I presupposti dell'inibitoria della sentenza d'appello ex art. 373 c.p.c.

20 Febbraio 2020

La questione fondamentale posta all'attenzione della Corte d'appello è quella afferente la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti per l'inibitoria dell'esecutività di una decisione emanata dalla stessa ed oggetto di impugnazione in Cassazione.
Massima

La sospensione dell'esecutività della sentenza d'appello impugnata in sede di legittimità ai sensi dell'art. 373 c.p.c. può essere concessa – esclusa ogni indagine sul fumus boni juris del ricorso per cassazione – in presenza di un periculum costituito da un danno grave ed irreparabile, che può essere valutato sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo.

Il caso

Una società proponeva alla Corte d'appello istanza ex art. 373 c.p.c. volta alla sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione, impugnata dalla ricorrente dinanzi alla Corte di cassazione, con la quale era stata confermata dalla stessa la decisione di condanna emessa nel giudizio di primo grado a proprio carico ed in favore di un'altra società, per un importo di circa 250.000,00 euro.

Nel decidere sulla richiesta in questione accogliendo la stessa, la pronuncia in esame svolge alcune considerazioni preliminari sui presupposti per la concessione del provvedimento di inibitoria.

La questione

La questione fondamentale posta all'attenzione della Corte d'appello era quella afferente la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti per l'inibitoria dell'esecutività di una decisione emanata dalla stessa ed oggetto di impugnazione in Cassazione.

Le soluzioni giuridiche

La decisione che si annota ha evidenziato, in primo luogo, che ai fini della decisione sulla sussistenza del grave ed irreparabile danno necessario per la concessione dell'inibitoria dell'efficacia esecutiva delle decisioni emesse in appello ed oggetto di ricorso per cassazione, nessuna considerazione, neppure di carattere sommario, può essere effettuata in ordine all'astratta fondatezza, dell'impugnazione proposta dallo stesso istante in sede di legittimità.

In sostanza, come affermato anche in altri precedenti di merito editi, nella valutazione sull'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza di secondo grado non si può tener conto della fondatezza o meno del ricorso, essendo la valutazione giudiziale limitata al solo riscontro del danno grave e irreparabile conseguenza dell'esecuzione, come può evincersi tanto dalla formulazione letterale dell'art. 373 c.p.c. quanto dalla circostanza che la Corte d'appello, a differenza di quanto accade per la delibazione dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado disciplinata dall'art. 283 c.p.c., non ha alcun potere decisorio in ordine all'impugnazione proposta con il ricorso per cassazione (cfr., tra le altre, Trib. Savona, 4 dicembre 2018).

La peculiarità del sub-procedimento di inibitoria di cui all'art. 373 c.p.c. risiede invero nel fatto che un giudice diverso da quello che dovrà decidere sull'impugnazione del provvedimento è chiamato a valutare la relativa istanza, da cui consegue l'impossibilità di svolgere a tal fine apprezzamenti in ordine alla fondatezza dei motivi di ricorso in sede di legittimità.

La “ragion pratica” che giustifica una disposizione in effetti apparentemente singolare come l'art. 373 c.p.c., che demanda al giudice che ha emesso la pronuncia impugnata il potere di valutare l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa, risiede nell'impossibilità per la Corte di cassazione, deputata allo svolgimento della funzione nomofilattica, a svolgere attività istruttoria e valutativa su istanze di carattere individuale che non pongono in rilievo questioni di diritto ma eminentemente concrete e fattuali, come quelle che vanno effettuate in un giudizio sulla sussistenza dei presupposti per una tutela di carattere funzionalmente cautelare come quella inibitoria.

Per altro verso, la decisione in esame va a delineare in termini generali la valutazione – che, invece, la Corte d'appello è chiamata ad effettuare – sulla ricorrenza di un danno grave ed irreparabile ai sensi dell'art. 373 c.p.c., ossia sulla sussistenza del cd. periculum in mora.

In particolare, la pronuncia in commento assume che tale profilo può essere alternativamente valutato:

a) sul piano soggettivo, avendo riguardo alla sussistenza di un'eccezionale sproporzione tra il vantaggio che il creditore può ricavare dall'esecuzione della decisione e il pregiudizio che deriva all'altra parte, tale da apparire superiore a quello di norma conseguente all'esecuzione forzata;

b) sul piano oggettivo, considerando il pregiudizio consistente nell'impossibilità di recuperare le somme versate a causa dell'incapienza del patrimonio del creditore procedente.

Ciò premesso in termini generali, la Corte d'appello di Roma ha ritenuto sussistente un pericolo di danno grave ed irreparabile sul piano oggettivo nella fattispecie posta alla propria attenzione, in quanto, come documentato dalla parte istante, sarebbe stato impossibile recuperare l'ingente importo oggetto della pronuncia di condanna nei confronti dell'accipiens, per la situazione di sostanziale insolvibilità della stessa, in ragione della documentata inattività della società, dei bilanci in perdita negli ultimi anni e della mancanza di immobili nel patrimonio della medesima.

Osservazioni

La decisione in commento, nella parte in cui ha ritenuto che nella valutazione da parte della Corte d'appello dell'istanza di inibitoria ex art. 373 c.p.c. sia preclusa ogni considerazione sul fumus boni juris dell'impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione ed assunto la sussistenza, nel caso concreto, del grave ed irreparabile danno derivante dall'esecutività della decisione, è in parte da approvare.

Per vero, il concetto di irreparabilità del danno non potrebbe intendersi, come pure talvolta affermato da altre decisioni, nel senso di grave difficoltà nel recupero delle somme pagate nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione (App. Bari, 30 settembre 2010, in Foro it. 2011, 1, I, 223,con nota Impagnatiello; App. Salerno 21 luglio 2003, in Giur. it., 2004, 310), situazione che denota una mera gravità del pregiudizio, gravità non ritenuta sufficiente dal legislatore nel momento in cui fa riferimento al ben più pregnante presupposto dell'irreparabilità.

Peraltro, non può condividersi la decisione in rassegna anche nella parte in cui ritiene che l'inibitoria ex art. 373 c.p.c. possa essere concessa, alternativamente, in presenza di un presupposto soggettivo ovvero oggettivo.

Difatti la predetta disposizione normativa fa riferimento ad un pericolo di danno che deve essere sia grave che irreparabile, danno che quindi deve connotarsi su entrambi i piani, i.e. sia per l'impossibilità di recupero che per la gravità del pregiudizio da rapportare alle condizioni della parte.

Riteniamo, infatti, che la sospensione dell'esecutività di cui all'art. 373 c.p.c. perché svincolata da un esame del fumus boni juris dell'impugnazione della sentenza comporti una valutazione particolarmente rigorosa del periculum in mora.

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