 e successivamente al giudizio contumaciale dalla legge n. 67 del 2014, essendosi piuttosto assistito alla sua abrogazione tacita per rinnovazione della disciplina, già al tempo della riforma attuata nel 1999.

Il secondo argomento, addotto dai sostenitori della tesi avversa, secondo cui la rappresentanza del difensore, da sola, non sarebbe idonea a far ritenere non dovuta la notifica, così come avveniva in passato per il latitante al quale era notificato l'estratto della sentenza, risulta inconferente. Le Sezioni unite osservano, infatti, che il latitante non è sottoposto ad uno statuto speciale ma è giudicato secondo le regole del rito per il quale ha optato. La peculiarità della latitanza è ravvisabile nella circostanza che, per essere dichiarata, la legge richiede stringenti ricerche solo all'esito delle quali è possibile eseguire la notifica mediante consegna di copia al difensore che lo rappresenta ad ogni effetto. In altri termini, il problema per il latitante consiste solo nell'appurare se le ricerche siano complete e se quindi la notifica al difensore possa essere ritenuta valida. Per il resto al latitante si applicano le regole del giudizio abbreviato in ordine alla costituzione.

Quanto, infine, all'ultimo argomento di natura sistematica, secondo cui sarebbe in contrasto con i principi del giusto processo ritenere applicabile all'imputato un regime deteriore, ritenendo implicitamente abrogata una norma di favore giacché le norme penali e processuali penali devono essere intepretate in modo restrittivo e nel rispetto del favor rei, il Supremo Collegio osserva che è improprio veicolare in ambito sicuramente processuale principi che attengono pacificamente al diritto penale sostanziale.

Il diritto processuale penale è, infatti, governato dal principio del tempus regit actum in forza del quale può essere emanata anche una legge 'peggiorativa' dei diritti processali purchè: la nuova norma disciplini il processo dalla sua data di entrata in vigore; gli atti compiuti nel vigore della legge previgente conservino validità; la nuova disciplina non abbia effetto retroattivo. Orbene, nel caso di specie le suddette condizioni risultano rispettate. Inoltre, l'imputato 'assente' che si avvalga del rito abbreviato, pur privato del diritto alla notifica della sentenza, vede la sua posizione processuale controbilanciata dalla previsione di una serie di accertamenti di fatto molto rigorosi che devono essere compiuti prima di procedere in assenza, i quali rendono del tutto superflua la notifica dell'estratto di quella sentenza della quale l'imputato è sicuramente a conoscenza.

Osservazioni

La scelta delle Sezioni Unite cade sull'interpretazione che consente di uniformare un quadro normativo altrimenti ingiustificatamente diversificato. Infatti, ritenere che a fronte della pari condizione di assenza solo l'imputato giudicato con il rito abbreviato continui ad avere diritto alla notificazione dell'estratto della sentenza, stante l'immutata previsione degli artt. 442, comma 3, c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p., genererebbe un'ingiustificata disparità di trattamento.

Il regime per gli assenti al processo non può che essere unico, tanto più che nella logica del legislatore della riforma, chi si orienta per l'abbreviato e non compare è un soggetto che, avendo rilasciato procura speciale al difensore per accedere al rito speciale non può che essere al corrente del procedimento.

Piuttosto l'affermazione secondo cui gli artt. 443 c.p.p. e 134 c.p.p. sarebbero stati tacitamente abrogati nel 1999 allorché la disciplina della contumacia è stata estesa all'udienza preliminare non convince. Da un lato è dubbia la configurabilità di un'abrogazione tacita di una normativa speciale ad opera di una normativa generale che non sostituisce in toto il regime previgente ridisciplinando l'intera materia, dall'altro non si configura neppure l'ulteriore presupposto dell'abrogazione implicita ossia un'incompatibilità tra le due discipline tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, risultando -al contrario - i due regimi perfettamente sovrapponibili (Cass. pen., sez. V, 5 novembre 1986, in Cass. pen., 1987, p. 2224).

Piuttosto pare che al tempo della riforma del 1999 la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 443 c.p.p. e 134 disp. att. sia divenuta inapplicabile in quanto riferita ad una situazione giuridico- processuale non più attuale: una volta esteso il regime della contumacia anche al soggetto giudicato con rito abbreviato la distinzione tra "non comparso" e "contumace" è infatti divenuta superflua.

Certo meglio sarebbe stato se il legislatore avesse abrogato espressamente quelle disposizioni.

Ma questa pare essere l'unica lettura possibile, non potendosi sostenere che le suddette disposizioni abbiano continuato ad applicarsi all'imputato 'non comparso' che non fosse stato dichiarato contumace ma assente, in quanto volontariamente rinunciante alla partecipazione, giacché propendere per tale interpretazione significherebbe ammettere di avere riconosciuto all'assente nel giudizio abbreviato un trattamento migliore di quello riservato all'imputato assente nel giudizio dibattimentale.

Invero, all'imputato che chiedeva o consentiva che l'udienza dibattimentale si svolgesse in sua assenza, il quale era rappresentato dal difensore anche con riguardo alla fase dibattimentale del giudizio (art. 420-quinquies, comma 1, e art. 484, comma 2-bis), non era dovuta la notifica dell'avviso di deposito della sentenza con l'estratto contumaciale, adempimento che il comma 3 dell'art. 548 prescriveva per l'imputato contumace ma non per quello assente (Cass. pen., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 36860, RV 232586).

Quali che siano i meccanismi che hanno portato al superamento della disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 443 c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p., non si condivide la scelta del legislatore di abrogare l'art. 548, comma 3, c.p.p.

Non pare, infatti, che l'adempimento previsto da tale disposizione sia divenuto inutile nell'attuale assetto normativo giacché le verifiche ora disposte prima di procedere in assenza non sono in realtà idonee a controbilanciare gli effetti di tale abrogazione e delle modifiche apportate all'art. 586, comma 2, lett. d)c.p.p.

Infatti, la previsione della decorrenza del termine iniziale di impugnazione dal giorno della esecuzione della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza con l'estratto della stessa serviva a rafforzare il diritto di impugnazione del contumace assicurandogli la conoscenza del deposito della sentenza che poteva essere stata pronunciata a sua insaputa, a riprova del fatto che, a dispetto dell'affermazione sulla rappresentanza difensiva, la legge processuale considerava in verità il contumace, assente.

In altri termini, a tale notificazione era riservata la funzione di mettere l'imputato contumace – nel dubbio che avesse avuto conoscenza del procedimento - nella condizione di conoscere almeno l'esito del giudizio attraverso l'estratto del provvedimento conclusivo del processo al quale non aveva partecipato.

Se ciò è vero, considerato che nell'attuale 'assenza' non impeditiva dello svolgimento del giudizio sono refluite anche ipotesi che un tempo avrebbero comportato la dichiarazione di contumacia, non può che registrarsi un arretramento di tutela nei confronti dell'assente.

Invero, non essendo più prevista la notifica dell'avviso di deposito e dell'estratto contumaciale il dies a quo del termine di impugnazione è quello generale della scadenza del termine di deposito della sentenza, stabilito dalla legge o dal giudice o, se il termine di deposito non è rispettato, quello del giorno della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza.

Tale decorrenza può essere consona per il soggetto che abbia rinunciato a partecipare il giudizio, il quale è certamente a conoscenza del processo. Considerato però che non tutte le situazioni dalle quali dipende oggi la dichiarazione di assenza possono essere considerate espressive di una rinuncia, sia pure implicita, all'autodifesa, giacché tuttora si procede sulla base di presunzioni di conoscenza, sarebbe stato opportuno preservare un adempimento capace di provocare nell'assente la conoscenza del provvedimento, emesso all'esito del giudizio svoltosi senza la sua partecipazione, in termini per l'esercizio del diritto di impugnazione.

Guida all'approfondimento

Barbarano, Il processo in absentia e la sentenza: ecco il decalogo per l'impugnazione, in Diritto e giustizia, 2005, 40, 97; De Caro, sub art. 134 disp. att. c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, Milano, 2017, vol. III, p. 855; Diddi, Novità in materia di impugnazioni e di restitutio in integrum, in AA.VV., Il giudizio in assenza dell'imputato, a cura di D. Vigoni, Torino, 2014, p. 217; Mangiaracina, Il “tramonto” della contumacia e l'affermazione di una assenza “multiforme”, in Leg. pen., 2014, 4, p. 556; Zacché, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004; Zappulla, Addio alla contumacia: la disciplina delle impugnazioni, in Leg. pen., 2014, 4, p. 618.

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