La difesa del “colpevole”

20 Febbraio 2020

Colpevole tra virgolette, ché nessuno può ritenerlo tale legalmente e logicamente prima di una sentenza definitiva emessa in un giusto processo. E invece continuiamo a considerare autore del reato persino la persona sottoposta ad indagine. Dipende dal fatto che la gran parte della gente non è stata mai imputata, né mai lo sarà...

In memoria dell'Avvocato Ettore Randazzo

Colpevole tra virgolette, ché nessuno può ritenerlo tale legalmente e logicamente prima di una sentenza definitiva emessa in un giusto processo. E invece continuiamo a considerare autore del reato persino la persona sottoposta ad indagine. Dipende dal fatto che la gran parte della gente non è stata mai imputata, né mai lo sarà. E chi - per sua fortuna (perché non basta avere la coscienza pulita) - non ha mai vissuto questo tipo di esperienza ben difficilmente si pone dalla parte dell'imputato: quando gli capita di fare qualche riflessione salottiera, avventurandosi a tentoni - magari stimolato da una notizia di cronaca particolarmente intrigante - in una breve discussione nel mondo del sistema giudiziario, si lascia prendere per mano […].

Di conseguenza, chi ha la fortuna di non essersi imbattuto nel sistema giudiziario si esibisce scioccamente in invettive integraliste nei confronti dell'avvocatura, condite accuratamente da adulazioni dedicate alla magistratura inquirente, alla quale attribuisce persino il potere di regalarci una palingenesi sociale, una virtuosa purificazione.
Automaticamente, il nostro bravo esemplare e fortunato cittadino si preoccupa di quel che il processo può dare alla sua meritata tranquillità civica; e si aspetta, da bravo contribuente che assolve agli obblighi fiscali, una tutela dell'ordine pubblico, e dunque la punizione, dura, tempestiva ed efficace, dei “delinquenti”. Che vorrebbero beneficiare delle prerogative difensive per sgusciare via, sottraendosi alla meritata e sacrosanta condanna.
Chi ostacola quella trafila indispensabile che dovrebbe garantire il regolare funzionamento del sistema, chi rallenta il corso del processo, difendendo i criminali per ottenere l'impunità o almeno per allontanare e comunque limitarne la condanna, costituisce un serio pericolo per la società. La figura dell'avvocato, almeno nell'immaginazione di chi non abbia mai avuto a che fare con questo inquietante professionista, risponde pienamente a detta preoccupazione, assai diffusa persino per merito di certi operatori della giustizia, seppure affidata a presunzioni superficiali e a balordi pregiudizi. […]

Ebbene, se si vogliono valutare appieno la funzione dell'avvocato e il senso stesso del giudizio offerto dal sistema, bisogna […] sforzarsi di sentirsi imputati, e magari innocenti […].

Rendendosi conto di calarsi nella sofferente turbolenza dello stato d'animo dell'imputato, solo apparentemente alleviato – e anzi spesso comprensibilmente aggravato – dall'innocenza, suggerisco alternativamente di rievocare la sensazione (di rabbia, di impotenza, di mortificazione, di risentimento) che ci assale tutte le volte in cui siamo ingiustamente accusati o anche solamente sospettati (da un collega, da un familiare, da un avversario) di qualcosa di infamante o anche soltanto di sgradevole, comunque ingiusto. Si pensi a una nostra assenza dal lavoro per malattia a cui i colleghi non credano, bollandoci già – in base a una pura congettura – da assenteisti.
Sarebbe utile a tutti farsi un'idea più completa o almeno cogliere le ragioni dell'avvocato e il suo tormentato rapporto con il processo. E quindi con gli utenti, con i colleghi e con i magistrati; non ultima, con la verità. […]

La verità è una meta ideale e irraggiungibile, come la perfezione, come la normalità …
Nel sentire comune la verità è legata alla giustizia da una sorta di gemellaggio …
Ne discendono inevitabilmente, da un canto, l'ammirazione per quanti siano votati alla tutela della collettività e alla ricerca della verità, ossia per le forze di polizia e per i magistrati; dall'altro, il disprezzo, o almeno la diffidenza, nei confronti degli avvocati, esercito equivoco e destabilizzante di soggetti disposti a tutto pur di ricavarci il loro tornaconto. ...
Secondo i più, gli avvocati sono spregiudicati arruffoni, intrufolati di riffa o di raffa in tutti centri di potere, e comunque – servili od arroganti – sempre inaffidabili ma sventuratamente insostituibili nel sistema giudiziario. Un'attività odiosa insomma, come quella dei beccamorti (i magistrati, in questa ardita metafora, sarebbero come i sacerdoti celebranti le funzioni funebri). E tuttavia il loro intervento è necessario: sono loro il veicolo del diritto di difesa, una puttanata retorica e una iattura perenne, un intralcio spropositato alla giustizia imposto persino dall'ipocrisia endemica nelle convenzioni internazionali. [...]

Senza integralismi e, piuttosto, rafforzati da certe indimenticabili batoste ricevute sul campo, gli avvocati cercano risposte alle tante domande della loro professione. Cominciando col precisare che la maggior parte delle accuse rivolte a loro sono fondate. Per essere più precisi fanno parte della patologia che tuttavia ha assunto dimensioni così impressionanti che la fisiologia rischia di rimanere ritirata in un cantuccio. Alias, non possiamo uscirne invocando la fisiologia [...]. Ci vuole molta forza di volontà, non ci si può permettere nessuna tregua.
Quanti mortificano la funzione difensiva, siano essi avvocati o magistrati, devono essere avversati con ogni mezzo, dalla denuncia disciplinare alla protesta sul campo. In quel momento la dignità della toga dipende da quanto la rispettano; sarebbero loro a perderla.
I principi sin qui esposti, seppure scritti da un penalista, sono validi per l'avvocato in genere, anche civilista o amministrativista. L'art. 50 del nuovo codice deontologico forense, peraltro, nel vietare giustamente l'introduzione nel processo di atti di cui il difensore conosca la falsità, non a caso si rivolge all'avvocato in genere, non solo al penalista […].


La nostra civiltà non può permettere che si applichi una pena senza che si sia celebrato un processo giusto […].

È mai possibile ipotizzare che in certi casi non sia necessario il giudizio, in quanto il colpevole è stato individuato?
E chi dovrebbe essere il responsabile di una simile scoperta se non il giudice all'esito di un processo?


[…] Dobbiamo chiederci perché mai continuiamo a chiamare colpevole colui che è soltanto … un imputato beneficiario della presunzione di non colpevolezza. La qual cosa deriva dalla lucida esigenza di attendere, prima di maturare una convinzione (in sede giudiziaria, una decisione), che chi affermi l'altrui colpevolezza sia onerato dalla relativa dimostrazione.
L'alternativa a questa condotta, logicamente e giuridicamente ineccepibile, prima che deontologica, è il trionfo del pettegolezzo e della prepotenza autoritaria. Entrambi ben attrezzati dalle nostre parti, persino nelle aule giudiziarie.

Tratto da Ettore Randazzo, Difendere, Giuffrè editore 2017, 57 e ss.

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