I nuovi confini dell’adozione all’insegna della continuità affettiva

25 Febbraio 2020

Il caso in esame concerne la controversa figura di recente conio giurisprudenziale dell'adozione aperta, fondata sull'interpretazione estensiva dell'art.27 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che prevede che con l'adozione cessino i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali.
Massima

L'accertamento dello stato di abbandono morale e materiale non esclude il mantenimento di rapporti di fatto con i membri della famiglia di origine, o con taluno di essi, qualora risulti instaurato un legame affettivo significativo, il cui mantenimento appare funzionale al corretto sviluppo psico-fisico del minore, in vista di un progetto adottivo dal carattere aperto.

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle D'Aosta, con la sentenza in esame emessa all'esito della procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità di una minore, ne ha accertato lo stato di abbandono morale e materiale ed ha provveduto a dichiararne l'adottabilità. In particolare, la minore, che fino all'età di due anni aveva vissuto con i nonni paterni in Cina, venne condotta in Italia, per ricongiungersi ai suoi genitori nel maggio del 2012. La madre si è resa autrice nei confronti della figlia di atti maltrattanti e violenti, arrivando ad immergerla nell'acqua bollente, a suo dire per fini correttivi. A causa di tale comportamento, la minore ha riportato gravi ustioni agli arti inferiori, che le hanno cagionato un'invalidità permanente. Dagli ulteriori accertamenti sanitari espletati, è, inoltre, emerso che la bambina presentava altresì ecchimosi e segni di percosse. In conseguenza di tali gravi condotte, la stessa è stata data in affidamento etero-familiare ad una coppia ritenuta idonea.

Entrambi i genitori hanno patteggiato la pena: la madre è in regime di espiazione della pena detentiva, mentre il padre ha beneficiato della sospensione condizionale della stessa. Quest'ultimo inoltre, alla luce dei fatti emersi, ha deciso di separarsi dalla moglie e di affidare il figlio maggiore alla cura dei suoi genitori in Cina.

Il Tribunale per i Minorenni sabaudo che ha pronunciato l'adottabilità della minore, ha ritenuto che la madre non fosse consapevole della gravità della condotta assunta, né avesse manifestato alcun segno di pentimento per le sofferenze e i danni permanenti arrecati alla figlia. Rispetto al padre, ha censurato come atteggiamento abbandonico, il non essere intervenuto in difesa della figlia. A ciò si aggiungono il deficit cognitivo, la mancata integrazione socio - culturale, l'incapacità di parlare l'italiano, che hanno reso il genitore assolutamente inidoneo a prestare le necessarie cure materiali ed affettive in favore della minore, la quale peraltro, a causa delle lesioni riportate, deve sottoporsi a plurimi interventi chirurgici.

D'altro canto, la bambina vive da più di sette anni con gli affidatari e sembra aver conquistato la felicità e la serenità che le erano state negate ingiustamente. Peraltro, il Tribunale, pur riconoscendo che il superiore interesse della stessa sia realizzato mediante la prosecuzione del rapporto tra gli affidatari e la bambina, ha altresì ritenuto che la stessa abbia bisogno di mantenere un rapporto di frequentazione con il padre, unico legame con le sue origini familiari ed etniche, che sono parte integrante della sua identità personale. La stessa ha, infatti, continuato ed effettuare incontri protetti, con cadenza quindicinale, con il solo padre. Il Tribunale ha dunque ritenuto che l'interruzione dei rapporti con il padre a seguito della dichiarazione di adottabilità e della successiva adozione, possa essere fonte di un ulteriore trauma per la bambina, che ha già subito un traumatico sradicamento familiare. Inoltre, la recisione definitiva del rapporto con il padre, determinerebbe la formazione di una crepa, di un vuoto incolmabile nella sua identità personale, monca delle origini culturali, oltre che familiari.

Il Tribunale ha dunque disposto, con la sentenza di adottabilità, il mantenimento del rapporto di frequentazione con il padre biologico, seppure diradando gli incontri, per evitare di creare confusione nella mente della minore. La sentenza in esame fa dunque applicazione dell'interpretazione evolutiva dell' “adozione aperta”.

La questione

Il caso in esame concerne la controversa figura di recente conio giurisprudenziale dell'adozione aperta, fondata sull'interpretazione estensiva dell'art. 27 l. legge 4 maggio 1983, n. 184, che prevede che con l'adozione cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali. La questione giuridica posta nella sentenza in esame è se, nell'adozione legittimante, detta interruzione possa essere limitata ai soli rapporti giuridici, consentendo dunque sul piano fattuale la prosecuzione delle suddette relazioni familiari, allorquando sia ritenuta pregiudizievole per il corretto sviluppo psico-fisico del minore la loro cessazione.

Le soluzioni giuridiche

Nell'impianto della legge n. 184/1983, il modello dominante di adozione è quello dell'adozione legittimante, fondata sull'accertamento dello stato di abbandono, che diventa il presupposto per un intervento che si potrebbe definire ricostruttivo del legame familiare. Il minore diviene a tutti gli effetti figlio del nucleo familiare adottivo e perde ogni tipo di rapporto con i genitori biologici.

Negli ultimi anni si è, tuttavia, sviluppata la tendenza, recepita su impulso della giurisprudenza sovrannazionale, a smussare alcune rigidità insite nella disciplina dell'adozione, recuperando sia pure in chiave di adeguamento ad una mutata situazione sociale, la cosiddetta ‘piccola adozione' prevista in epoca antecedente all'antesignana legge 5 giugno 1967, n. 431 sull'adozione speciale, che non recideva i rapporti con la famiglia di origine.

Si è dunque valorizzata l'adozione in casi particolari rappresenta una forma più lieve rispetto all'adozione legittimante, sia con riferimento ai requisiti soggettivi per accedervi, in quanto non è relegata alle sole coppie coniugate, che per gli effetti che produce, proprio perché il presupposto non è lo stato di abbandono del minore, ma è anzi un modello di adozione fondato sul consenso.

Tra i casi contemplati dall'art. 44 è stato soprattutto quello di cui alla lettera d), relativo alla constatata impossibilità di affidamento preadottivo, che, in quanto si atteggia come una norma in bianco, ha interessato la giurisprudenza minorile. Essa ne ha esteso la portata applicativa, intendendola come impossibilità di carattere giuridico, che si verifica quando non ricorra lo stato di abbandono. Tale interpretazione ha trovato da ultimo conferma nella giurisprudenza di legittimità in tema di stepchild adoption. La Corte di Cassazione, infatti, in disaccordo rispetto alla tesi ristrettiva sostenuta dalla Procura Generale, ha affermato che «delle quattro fattispecie di adozione in casi particolari descritte nell'art. 44, quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore alle altre tre… nessun requisito viene indicato per definire i profili dell'adottante e dell'adottando, essendo soltanto prevista la condicio legis della constatata impossibilita dell'affidamento preadottivo». L'interpretazione della «impossibilità di affidamento preadottivo» non osta, in conclusione, alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche l'impossibilità «di diritto», e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l'interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura (Cass. civ. sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962

Sulla base di questa interpretazione estensiva è stata elaborata la figura della cosiddetta «adozione mite», scaturita dall'esperienza del Tribunale per i Minorenni di Bari nel 2003, avente come presupposto il c.d. semiabbandono permanente, ossia l'ipotesi in cui i genitori, sebbene parzialmente incapaci e inadeguati a rivestire il ruolo genitoriale non manchino di affetto nei confronti dei loro figli, con i quali al contrario hanno un significativo legame affettivo. Tuttavia, la condizione di incapacità genitoriale non è di carattere transitorio, come richiesto per l'affidamento familiare, bensì continuativo e destinato a permanere negli anni, a causa di limiti cognitivi o di inadeguatezze cronicizzate che non siano ritenute emendabili in un arco di tempo breve, compatibile con le esigenze di corretto sviluppo psico-fisico della prole.

Si deve osservare che, sebbene ancora non molto diffusa nella pratica, è possibile nel nostro ordinamento anche l'altra strada, diversa dall'adozione c.d. mite, seguita dalla sentenza in rassegna. Già negli anni 70, infatti, presso il Tribunale per i Minorenni di Torino, Presidente Vercellone, si sono effettuate delle adozioni aperte, a coppie conosciute dalla famiglia di origine, in qualche caso prevedendo o disponendo espressamente il mantenimento dei contatti. L'adozione aperta si fonda sulla suesposta interpretazione evolutiva dell'art. 27, della legge 184/1983, in raccordo con il successivo art. 28, al comma quarto, che prevede: «Le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore».Questa seconda norma prevede, pertanto, che i genitori adottivi possano essere informati dell'identità di quelli biologici quando l'adottato è ancora minore, sicché questo potrebbe avvenire anche nei casi nei quali il minore già conosca i suoi genitori biologici e corrisponda al suo interesse conservare un rapporto di conoscenza e, entro certi limiti, di frequentazione, con i genitori o altri familiari di origine.

L' adozione aperta è una fattispecie ben nota alle tradizioni dei paesi anglosassoni, ma in origine sconosciuta a quella italiana e, consiste nella possibilità di disporre l'adozione legittimante e, al tempo stesso, consentire il mantenimento dei legami con alcuni parenti di origine. Rispetto all'adozione in casi particolari, essa presenta il vantaggio di attribuire al minore a pienezza dello status di filiazione adottiva. Ne consegue che il minore diviene a tutti gli effetti figlio dei genitori adottivi, pur potendo conservare legami affettivi e di frequentazione con la famiglia di origine o con alcuni suoi componenti, per esempio con i fratelli.

L'orientamento giurisprudenziale che si sta sviluppando intorno alla figura dell'adozione aperta fa emergere con evidenza la centralità del minore e del suo superiore interesse, che va sempre valutato in concreto. La suddetta interpretazione evolutiva è, quindi, funzionale alla concretizzazione del superiore interesse del minore attraverso un adattamento del rigido quadro normativo di riferimento ai casi concreti.

Osservazioni

Resta poi da vedere se, nel caso in esame, corrispondesse in concreto all'interesse del minore il mantenimento dei rapporti con il padre.

Il Tribunale motiva adeguatamente sull'opportunità, nell'interesse della minore, di non interrompere i rapporti con il genitore, sotto due profili: innanzitutto, in relazione alla sussistenza, accertata anche attraverso una c.t.u., di un valido rapporto affettivo tra la minore e il padre, nonostante le gravi lacune che questi presenta il piano delle competenze genitoriali, ma che comunque ha saputo riconoscere, decidendo di separarsi da una moglie inadeguata. Difatti, nonostante non abbia difeso la figlia dagli atti di violenza perpetrati dalla madre e pur in presenza di evidenti difficoltà cognitive e psicologiche, rappresenta comunque un punto di riferimento significativo per la minore.

Un ulteriore argomento è che la minore potrebbe subire un ulteriore pregiudizio a seguito dell'allontanamento del padre biologico che costituirebbe un ulteriore evento traumatico, avendo la stessa già patito il primo distacco dai nonni paterni che per due anni l'hanno cresciuta in Cina, le violenze subite dalla madre e l'allontanamento del fratello, riaffidato alle cure dei nonni paterni in Cina. D'altra parte, dalle osservazioni effettuate negli incontri avutisi tra il padre biologico e la minore, la condotta assunta dallo stesso è risultata adeguata, anzi sintomatica di un legame affettivo importante.

Un'ulteriore motivazione viene individuata nell'esigenza di una presenza reale che mantenga nella bambina una connessione con le proprie origini, molto presenti nella sua mente, evitando che, nel corso dello sviluppo, possa sperimentare un vuoto di appartenenza ad alta valenza traumatica, tenuto conto che la minore aveva sperimentato in Cina una relazione primaria molto significativa con la nonna paterna. Oltre al tema delle origini familiari, in questa fattispecie viene anche in considerazione il tema delle radici etniche e culturali.

Quanto alla madre, la stessa ha avuto degli agiti gravemente maltrattanti verso la figlia, provocandole sofferenze inaudite con effetti permanenti; la minore risulta invalida e dovrà sottoporsi a continue visite ed interventi. Inoltre, dagli incontri in luogo neutro che la minore ha effettuato con la madre prima che quest'ultima venisse sottoposta al regime detentivo non è emerso un forte legame affettivo tra le due, tale da rendere opportuno anche il mantenimento del suddetto rapporto.

Rispetto alla giustificazione della donna sul suo comportamento, non sembra superfluo il riferimento ai reati culturalmente orientati, sui quali la Cassazione si è di recente espressa chiarendone la portata. Con Cass. pen, sez. III, sent. 2 settembre 2018, n. 29613 (in Cass. Pen., 2019, 7, 2618 con nota di D'Agostino) la Cassazione ha specificato che i reati c.d. culturalmente orientati sono quelli connotati dall'assunzione di comportamenti frutto di tradizioni e culture diverse da quella italiana e non sempre ad essa sovrapponibili. In particolare, la Corte ha precisato che l'appartenenza ad una cultura diversa non costituisce tout court una giustificazione apprezzabile per qualsivoglia comportamento che sia considerato dall'ordinamento giuridico italiano come illecito penale. Al fine di stabilire se l'agente possa ritenersi scusato, è necessaria una complessa valutazione. Bisogna infatti appurare innanzitutto se la norma culturale invocata dall'agente esiste nel Paese di sua provenienza; se essa ha un corrispondente giuridico nell'ordinamento straniero; qual è la percentuale di popolazione che la riconosce in quanto tale e la osserva. Qualora la tradizione culturale dell'agente contempli realmente il comportamento che in Italia integra un reato, l'autore non può, per ciò solo, ritenersi giustificato. Bisogna infatti verificare se lo stesso si sia attivato ai sensi dell'art. 5 c.p. per come reinterpretato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sent. 364/88, realizzando i c.d. obblighi strumentali funzionali alla conoscenza del diritto penale. È dunque necessario stabilire se l'agente, tenendo anche conto del tempo trascorso in Italia, del suo grado di integrazione nel tessuto sociale ed altre circostanze utili, si sia messo nella condizione di comprendere dell'illiceità penale del fatto. Ma soprattutto, nessuna forma di rispetto per le tradizioni del cittadino straniero, potrà mai comportare l'abdicazione del sistema penale alla punizione delle condotte aggressive dei diritti fondamentali, quali i diritti inviolabili dell'uomo e i beni ad essi collegati.

Nel caso di specie, la madre della minore, in Italia dal 2010, aveva già trascorso sul suolo italiano due anni quando la figlia si ricongiunse a lei, ossia un arco di tempo ragionevole per poter apprendere le norme basilari fondanti l'ordinamento giuridico italiano. Non vi sono, invero, dati ufficiali dai quali poter dedurre l'esistenza di una norma culturale osservata da buona parte della popolazione cinese che giustifichi condotte maltrattanti nei confronti dei figli. In ogni caso, la Cassazione nella sent. 29613/2018 ha concluso affermando che, in materia di reati culturalmente orientati, è necessario compiere «[…] un attento bilanciamento tra il diritto, pure inviolabile, del soggetto agente a non rinnegare le proprie tradizioni culturali, religiose, sociali e valori offesi o posti in pericolo dalla sua condotta»

In definitiva, l'oggetto di tutela risulta rafforzato, giacché i comportamenti maltrattanti perpetrati dalla madre, hanno gravemente leso l'integrità psico - fisica della minore, nella prospettiva di un corretto sviluppo della sua persona, che deve considerarsi un valore che gode di assoluta intangibilità. Nel caso in esame, rispetto al quale è stata affermata la penale responsabilità della madre, non è invocabile alcuna scriminante o scusante culturale in suo favore, poiché la condotta di maltrattamento assunta è gravemente violativa dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell'uomo, e non può trovare alcuna giustificazione nel preteso intento correttivo ed educativo.

Guida all'approfondimento

G. Vecchione, Il punto di vista della giurisprudenza minorile su abbandono e ‘semiabbandono permanente', affidamento a rischio giuridico, affidamento familiare e continuità affettiva, relazione tenuta presso la Scuola della Magistratura, nell'incontro di studio “Genitorialità e adozione nella giurisprudenza delle Corti” in data 21.2.2019.

V. Montaruli, L'affidamento del minore e la continuità affettiva: rivisitazione dell'adozione mite e nuove prospettive in tema di adozione, in www.Questione Giustizia.it.

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