Prime considerazioni sul disegno di legge per la riforma del processo penale

24 Febbraio 2020

Va in Parlamento il disegno di legge che conferisce al Governo deleghe «per l'efficienza del processo penale e […] per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello». Il disegno si muove lungo tre direttrici: efficienza del processo penale, contenimento della sua durata e definizione dell'arretrato penale presso le Corti d'appello.

Va in Parlamento il disegno di legge che conferisce al Governo deleghe «per l'efficienza del processo penale e […] per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello».

Il disegno si muove lungo tre direttrici: efficienza del processo penale, contenimento della sua durata e definizione dell'arretrato penale presso le Corti d'appello.

Partirei da quest'ultima.

Le “misure straordinarie” previste dagli artt. 15 e 16 sono rappresentate dalla possibilità di utilizzare anche nel settore penale i giudici “ausiliari” (“massimo 850” per i due settori, civile e penale) e dall'assunzione di personale amministrativo non dirigenziale (massimo 1.000 unità) a tempo determinato (24 mesi).

Queste misure dovrebbero consentire di definire l'arretrato.

Sarebbe interessante sapere chi, tra giustizia e economia, abbia fatto i conti e su quali dati si sia basato.

In Italia quasi tutte le Corti d'appello hanno consistenti arretrati. Corti molto importanti arrivano anche a superare i 50.000 processi arretrati.

Si è provato ad ipotizzare, anche in termini approssimativi, quanti giudici ausiliari servirebbero per smaltire simili arretrati e per quanto tempo dovrebbero lavorare (sempre che nel frattempo non continui a formarsi arretrato)?

Proviamoci: in una Corte d'appello 10 giudici, con appassionata abnegazione, ben guidati e capaci di organizzare il proprio lavoro, potrebbero definire 2.000 processi all'anno.

Dunque, con 50 giudici si potrebbero definire 10.000 processi. Questo significa che una Corte composta da 50 giudici, tenuto conto delle sopravvenienze annue (tra 8.000 e 10.000) non potrà mai eliminare 50.000 pendenze. Se avesse 50 giudici in più le servirebbero 5 anni, fermo restando che dovrebbe interamente smaltire le sopravvenienze per evitare che l'arretrato lieviti.

Ma, in tempi, come si dirà tra breve, di “terrorismo” disciplinare, urge stabilire quale sia il carico esigibile per un magistrato della Corte penale. E non sarei così tanto sicuro che sia possibile esigere un impegno come quello sopra ipotizzato. Tolto il periodo feriale e i giorni festivi, i giorni lavorativi, sabato incluso, sono più o meno 240. Quindi un magistrato della Corte dovrebbe redigere una sentenza al giorno per 200 giorni, dedicare almeno 40 giorni alla partecipazione all'udienza e, nei ritagli di tempo, occuparsi di tutti gli altri provvedimenti (in tema di misure cautelari personali e reali, di patrocinio a spese dello Stato, di esecuzione penale, ecc.).

E, comunque, mai si potrebbe pretendere un impegno siffatto dai giudici ausiliari, vale a dire magistrati a riposo da non più di tre anni, magistrati onorari che non esercitano più, ecc., tra l'altro sottopagati.

Veniamo all'obiettivo “efficienza”.

Qui qualcosa di interessante e utile si trova.

Anzi tutto, la previsione del deposito telematico, obbligatorio o facoltativo, degli atti [art. 2, lett. da a) a f)] e la semplificazione, nel rispetto delle garanzie di effettiva conoscenza, delle notificazioni all'imputato, in particolare nel caso di nomina di un difensore di fiducia e nel caso di impugnazione proposta dall'imputato [art. 2, lett. da g) a p)].

In secondo luogo, la previsione che il difensore possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza [art. 7, lett. a)]. L'idea che sia possibile presentare impugnazioni senza il volere dell'interessato (di cui spesso si ignora persino la reale identità e che, dopo la verbalizzazione della denuncia, la dichiarazione o elezione di domicilio o il rifiuto di farla, la designazione del difensore d'ufficio e gli eventuali rilievi dattiloscopici, sparisce senza lasciare traccia alcuna di sé, così manifestando il proprio assoluto disinteresse verso il processo che lo riguarda) mi ha sempre lasciato perplesso.

In terzo luogo, le previsioni sulla querela (art. 8), in particolare la previsione, «quale remissione tacita della querela, della ingiustificata mancata comparizione del querelante all'udienza dibattimentale alla quale sia stato citato in qualità di testimone».

Infine, la nuova disciplina sanzionatoria delle contravvenzioni prevista nell'art. 10 (in particolare, la previsione, almeno per certe contravvenzioni, di una causa di estinzione o di una circostanza attenuante, operative nella fase delle indagini, correlate all'adempimento, rispettivamente tempestivo o tardivo, di prescrizioni, nonché al pagamento di una somma di denaro o, in sostituzione, alla prestazione di lavoro di pubblica utilità).

Altre previsioni mi sembrano, invece, improponibili o prossime all'inutilità.

Improponibile, allo stato, è l'idea del giudice monocratico in appello [art. 7, lett. f)].

Non muterebbe il numero delle sentenze che il giudice riesce a scrivere o, comunque, che sia possibile esigere che scriva; in compenso, si moltiplicherebbero il numero delle aule da utilizzare (e che non ci sono) e il numero del personale amministrativo per le udienze (che non c'è).

Prossime all'inutilità sono le previsioni di mutamento delle regole di giudizio dell'archiviazione [il pubblico ministero chiede «l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari risultano insufficienti, contraddittori o comunque non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria in giudizio»: art. 3, lett. a)] e della sentenza di non luogo a procedere in udienza preliminare [«escludere il rinvio a giudizio nei casi in cui gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria in giudizio»: art. 3, lett. i)].

Non è la prima volta che si cambia qualche parola della regola, ma l'operazione resta di facciata.

La prima (archiviazione) continuerà ad essere usata come la discarica delle scelte del pubblico ministero; scelte che, tra l'altro, l'art. 3, lett. h) vuole codificare, subordinandole alla “interlocuzione” con il Procuratore Generale e il Presidente del Tribunale (e tutti gli interlocutori dovranno tenere conto «della specifica realtà criminale e territoriale, delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili e delle indicazioni condivise nella conferenza distrettuale dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti»), con buona pace del canone costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, aggirato spiegando che le notizie di reato non selezionate non saranno “dimenticate” (recte cestinate) ma dovranno solo dare la precedenza a quelle selezionate.

La seconda (sentenza di non luogo a procedere) continuerà ad avere diritto a un posto fisso a "Chi l'ha visto?".

Solo, la strada di una seria prognosi di ragionevole fondatezza dell'accusa, prossima a quella di colpevolezza, potrebbe ridare senso e vitalità all'udienza preliminare.

Tra le previsioni che non lasceranno segni vanno annoverate quelle dell'art. 4 relative al giudizio abbreviato [«modificare le condizioni per l'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato subordinata a una integrazione probatoria (…), prevedendo l'ammissione del giudizio abbreviato se l'integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un'economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale»: lett. b)], al giudizio immediato [prevedere che, a seguito di notifica del decreto di giudizio immediato, nel caso di rigetto da parte del G.I.P. della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria, l'imputato possa proporre la richiesta “incondizionata” oppure la richiesta di patteggiamento e che, nel caso di dissenso del p.m. o di rigetto da parte del G.I.P. della richiesta di patteggiamento, l'imputato possa proporre la richiesta di giudizio abbreviato: lett. c)] e al procedimento per decreto [prevedere che la richiesta di decreto di condanna possa essere formulata dal p.m. entro il termine di un anno dall'iscrizione e che, ai fini dell'estinzione del reato ex art. 460, comma 5, c.p.p., sia necessario il pagamento della pena pecuniaria, nonché assegnare un termine di 10 giorni a decorrere dalla notificazione del decreto entro il quale il condannato possa, rinunciando a proporre opposizione, pagare la pena pecuniaria in misura ridotta di un quinto: lett. d)].

La prima è una modifica del criterio di accesso al giudizio abbreviato c.d. condizionato che, ad una prima lettura, non mi pare destinata a spostare equilibri nel settore dell'efficienza.

La seconda è una codificazione di prassi virtuose in tema di richieste subordinate già sdoganate dalla giurisprudenza di legittimità e da quella costituzionale e già in atto.

La terza è un tentativo di dare maggior spazio temporale al procedimento per decreto e di portare qualche soldo alle casse pubbliche.

In relazione all'obiettivo del “contenimento della durata”, vorrebbero andare in tale direzione, mediando tra esigenze del pubblico ministero e diritti della persona sottoposta alle indagini, le previsioni sulla durata delle indagini preliminari, proroghe comprese, e sul pressing al p.m. per sciogliere l'alternativa archiviazione – esercizio dell'azione penale e inviare l'avviso di conclusione delle indagini preliminari [art. 3, lett. da c) a g)].

La logica sottesa sembra questa: il p.m. non può lasciare le carte nell'armadio una volta scaduti i termini d'indagine. Deve decidersi: gli è dato un inedito spazio intermedio per depositare atti e documenti e metterli a disposizione dell'indagato. Poi non ha più scuse. E, se è stato negligente, sarà sottoposto a procedimento disciplinare.

Ma il problema non si risolve incutendo la “paura” della persecuzione disciplinare. Si risolve mettendo il p.m. nelle condizioni di gestire, in modo serio e accurato, le notizie di reato e i procedimenti che gli vengono assegnati.

È, anche in tal caso, una questione di numeri e di carichi esigibili. Da lì si deve partire anche con riguardo al p.m., con chiarezza, precisione e trasparenza, non dallo spauracchio del disciplinare.

Anche la previsione di portare il patteggiamento a otto anni sembra animata da intenti deflativi, benché si preveda un ampliamento delle preclusioni oggettive [art. 4, lett. a), n. 1].

Abbiamo già un patteggiamento minor (M) (fino a due anni con vari incentivi) e un patteggiamento “allargato” (L) (fino a 5 anni senza incentivi). Ora si vuole introdurre anche un patteggiamento extra large (XL).

Se non fosse, però, che già il patteggiamento allargato è nato (nel 2003) asfittico e tale è rimasto. Il legislatore, introducendolo, peccò di eccesso di ottimismo o, meglio, mostrò di non avere senso della realtà. Al di fuori di particolari situazioni individuali, non si vedeva, infatti, per quale ragione l'imputato avrebbe dovuto chiedere l'applicazione di una consistente pena detentiva (da più di due a cinque anni), che sarebbe stato in breve tempo chiamato a scontare, senza, tra l'altro, poter accedere agli altri benefici tradizionali del rito, riservati esclusivamente al patteggiamento minor (esclusione della condanna alle spese, dell'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, esclusa la confisca); meglio a quel punto accedere al rito abbreviato.

Sembra ragionevole ritenere che anche il patteggiamento XL subirà la stessa sorte, tanto più che si ipotizza [art. 4, lett. a), n. 2] di ampliare, rispetto al patteggiamento L, il novero dei reati per i quali l'accesso è precluso [in particolare, i reati di cui agli artt. 422 (strage), 558-bis (costrizione o induzione al matrimonio), 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi), 575 (omicidio), 578, secondo comma (concorso con la madre nell'infanticidio in condizioni di abbandono morale o materiale), 579, terzo comma (omicidio del consenziente), 580, secondo comma (istigazione o aiuto al suicidio), 582 (lesioni personali volontarie) e 583-quinquies (deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso), nelle ipotesi in cui ricorre taluna delle aggravanti di cui agli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 609-quinquies (corruzione di minorenni), 612-bis (atti persecutori),612-ter (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti].

È in funzione incentivante, quindi lato sensu deflativa, la previsione (art. 9) di diminuire ad un importo non superiore a 180 euro il “costo” giornaliero, per il caso di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria, di un giorno di pena detentiva.

Le previsioni sul giudizio di primo grado (art. 5: calendario delle udienze, relazione illustrativa delle parti sulle prove; rinunzia incondizionata all'assunzione delle prove richieste, deposito delle consulenze tecniche e della perizia, ecc.), sul procedimento davanti al giudice monocratico (art. 6: creazione di un'udienza per la pronuncia di una “sentenza di non luogo a procedere”, in tutto analoga a quella adottabile all'esito dell'udienza preliminare, e per le richieste di patteggiamento e giudizio abbreviato) e sull'appello (art. 7: inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, fatte salve alcune preclusioni oggettive; l'inappellabilità della sentenza di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità; rito camerale non partecipato a richiesta dell'imputato) richiederebbero un'accurata riflessione; ad una prima lettura, comunque, pur apparendo, alcune di esse, giustificabili, non sembrano avere quella forza di contenimento della durata del processo che rappresenta l'obiettivo perseguito.

E veniamo ora ai “piatti forti” del disegno: i termini di durata del processo (art. 12) e le disposizioni per la trattazione dei giudizi di impugnazione delle sentenze di condanna (art. 13).

Quanto ai termini di durata (i magistrati si “diano una mossa” – questo è il messaggio), esclusi i processi relativi ai reati che implicano accertamenti complessi [si tratta dei reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a), n. 1), 3) e 4), e comma 2, lett. b), c.p.p., tra i quali i delitti di mafia e di terrorismo, le stragi, gli omicidi e i sequestri di persona, le rapine e le estorsioni aggravate, ecc.]:

  • quelli previsti dalla legge Pinto (l. 24 marzo 2001, n. 89) nei processi «per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione e l'economia» (tre anni per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il giudizio di legittimità);
  • un anno per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il giudizio di legittimità, nei processi per i reati attribuiti dall'art. 33-ter c.p.p. al tribunale in composizione monocratica;
  • due anni per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il giudizio di legittimità nei processi per i reati attribuiti dall'art. 33-bis c.p.p. al tribunale in composizione collegiale.

È prevista la possibilità che i termini siano diversamente determinati dal C.S.M. «tenuto conto delle pendenze, delle sopravvenienze, della natura dei procedimenti e della loro complessità, delle risorse disponibili e degli ulteriori dati risultanti dai programmi di gestione redatti dai capi degli uffici giudiziari».

In tema di giudizi di impugnazione delle sentenze di condanna si è prevista la possibilità, per parti e difensori, di presentare, un una volta decorsi i descritti termini di durata, istanza di immediata definizione del processo, correlato all'obbligo di definire il processo entro sei mesi dal deposito dell'istanza.

Il sistema è chiuso dal solito rischio disciplinare.

Si colloca nel versante del controllo giurisdizionale dell'attività del pubblico ministero la previsione di cui all'art. 3, lett. l), vale a dire l'introduzione di accertamenti, a richiesta dell'interessato, sulla data di effettiva acquisizione della notizia di reato, ai fini della valutazione di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari.

Si tratta di una forma di controllo non gradita dal pubblico ministero, auspicata, invece, dai fautori dell'apertura di finestre giurisdizionali di controllo delle indagini preliminari.

Il Governo ritiene, evidentemente, questo controllo necessario per delimitare il periodo entro il quale è consentito al pubblico ministero effettuare le indagini e per dare alla persona sottoposta alle indagini certezza sui tempi investigativi massimi.

Si tratta di un primo passo verso la presenza effettiva del giudice, in funzione di controllo e garanzia, già negli snodi decisivi delle indagini preliminari (durata, intercettazioni, imputazione ecc.).

Eccentrica è, infine, la previsione (art. 11) di uno strumento di impugnazione del decreto di perquisizione o di convalida della perquisizione, anche quando ad essa non consegua un provvedimento di sequestro.

E veniamo, per concludere all'art. 14, vale a dire alle «Disposizioni in materia di sospensione della prescrizione».

Prima, però, una rapida considerazione.

La prescrizione (in particolare, l'archiviazione per prescrizione, considerato che una elevata percentuale, certamente superiore al 60 per cento, di prescrizioni già si verifica nella fase delle indagini preliminari) si è rivelata, dal 1990 ad oggi, l'unico strumento deflativo, dato che le soluzioni alternative (patteggiamento, procedimento per decreto e giudizio abbreviato) non hanno realizzato lo scopo loro affidato trenta anni fa.

Deve essere chiaro, però, che i reati che si prescrivono non sono quelli che attraggono il circuito mediatico: quelli non si prescrivono mai. Tenuto conto del tetto massimo per i fatti interruttivi e dei 3 anni di sospensione introdotti dalla riforma Orlando, la corruzione si prescrive – senza calcolare l'incidenza di eventuale recidiva aggravata o reiterata – in 18 anni; l'associazione mafiosa da 40 anni e 6 mesi a 68 anni; l'omicidio stradale da 20 anni e 8 mesi a 33 anni; le violenze sessuali non aggravate in 28 anni; il riciclaggio non aggravato in 18 anni; l'omicidio volontario non aggravato in 33 anni; la bancarotta fraudolenta non aggravata in 15 anni e sei mesi; i furti in abitazione e gli scippi aggravati, nonché i furti pluriaggravati si prescrivono in 15 anni e 6 mesi; le rapine e le estorsioni da 15 anni e 6 mesi a 28 anni. E l'elenco potrebbe continuare.

I reati che si prescrivono sono quelli dei quali la “pubblica opinione” di regola non si occupa; dei quali a nessuno interessa, se non a chi li subisce, a chi li commette nel caso venga individuato, e a chi conosce il sistema per averlo a lungo vissuto dall'interno e sa che i grandi e veri numeri della giustizia sono fatti con questi reati: le truffe, le appropriazioni indebite, le minacce, le violenze, le lesioni personali volontarie, i falsi nelle loro molteplici declinazioni, ecc.

Detto questo, l'art. 14 evita la delega e interviene direttamente sull'art. 159 c.p.

Vediamo le modificazioni apportate.

La ormai celeberrima disposizione (comma secondo) che prevede la sospensione del corso della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado è modificata nel senso che la sospensione non si ha (quindi il tempo necessario a prescrivere continua a correre) quando la sentenza di primo grado è di proscioglimento dell'imputato.

Sospensione si ha, dunque, solo nel caso di sentenza di condanna dell'imputato.

In quattro nuovi commi destinati a seguire il citato secondo comma si dipana, poi, il fil rouge della riforma.

Se la sentenza di condanna è confermata, nessun problema: il tempo della prescrizione non corre. Dunque, l'imputato condannato può attendere.

Ma se si va avanti e la sentenza di condanna non resiste, ma – come si legge nel terzo comma - è sovvertita nei gradi successivi da una sentenza di proscioglimento, da una sentenza di annullamento dell'affermazione di responsabilità o da una sentenza che accolga una delle questioni di nullità di cui all'art. 604, commi 1, 4 e 5-bis, c.p.p. la prescrizione riprende il suo corso e non solo: anche i periodi di sospensione di cui al secondo comma (decorrenti dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado) sono computati ai fini del tempo necessario a prescrivere.

Il quarto comma si occupa, poi, della sola sentenza di proscioglimento e disciplina l'eventualità che la stessa sia impugnata (non dice se solo dalla parte pubblica o anche dalla parte civile).

La regola prevista è che, se l'impugnazione è proposta, il tempo della prescrizione continua a correre.

Come tutte le regole che si rispettino è prevista un'eccezione: se anche solo uno dei reati per cui si procede si prescrive entro l'anno successivo al termine previsto dall'art. 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di proscioglimento, scatta la sospensione (per tutti i reati, sembra di capire):

  1. per un massimo di anni 1 e mesi 6: dalla scadenza del termine previsto dall'art. 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il giudizio di appello;
  2. per un massimo di 6 mesi: dalla scadenza del termine previsto dall'art. 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva.

Il quinto comma tratta, poi, del caso che la sentenza di proscioglimento sia confermata dal giudice di appello per prevedere che i periodi di sospensione di cui si è sopra detto sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario al maturare della prescrizione.

Il sesto comma chiude con una precisazione: se durante i termini di sospensione di cui sopra si è detto (per intendersi, quelli previsti dal quarto comma) si verifica un'ulteriore causa di sospensione, di quelle previste al primo comma dell'art. 159 c.p. (tra le più frequenti, il legittimo impedimento a comparire dell'imputato o del suo difensore, il rinvio dell'udienza a richiesta dell'imputato o del suo difensore, l'astensione del difensore dalla partecipazione all'udienza in adesione ai deliberati dell'associazione di categoria), i termini sono prolungati per il periodo corrispondente, in altre parole il periodo di sospensione si aggiunge.

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