È delegabile l'interrogatorio di garanzia nelle misure non custodiali?

27 Febbraio 2020

Anche per le misure cautelari non custodiali è possibile delegare l'interrogatorio di garanzia al giudice per le indagini preliminari del luogo in cui si trova il soggetto cautelato?
Massima

La regola contenuta nell'

art. 294, comma 5, c.p.p.

, che attribuisce al giudice che ha emesso la misura cautelare personale il potere di delegare, ove il soggetto da interrogare si trovi nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice per le indagini preliminari del luogo, prescinde dalla natura custodiale o meno del presidio cautelare applicato.

Il caso

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari emetteva ordinanza cautelare con la quale imponeva a Tizio l'obbligo di presentarsi periodicamente ai Carabinieri della Stazione di Buddusò (SS). A seguito dell'esecuzione del provvedimento, il Giudice veniva a conoscenza del fatto che Tizio dimorava in Orbetello (GR); veniva quindi modificata l'ordinanza genetica imponendo a Tizio di presentarsi ai Carabinieri della Stazione della città di dimora e contestualmente veniva delegato al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto lo svolgimento dell'interrogatorio di garanzia.

Il Giudice delegato disponeva la restituzione degli atti all'autorità rogante sostenendo che la rogatoria era stata disposta nell'esercizio di una prerogativa legalmente inesistente e in violazione delle norme sulla competenza territoriale. Più in dettaglio, il giudice delegato motivava la propria decisione sulla base di due argomenti giuridici strettamente connessi fra loro: in primo luogo, sostenendo che l'

art. 294, comma

5,

c.p.p.

prevede la possibilità di delegare ad altro giudice l'interrogatorio di garanzia solo nel caso di applicazione di misura cautelare di natura custodiale; in secondo luogo, aggiungendo che tale lettura trova conferma nell'

art. 123

disp.

att. c.p.p.

, in base al quale l'interrogatorio di soggetto in stato di detenzione (ma appunto, secondo il giudice delegato, solo in questo caso) “si svolge nel luogo dove l'arrestato o il fermato è custodito salvo che nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora”.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari, non condividendo gli argomenti del collega toscano, proponeva conflitto di competenza, osservando, da una parte, che l'

art. 294,

comma 5, c.p.p.

si applica indifferentemente ad ogni misura cautelare, non contenendo la norma alcuna distinzione in proposito, e, dall'altra, che l'

art. 123

disp.

att. c.p.p.

si limita a individuare il luogo fisico in cui deve svolgersi l'interrogatorio del soggetto sottoposto a misura custodiale.

La Suprema Corte, accogliendo l'impostazione del Giudice sardo, risolveva il conflitto negativo di competenza in favore del Giudice toscano, a cui trasmetteva gli atti per lo svolgimento dell'interrogatorio di garanzia.

La questione

La questione in esame è la seguente: anche per le misure cautelari non custodiali è possibile delegare l'interrogatorio di garanzia al giudice per le indagini preliminari del luogo in cui si trova il soggetto cautelato?

Le soluzioni giuridiche

Sul punto si registra solo la decisione in commento.

La Suprema Corte, nel risolvere il conflitto di competenza in favore del Tribunale di Grosseto, ha stabilito che «la previsione del potere di delega non distingue in base al tipo di misura cautelare, non differenzia quindi il caso di misura della custodia cautelare in carcere, di cui tratta specificamente il comma 1 del medesimo articolo, da quello di ogni altra misura, sia coercitiva che interdittiva, specificamente presi in considerazione al successivo comma 1-bis»; quanto invece all'

art. 123 att. c.p.p.

, prosegue la Corte, si tratta di disposizione che regola «un profilo tutt'affatto diverso, quello del luogo in cui l'interrogatorio del soggetto in stato di detenzione deve avvenire, stabilendo che l'interrogatorio va fatto in quello di custodia e solo eccezionalmente, quando ricorrano motivi di necessità e di urgenza, dinanzi al giudice deputato allo svolgimento dello stesso»; è dunque chiaro, conclude, che la norma «non interferisce con le regole che valgono ad individuare il giudice che deve procedere all'interrogatorio, limitandosi soltanto a stabilire dove esso debba essere compiuto».

Osservazioni

Quanto affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame merita piena condivisione.

Per quanto concerne il primo dei punti sopra enunciati, ossia l'ambito di applicabilità dell'

art. 294,

comma 5,

c.p.p.

, occorre muovere dall'analisi del testo della norma e da una sintetica ricostruzione delle modifiche che questa ha subito nel corso del tempo, in particolare ad opera della

l. n.

332/1995

. Per effetto di tale intervento normativo, infatti, la rubrica dell'articolo recita attualmente Interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale mentre in precedenza era Interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare; coerentemente con la nuova rubrica, e innovando rispetto al testo originario che imponeva l'interrogatorio di garanzia solo per il soggetto sottoposto a custodia in carcere, la stessa legge ha introdotto il comma 1-bis, che ha previsto l'obbligatorietà di tale attività anche per la persona “sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva. In sostanza, è indiscusso che a seguito della l. n. 332/1955 non vi sia più alcuna distinzione, quanto all'obbligatorietà dell'interrogatorio di garanzia, né fra misure coercitive e interdittive né, all'interno di queste ultime, fra misure custodiali e non custodiali. L'unica differenza ravvisabile riguarda il termine per lo svolgimento dell'interrogatorio (cinque giorni per la custodia in carcere e dieci giorni per le altre misure) e l'espressa previsione che l'incombente debba essere svolto immediatamente in caso di misura carceraria (ma l'avverbio non può essere valorizzato al punto di ricavarne regole di condotta difformi in ordine al diverso istituto della rogatoria, disciplinato in altro comma della medesima norma). Il quinto comma, fatta eccezione per l'inciso (irrilevante ai fini della nostra analisi) introdotto dal

d.l. n.

29/1999

, è invece sostanzialmente rimasto invariato e dunque prevedeva, come prevede tuttora, che «per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice o il presidente, nel caso di organo collegiale, qualora non ritenga di procedere personalmente, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo». Nessuna indicazione, dunque, sulla tipologia di misure cautelari per le quali è possibile delegare l'interrogatorio; ma proprio per questo appare arduo ritenere che la disposizione non si riferisca a tutte le misure cautelari, anche tenuto conto di un argomento logico e cioè che, se è (certamente) delegabile l'interrogatorio del soggetto sottoposto alla custodia in carcere e dunque alla più grave misura coercitiva prevista dall'ordinamento, a fortiori tale potere deve ritenersi sussistente per misure che realizzino una compressione più lieve della libertà personale o, addirittura, si limitino ad incidere su singoli aspetti di essa; se insomma l'ordinamento ammette che non necessariamente il soggetto in vinculis debba avere un'interlocuzione diretta con il giudice che ne ha disposto la carcerazione, sembrerebbe irrazionale giungere alla conclusione opposta per forme di restrizione certamente meno gravose (e a volte, in concreto, molto meno gravose: basti pensare a un semplice obbligo settimanale di presentazione alla polizia giudiziaria o al divieto di dimora in un comune in cui l'indagato non abbia legami familiari o lavorativi).

A tali argomenti di tipo letterale e teleologico se ne può aggiungere un altro di carattere “sostanziale”. Molte delle misure coercitive non custodiali si sostanziano nella creazione di uno spazio inaccessibile al cautelato, che può essere legato ad un luogo (divieto di dimora, allontanamento dalla casa familiare) o ad una persona (divieto di avvicinamento alla persona offesa), che di regola si trovano nella circoscrizione di competenza del Giudice che ha emesso la misura. Adottare una lettura diversa da quella offerta dalla Suprema Corte implica il rischio di agevolare il riavvicinamento dell'indagato ai luoghi e/o alle persone dai quali si era inteso allontanarlo per evitare la reiterazione del reato e/o l'inquinamento delle prove. In questa prospettiva, l'unica alternativa per scongiurare tali pericoli sarebbe quella di procedere personalmente l'interrogatorio da parte del Giudice che ha adottato l'ordinanza, con le intuibili ricadute sui costi e i tempi dell'amministrazione della Giustizia.

Altrettanto condivisibile la lettura proposta dalla Corte con riferimento all'

art. 123 disp. att. c.p.p.

La norma stabilisce la regola generale secondo cui, salva una serie di specifiche eccezioni, l'udienza di convalida si svolge «nel luogo in cui il fermato o l'arrestato è custodito salvo che nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora»; e aggiunge che «nel medesimo luogo si svolge l'interrogatorio della persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione», fermo restando che in caso di “eccezionali motivi di necessità o di urgenza” il giudice può disporre la comparizione del soggetto dinanzi a sé. Non c'è dubbio che la norma si riferisca ai soggetti che si trovino a qualsiasi titolo in stato di detenzione e in particolare in stato di custodia in carcere; ma, come suggerisce la stessa rubrica, essa è destinata, specificamente e unicamente, a individuare il “luogo di svolgimento dell'udienza di convalida e dell'interrogatorio del detenuto e cioè

il ristretto ambito fisico, spaziale in cui l'interrogatorio deve tenersi, ossia, ancor più precisamente, l'istituto di detenzione; a riprova di questo, si consideri che la norma autorizza altresì il giudice, in casi di eccezionale necessità o urgenza, a disporre “la comparizione davanti a sé” e tale espressione, a sua volta, non può che riferirsi come luogo alternativo di svolgimento dell'interrogatorio a un altro preciso ambito spaziale e cioè alla sede fisica dell'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice. Al contrario, è palese che l'

art. 294,

comma 5, c.p.p.

utilizzi il termine luogo in un'accezione completamente diversa e cioè per individuare il giudice territorialmente competente all'assunzione dell'interrogatorio: luogo che a sua volta corrisponde, in base alla lettera stessa della norma, alla circoscrizione del Tribunale di cui fa parte il Giudice per le indagini preliminari delegabile per l'incombente. Si tratta, insomma, di norme che, utilizzando ciascuna un diverso significato del termine luogo, disciplinano fattispecie eterogenee e non interferenti fra loro; con la conseguenza che l'

art. 123 disp. att. c.p.p.

non sembra poter essere impiegato come argomento per restringere l'ambito di operatività dell'

art. 294,

comma 5, c.p.p.

alla sola custodia in carcere.

In verità, ad avviso di chi scrive, il vero nodo problematico e interpretativo sta nel silenzio della norma in ordine al criterio in base al quale l'interrogatorio debba ritenersi “da assumere” in altra circoscrizione. La Corte di Cassazione non si è mai pronunciata specificamente sul punto, stabilendo però che «la ratio della "rogatoria" fonda sull'esigenza di assicurare, nell'interesse della persona ristretta nella libertà personale, l'immediato contatto con il giudice in una lettura del sistema normativo del tutto coerente con le garanzie costituzionali di habeas corpus dell'imputato, alla luce delle quali deve essere osservato l'obbligo della tempestività dell'interrogatorio di garanzia della persona in vinculis in maniera che, in un ristretto arco temporale, il giudice della cautela possa stabilire, dopo aver assunto le discolpe dell'indagato, se la restrizione della libertà personale sia stata bene o male operata, la qualcosa - nell'ipotesi in cui il giudice che ha adottato il provvedimento restrittivo si trovi in un luogo, che il legislatore ha identificato nella circoscrizione del tribunale, diverso da quello nel quale la persona si trova ristretta - può essere soddisfatta, con l'immediatezza che il caso richiede, solo delegando l'atto all'autorità giudiziaria del luogo in cui l'indagato si trovi, qualora il giudice competente non ritenga di procedervi personalmente» (

Cass.

pen.,

S

ez.

III,

20 luglio 2017, n. 39520

, Rv. 271469). La ratio della delega (e dello stesso interrogatorio di garanzia) è condivisibilmente individuata dalla Corte, dunque, nell'esigenza di garantire in tempi il più possibile contenuti il contatto fra l'indagato sottoposto a misura cautelare e il giudice del luogo in cui egli si trova. Si deve anche ragionevolmente ritenere (pur nella consapevolezza dei limiti di tale operazione ermeneutica, a sua volta dovuta all'oggettiva laconicità della norma) che tale esigenza di “immediato contatto” giustifichi la delega dell'interrogatorio al giudice del luogo nel quale il soggetto abbia un radicamento stabile e non occasionale, con esclusione dei casi in cui, viceversa, vi sia una relazione puramente saltuaria, fugace o addirittura casuale fra l'indagato e il territorio in cui si trovi; in quest' ultimo caso, infatti, proprio l'evanescenza della situazione di fatto e la conseguente, grave difficoltà di elaborare un criterio di individuazione del giudice dovrebbero condurre a non ritenere applicabile la norma, potendosi altrimenti ipotizzare la violazione del principio sancito dall'

art. 25,

comma 1,

Cost.

(“nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”). Sviluppando il ragionamento svolto dalla Terza Sezione con la sentenza n. 39520/2017 e coordinandolo con quello che emerge dalla sentenza in commento si potrebbe dunque concludere che l'esigenza di un immediato contatto fra l'indagato sottoposto a misura cautelare non custodiale e il giudice del luogo in cui egli si trova, sia tutelato dall'ordinamento solo nella misura in cui in tale luogo l'indagato stesso si trovi non occasionalmente ma, al contrario, in forza di precisi e duraturi riferimenti abitativi, familiari o lavorativi; e tale criterio, a sua volta, definirebbe e renderebbe controllabile il potere attribuito al giudice delegante dall'

art. 294,

comma 5, c.p.p

.

Questa lettura, si ribadisce, non pretende di essere risolutiva, tenuto conto della “reticenza” della norma sul punto e dell'ovvia, imprevedibile multiformità dei casi concreti; la suggeriamo però come ipotesi di lavoro ispirata all'esigenza di trovare un giusto equilibrio fra efficienza del sistema e tutela delle garanzie difensive.

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