Danno differenziale: una disamina del sistema tradizionale e di quello innovativo nella valutazione del danno alla persona

Enrico Pizzorno
18 Febbraio 2020

Il ruolo dello stato anteriore nella valutazione del danno alla persona è uno degli argomenti più controversi in Medicina Legale; in merito dottrina e prassi si dividono secondo due teorie diverse, quella c.d. “tradizionale” e quella “innovativa”.
Introduzione

Il danno biologico è definito per Legge dagli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni modificati nel 2017 dalla Legge 124. Per “danno biologico” si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica alla persona suscettibile di accertamento medico legale che esplichi un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Ciò significa che, sul piano valutativo, occorre comprendere in che misura è ridotta, in conseguenza dell'evento di danno, la vita vissuta prima dal soggetto. Pertanto, ad una determinata percentuale, dovrebbe corrispondere un'eguale riduzione delle attività attualmente possibili, sia in misura temporanea, sia in misura permanente.

Il ruolo dello stato anteriore nella valutazione del danno alla persona è uno degli argomenti più controversi in Medicina Legale; in merito dottrina e prassi si dividono secondo due teorie diverse, quella c.d. “tradizionale” e quella “innovativa”. Secondo la definizione dello “stato anteriore”, elaborata nelle storiche giornate medico-legali di Como del 1967 esso comprende “età, sesso, costituzione, preparazione tecnico-professionale del soggetto, tare morbose, eventuali menomazioni preesistenti”( Atti del convegno su « La valutazione del danno alta persona » Giornate medico-legali di Corno, Villa Olmo, 30 giugno-2 luglio 1967, Milano, Giuffrè, 1968). Tuttavia, nella stima del danno biologico, in accordo con Ronchi e Morini (Ronchi E., Morini O. Riflessioni in tema di “stato anteriore” nella valutazione del danno biologico Riv. IL Med. Leg. XIV, 1992 pag. 547 e ss. ) con esso si farà riferimento alle alterazioni esistenti al momento dell'evento, stabilizzate o meno. È evidente che il ruolo dello stato anteriore sarà tanto maggiore quanto maggiori saranno le menomazioni preesistenti al momento dell'evento e quanto maggiori saranno le menomazioni conseguenti all'evento stesso, atteso che il danno c.d. “micropermanente” ha caratteristiche più “disfunzionali” che di menomazione.

Un'indicazione sul ruolo svolto dallo stato anteriore si rintraccia nel DM 03/07/2003, n.11790 in merito alle menomazioni preesistenti, che recita: “Nel caso in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie, le indicazioni date dalla tabella andranno modificate a seconda della effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi”. Tale indicazione, tuttavia, non si esprime né in merito a come debbano essere modificate le indicazioni tabellari né in merito alla loro specifica incidenza.

La questione è di tipo dottrinario e, nell'affrontare il problema “danno alla persona” da un punto di vista medico, come in ogni indagine scientifica, il metodo di elaborazione dei risultati deve essere determinato prima dell'indagine da compiersi e non a posteriori. Questo porta a riflessioni più profonde, sulla natura della Medicina Legale e sulla sua appartenenza alla scienza medicina o al complesso delle professioni giuridiche. Nel primo caso, essa deve fare proprio il metodo scientifico e quindi deve giungere a conclusioni scientificamente valide indipendentemente dal committente. Nel secondo caso, invece, essa è soggetta al committente ed il parametro di riferimento è il suo patrocinio.

L'assioma da cui si parte è che la medicina legale sia parte della Medicina e, quindi, materia scientifica, diversa dalle scienze giuridiche, come scritto da un Maestro della Medicina Legale italiana, secondo cui «La Medicina Legale è e resta scienza della causalità, in forza appunto della sua duplice natura, essendo cioè partecipe della medicina …samaritana del diritto...»(Barni M. Il rapporto di causalità materiale in medicina legale Giuffrè, 1995). Da questo ne discende che le metodiche di indagine e di risposta ai quesiti dovranno seguire il metodo scientifico, applicando le leggi scientifiche all'intera opera del medico legale. Caratteristica fondamentale di una legge scientifica è l'universalità, ossia il suo essere valida senza eccezioni per una totalità di casi di un certo ambito, identificabile, nella presente discussione, nel danno alla persona. Modificandone il campo di applicazione, una legge scientifica perde il requisito dell'universalità, trovandosi pertanto applicabile solo ad un sottoinsieme. Da quanto sopra si può dedurre il corollario che non si può applicare il metodo “innovativo” od il metodo “tradizionale” caso per caso, stante la violazione dell'obbligo di universalità della legge sopra enunciata.

La costruzione delle tabelle di liquidazione del danno

Prima di procedere nella discussione è opportuno soffermarsi sul sistema di costruzione delle tabelle per quanto riguarda i valori monetari del punto percentuale. Nelle more dell'emanazione dei decreti attuativi per le lesioni c.d. “macropermanenti”, il riferimento sarà alle tabelle milanesi, alla luce, anche, delle decisioni della Corte di Cassazione del 2011 (Cass. civ., sez. III, sent., 7 giugno 2011, n. 12408) e del 2016 (Cass. civ., sez. III, sent., 23 febbraio 2016, n. 3505). Il razionale su cui esse sono costruite è che il valore del singolo punto, per il medesimo soggetto, aumenta progressivamente in maniera più che proporzionale rispetto al punto base, i.e. l'incremento di un punto percentuale tra, ad esempio, il cinquantaseiesimo ed il cinquantasettesimo punto percentuale ha valore economico più elevato rispetto a quello tra il primo ed il secondo punto. Ne discende che è vantaggioso per il creditore/danneggiato ottenere una liquidazione corrispondente ad anche solo un singolo punto percentuale ma situato tra due percentuali di danno il più elevate possibile. Un esempio in tal senso è di una lesione che, se per soggetti normali potrebbe produrre menomazioni di rilievo, si verifica in un distretto anatomico già funzionalmente perso. Oggetto della valutazione dovrà essere sempre il danno realmente riportato; altrimenti, se in tal caso si riconoscessero percentuali anche modeste ma le si liquidasse come differenza fra ciò che la tabella prevede per invalidità elevate si giungerebbe ad una cifra del tutto sproporzionata producente un ingiusto arricchimento del danneggiato.

Sempre seguendo il criterio dottrinario tradizionale non vi deve essere alcuna ritrosia nel quantificare correttamente menomazioni, anche modeste, che, però, agendo su soggetti fragili, determinano una grave condizione menomativa, peggiore di quella che le stesse lesioni avrebbero determinato in un soggetto “normale”. È il caso, ad esempio, della persona molto anziana, affetta da diverse patologie ma sostanzialmente autosufficiente che, per responsabilità di terzi, cade procurandosi una frattura ad un arto inferiore. Tale lesione, concorrendo con lo stato anteriore, determina un decadimento delle condizioni generali sino alla perdita totale dell'autonomia anche per gli atti elementari di vita quotidiana. Appare consequenziale che, indipendentemente dalla valutazione dello stato di salute che aveva prima il leso e pur essendo certi che la menomazione finale è condizionata dalla incapacità del leso di reagire alla lesione e recuperare l'efficienza, si deve quantificare un danno che corrisponde alla perdita pressoché totale dell'autonomia, da valutare con adeguati parametri percentuali. Il procedere, invece, secondo metodica “innovativa” richiederebbe di quantificare il danno complessivo, di quantificare il valore percentuale precedente del soggetto ed indicare, per tale motivo, un intervallo da valutare seppure situato tra due estremi molto elevati. Ciò condurrebbe ad una liquidazione economica modesta, per nulla adeguata a ristorare il danno patito e ben si potrebbe parlare di una (ulteriore) deriva indennitaria del danno biologico.

Il riferimento alla deriva indennitaria di cui è accusata la valutazione del danno alla persona porta ad una riflessione accessoria in merito al metodo “innovativo” nella liquidazione del danno alla persona. Vi è da chiedersi, in particolare, perché non vi sia stato, al di là delle tassative previsioni contrattuali, una qualche forma di tentativo di “esportazione” del danno differenziale in ambito di polizza infortuni. Sempre di danno alla persona si tratta – seppure declinato sulla capacità lavorativa generica – e sempre di quantificazioni percentuali. Tuttavia, nel caso della polizza infortuni, normalmente l'incremento della invalidità permanente parziale è direttamente proporzionale con l'aumento dell'indennizzo, a differenza del valore del punto di danno biologico che aumenta con criterio più che proporzionale. Per tali motivi, l'adozione di un sistema di tal fatta rende inutile, se non dannoso, un tentativo di “innovazione” di provenienza biologica, dato che determina una costrizione della percentuale effettivamente attribuita.

Sorge quindi il dubbio che questa “querelle des anciens et des modernes” sia fondata sull'intuizione di quanto accade “dall'altra parte della collina” in ambito di liquidazione del danno e porti ad una liquidazione più favorevole, aspetto da cui deriva, forse, anche la tendenza a valutare «caso per caso». Tale motivazione determina, però, la ricaduta della Medicina Legale nell'ambito del patrocinio della propria parte e non in una posizione il più possibile tecnica ed oggettiva.

L'evanescenza dei criteri di concorrenza e coesistenza di danno

Una delle peggiori conseguenze dell'applicazione del metodo “innovativo” è il non valutare il soggetto nella sua interezza e vivente nel proprio ambiente reale per procedere, invece, con un'ulteriore astrazione che non considera il soggetto ma, esclusivamente, il singolo distretto od apparato anatomico. Ciò si declina, nel concreto, nell'utilizzo di concetti, alquanto sdrucciolevoli, di coesistenza e concorrenza di danno. Con il primo termine si intende la presenza di due menomazioni che non si influenzano reciprocamente, viceversa nel secondo. Se questa concettualizzazione può essere facile da tradurre in pratica per danni di piccola entità, essa diventa ben più difficile – se non impossibile – laddove vi siano situazioni di importante menomazione o malattie sistemiche. È il caso, ad esempio, di un soggetto paraplegico che perda improvvisamente l'uso dell'arto dominante, ovvero del soggetto cieco che perda l'utilizzo di una mano o anche solo della sua funzione sensitiva.

In tali casi non è sostenibile che, situandosi in apparati completamente diversi, le menomazioni siano puramente coesistenti ma in realtà esse concorrono nell'interferire con la funzione globale dell'individuo. Lo stesso può dirsi, anche, per importanti stati patologici che influiscano sulla capacità funzionale del singolo soggetto.

Quanto sopra richiama la necessità che oggetto della valutazione medico-legale non sia il singolo distretto menomato ma l'Uomo calato nella propria realtà quotidiana. Il parametro non potrà quindi che essere quello del riferimento a quanto era possibile fare prima e quanto è oggi possibile, percentualizzando tale perdita, senza astrarsi dal caso reale e senza rifugiarsi in formule dal “sapore” previdenziale.

Ulteriori problemi all'applicazione di questo criterio derivano da situazioni patologiche che riguardano l'intera persona, difficilmente inquadrabili in termini di “valore residuo” utilizzabile a fini “differenzialistici” e nelle quali è impossibile distinguere concorrenza e coesistenza di danno. Si pensi, ad esempio, a soggetti affetti da importanti malattie, a grandi invalidi ovvero a soggetti anziani attinti da una lesione per responsabilità di terzi. Sarebbe assurdo sostenere che questi soggetti non abbiano alcun valore (o ne abbiano uno ridotto) posto che, in realtà, anche la loro vita è caratterizzata da numerose attività quotidiane rispetto alle quali, laddove parzialmente o in tutto perse, vi deve essere una tutela.

La distinzione tra concorrenza e coesistenza di danno appare essere una delle tante “finzioni” cui il diritto si affida per applicarsi ai fenomeni. L'utilizzo della teoria innovativa richiede di sottrarre una percentuale ad un'altra, quasi che esse fossero semplici cifre e non il riassunto, estremo, di una condizione menomativa. Vi è da chiedersi se sia possibile “comparare” più danni diversi effettuando fra loro operazioni matematiche, sottraendo una cifra all'altra, ignorando che la percentualizzazione è una descrizione convenzionale ed estremamente riassuntiva del danno alla persona ed è difficoltoso pensare che un complesso di menomazioni possa essere oggetto di operazioni aritmetiche.

Il danno temporaneo e altri danni

Sino ad ora si è fatto esclusivamente riferimento al danno biologico permanente per quanto riguarda la valutazione del danno alla persona, non tenendo conto che, nel danno biologico, rientra anche il danno temporaneo. La norma non fa differenza sul criterio di valutazione del danno biologico temporaneo o permanente. L'articolo 139 comma 2 del d.lgs. n. 209/2005 e successive modificazioni recita, infatti: «per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito…».

La traduzione pratica del dettato normativo è che, per un determinato periodo di tempo, il soggetto è stato totalmente incapace o solo parzialmente capace di svolgere la propria vita antecedente l'evento di danno.

L'applicazione del criterio del danno differenziale in questo caso dovrebbe escludere, pressoché per chiunque abbia già precedentemente subito anche un minimo danno, il riconoscimento di un danno temporaneo a totale; un soggetto paraplegico che subisse un danno alla persona potrebbe al massimo vedersi riconosciuto un danno temporaneo del 15% alla luce delle indicazioni tabellari.

Tale prassi non risulta mai applicata in ambito di responsabilità civile da chi segue il metodo innovativo, che si rifà, correttamente, alla capacità del vivere la propria vita antecedente da parte del soggetto. Nasce, dunque, una contraddizione nell'applicazione della definizione di danno biologico, laddove, da un lato, per il danno temporaneo, si segue la teoria “tradizionale” e, dall'altro, per i postumi, quella “innovativa”.

L'applicazione del criterio innovativo alla valutazione del danno richiederebbe, ancora, di selezionare anche le spese in maniera differenziale. Sarebbe cioè necessario distinguere quanto, in una determinata spesa, sia dovuto esclusivamente alla nuova lesione e quanto invece dovuto al pregresso. Si faccia riferimento ad un intervento chirurgico che richiede la rimozione di un pregresso mezzo di sintesi per l'applicazione di uno nuovo. Nella valutazione della congruità delle spese si dovrebbe scorporare quanto è stato dovuto al pregresso e riconoscere solo quanto dovuto al nuovo, in questo complicando, sino all'impossibile, il lavoro del consulente tecnico.

Altri sistemi di valutazione del danno alla persona

San Martino si è confermata una data critica per la Medicina Legale in ambito della valutazione del danno alla persona. In due pronunce (28986/2019 e 28990/2019) dell'11 novembre 2019, infatti, la Suprema Corte si è espressa sul tema della valutazione economica del danno in soggetti già gravati da preesistenze. Aspetto particolare è che i Giudici, nella prima di queste due sentenze, sono usciti dal tradizionale ambito della responsabilità sanitaria, cui tale metodo era finora confinato, per applicarlo all'ambito della responsabilità civile auto.

Detta sentenza è stato oggetto di una disamina da parte di Ronchi (Ronchi E. Il danno biologico permanente, differenziale-incrementativo, in r.c.: dalle origini medico legali a Cass. civ. n. 28986/2019 RIDARE ) che è stato uno dei protagonisti della Scuola Milanese nell'elaborazione della teoria “innovativa” nella valutazione del danno alla persona (Ronchi E., Morini O., Riflessioni in tema di stato anteriore nella valutazione del danno biologico, in Riv. It. Med. Leg., 14, 1992). Nelle conclusioni dell'esame articolato di questa sentenza, si pone l'accento sulla necessità di un linguaggio comune tra Medicina Legale e Diritto e che la prima deve adeguarsi al secondo, senza la creazione di nuovi termini. Tuttavia, nella sentenza in esame uno dei punti più critici è il lessico utilizzato. Si pensi al termine “lesione” utilizzato nell'articolo 139 del Codice delle Assicurazioni private con un significato diverso per lo specialista in medicina legale e per il giurista e che, nella sentenza 28986/2019, è utilizzata con un indirizzo più medico-legale laddove si sostiene che «non è essa il danno, ma solo il presupposto del danno». Si pensi ancora al termine “infortunio” (utilizzato 43 volte nella sentenza 28986/2019) che ha un preciso significato per il medico legale, pertinente l'ambito assicurativo pubblico o privato e che, in questo caso, è utilizzato con diverso significato. Si pensi ancora al termine “danno differenziale” comunemente usato in Medicina Legale per fare riferimento alla teoria innovativa nella valutazione del danno alla persona e che, per un giurista, assume un significato completamente diverso. Se è quindi condivisibile che vi deve essere un lessico comune e che la Medicina Legale deve in ciò adeguarsi al Diritto, è anche vero che aspetti lessicali che sono patrimonio della Medicina Legale dovrebbero essere correttamente impiegati dalla giurisprudenza, pena fraintendimenti che possono essere fonte di importanti fraintendimenti tra soggetti che devono necessariamente poter dialogare.

Allo stesso modo, se il Giudice è l'unico titolare dello strumento dell'equità, è anche vero che la valutazione del danno alla persona (non la sua traduzione in termini economici) è un aspetto di competenza strettamente medico-legale in quanto solo lo specialista è in grado di valutare le menomazioni del soggetto, con strumenti di unica appartenenza medica, e di distillare queste nella valutazione percentuale consegnandole così a chi dovrà traghettare la menomazione percentualmente espressa in una valutazione economica. L'applicazione di uno strumento equitativo economico che non corregga ma stravolga la valutazione percentuale effettuata dal medico legale è foriera di incertezza nell'applicazione del diritto con il rischio di importanti diverse valutazioni di medesimi danni a seconda del luogo dove si sono prodotti.

Conclusioni

L'affermazione che la “soluzione nuova” del danno biologico differenziale incrementativo sia la strada giusta da seguire per il medico legale non appare condivisibile.

In primo luogo, essa non tiene conto di un'altra, più recente pronuncia della Suprema Corte (28990/2019) che, pur ritenendo che la percentuale di danno dovesse essere oggetto di personalizzazione monetaria, ha respinto la monetizzazione sulla base del danno differenziale come richiesto dalla parte attrice, ritenendo corretta la personalizzazione utilizzata nel primo grado di giudizio utilizzando tabelle di liquidazione più favorevole.

In secondo luogo, non si tiene conto che la soluzione definitiva dovrà, anche, ascoltare quanto proviene dalla dottrina medico-legale che, al momento, non ha ancora raggiunto un punto di accordo. Ciò in quanto il procedimento di stima del danno alla persona prevede prima un passaggio medico e quindi un passaggio giuridico; parrebbe perciò corretto che chi giudica il metodo ascolti prima quanto proviene dalla Medicina Legale. Forse la soluzione della questione dovrebbe essere rimessa alle Sezioni Unite, considerato il contrasto giurisprudenziale. Sarà però necessario, in allora, aver già espanso la riflessione anche alle patologie eventualmente presenti nel soggetto che hanno autonomamente ridotto le attività di vita quotidiana, a danni giudicati “coesistenti” che però gravano comunque il soggetto, alla questione della valutazione del danno temporaneo, delle spese e via elencando. Solo laddove la teoria innovativa riuscisse a diventare una teoria universalmente applicabile potrà diventare una strada alternativa e non una “scorciatoia” conveniente in alcuni casi ma da evitare in altri.

In conclusione, quindi, il sistema innovativo presenta troppi discostamenti rispetto alla normativa ed alla dottrina medico-legale oltre che dal metodo scientifico perché possa essere al momento considerato valido ed applicabile. La mancanza del criterio di universalità, l'affidarsi a criteri evanescenti quali concorrenza e coesistenza di danno, l'aspetto insoluto delle malattie sistemiche, della valutazione del danno in soggetti che potrebbero apparire “senza valore residuo”, il rischio di essere influenzato da una valutazione a posteriori, il limitarsi solo alla quantificazione dei postumi e tralasciare il danno temporaneo e gli altri danni lo rendono un sistema ancora troppo gravato da contraddizioni che devono essere sciolte prima che esso possa proporsi come una valida alternativa al sistema di valutazione “tradizionale”.

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