Lesione al decoro architettonico: alterazione della facciata o peggioramento estetico e deprezzamento dell'edificio?

Gianluigi Frugoni
02 Marzo 2020

La Corte di Appello di Roma accoglie l'orientamento della Suprema Corte: per concretarsi l'innovazione vietata che pregiudica il decoro architettonico di cui all'art. 1120, comma 2, c.c., è sufficiente che risultino alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità.
Massima

La chiusura del balcone, trasformato in veranda, e l'apertura di una finestra su un'altra facciata condominiale costituiscono un'innovazione non consentita ex art. 1120, comma 2, c.c., in quanto pregiudicano il decoro architettonico del fabbricato, sia cromaticamente (atteso il colore brillante della veranda, contrastante con le restanti superfici più opache) che, strutturalmente (alterando l'estetica dello stabile e l'alternanza di pieni e vuoti della facciata) a prescindere dal pregio artistico dell'edificio. L'azione volta al ripristino delle opere che pregiudicano il decoro architettonico va svolta nei confronti del proprietario attuale, anche se non è l'autore materiale delle opere stesse.

Il caso

Due partecipanti al condominio convenivano avanti il Tribunale di Roma altri due condomini lamentando l'esecuzione di opere in violazione del decoro architettonico vietate dall'art. 1120, comma 2, c.c., chiedendo che fossero condannati alla rimessione in pristino.

Erano stati accertati la chiusura di un balcone esistente nel piano ammezzato con la sua trasformazione in veranda, l'apertura di una nuova finestra in altra facciata condominiale ed infine la modificazione della destinazione in uso abitativo di box di proprietà esclusiva con occupazione illegittima dell'area comune.

I convenuti resistevano in giudizio eccependo pregiudizialmente il loro difetto di legittimazione passiva sostenendo che le opere erano state fatte dal precedente proprietario, loro dante causa.

Il Tribunale accoglieva la domanda ed i soccombenti appellavano la decisione.

La Corte d'Appello di Roma confermava la decisione di primo grado osservando anzitutto che nella fattispecie riguardante un'azione reale tendente al ripristino di beni immobili deve essere convenuto l'attuale proprietario delle opere asserite illegittime atteso che solo questo può essere destinatario dell'ordine di condanna.

Nel merito, il giudice di appello condivideva la soluzione data dal giudice di primo grado laddove aveva accertato che le opere, sia dal punto di vista cromatico (il colore bianco brillante della veranda contrasta con le restanti superfici più opache) sia di quello strutturale (alterazione dell'estetica e dell'alternanza dei pieni e dei vuoti), costituivano una innovazione non consentita ex art. 1120, comma 2, c.c., ciò a prescindere dal pregio artistico dell'edificio.

Secondo la Corte d'Appello di Roma, la complessa armonia delle facciate conferisce al fabbricato una propria specifica identità e ciò che rileva è che la sua alterazione risulti in modo visibile e significativo.

La questione

La prima questione verte intorno alla individuazione del soggetto legittimato passivo nei cui confronti deve essere indirizzata l'azione di riduzione in pristino delle opere che pregiudicano il decoro architettonico. La Corte territoriale capitolina afferma che il soggetto contro il quale va esperita l'azione passivo è l'attuale partecipante al condominio anche se non è colui che materialmente ha realizzato le opere, potendo essere solo il proprietario ad essere destinatario del provvedimento di condanna fondato su una azione reale.

Questione assai più complessa è quella affrontata nel merito, ove la Corte sul concetto di decoro architettonico abbraccia un orientamento obiettivo identificando il decoro nella armonia delle linee e strutture che conferiscono al fabbricato la sua specifica identità.

Le soluzioni giuridiche

I vincoli che scaturiscono dai diritti in condominio hanno natura reale ricollegandosi ad obbligazioni propter rem e le relative azioni vanno di conseguenza proposte nei confronti dell'attuale proprietario trovantesi in obiettiva situazione di lesione del diritto degli altri partecipanti, indipendentemente dal fatto che la situazione lesiva sia stata da altri in precedenza realizzata quando egli non era proprietario.

Trattasi di principio assodato e conseguentemente l'assunto di non aver realizzato le opere denunziate non vale a privare l'attuale proprietario delle opere stesse della legittimazione passiva riguardo alla azione di condanna alla riduzione in pristino svolta da altri condomini.

Riguardo all'individuazione dei presupposti che integrano la lesione al decoro architettonico, la Corte romana, con ragionamento chiaro e lineare, precisa che ogni fabbricato condominiale ha una propria identità ricavabile dalla struttura e dalla complessa armonia delle facciate.

Ciò che rileva ai fini della lesione è che si verifichi una alterazione della suddetta armonia e che questa sia rilevabile in modo visibile e significativo.

Tale valutazione è quindi obiettiva e prescinde dal pregio artistico del fabbricato così come prescinde dal fatto che l'opera sia peggiorativa o meno dell'estetica.

Osservazioni

Il giudice distrettuale romano offre una soluzione che agevola l'interprete nei casi in cui si controverte in tema di lesione al decoro architettonico, materia in cui gli orientamenti della giurisprudenza spesso si contraddicono e non convincono appieno.

Seguendo la decisione in commento, per accertare se l'opera viola l'art. 1120, comma 2, c.c., basta individuare le linee e le strutture che conferiscono all'edificio la sua specifica identità e fisionomia.

Ove risulti visibile ed apprezzabile la loro alterazione, si verifica la lesione al decoro architettonico.

La decisione si fonda, dunque, su un accertamento di natura obiettiva che si pone quindi in contrasto con altre che impongono quale presupposto di valutazione una indagine anche soggettiva fondata sulla gradevolezza dell'opera, ovvero sull'impatto migliorativo o peggiorativo dell'estetica del fabbricato, soluzione che, tuttavia, non conferisce certezza all'interprete basandosi su un presupposto assolutamente labile e difficilmente dimostrabile.

Qualora sia solo l'insieme obiettivo delle linee e l'alternanza di pieni e vuoti a conferire al fabbricato la sua specifica identità estetica, il riscontro è più sicuro, fermo ed agevole.

L'alterazione si verifica quando viene realizzata un'opera visibile e significativa che rompa l'armonia delle linee stesse e l'alternanza strutturale dei pieni e dei vuoti o, che rompa la simmetria delle linee connotanti la fisionomia dell'edificio o, infine, che modifichi in modo apprezzabile anche solo la connotazione cromatica delle parti interessate. Solo in tale caso l'opera si va a collocare tra quelle lesive vietate dall'art. 1120, comma 2, c.c.

Così Trib. Todi 22 aprile 2014, n. 771, secondo il quale, ai fini del decoro architettonico di un edificio condominiale, in base a quanto disposto dall'art. 1120, comma 2, c.c., occorre far riferimento all'estetica del fabbricato che è data dall'insieme delle linee e strutture ornamentali, senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio. Il decoro architettonico, laddove possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, è dunque un bene comune il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Di talché, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento del risultato estetico della modifica che deve, pertanto, ritenersi non consentita quand'anche nel suo complesso possa apparire a taluno gradevole.

Non in tutte le decisioni troviamo una nozione di decoro architettonico delineata in termini cosi immediati e rigorosi. Per Cass. civ., sez. II, 23 novembre 2018, n.30462, l'alterazione del decoro architettonico è ipotesi che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull'insieme dell'aspetto armonico dello stabile. Non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano pregiudicate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità.

Altre volte si richiede la verifica dello stato dell'edificio esistente prima della effettuazione dell'opera al fine di accertare se risulti già compromesso da alterazioni in ordine alle quali l'assemblea ed i condomini siano stati inerti.

Ad avviso di Cass. civ., sez. II, 8 maggio 2017, n.11177, il giudice, trovandosi a valutare se sussista lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a cagione di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l'edificio prima del contestato intervento, potendosi anche giungere a ritenere che l'ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato da precedenti lavori.

Ma non mancano decisioni che contraddicono, però, a tale orientamento.

Ad esempio, Cass. civ., sez. VI, 18 gennaio 2018, n.1235, ritiene che i fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, non ne rileva che il decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. La tutela del decoro architettonico attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile e apprezzabile dall'esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato.

In effetti, visto il carattere imprescrittibile dell'azione reale, non dovrebbe avere rilievo che sia avvenuta una precedente menomazione del decoro in merito alla quale i condomini siano rimasti inerti, potendo il provvedimento di condanna al ripristino riguardare anche opere non recenti che si rivelino aver contribuito in modo apprezzabile alla lesione.

Dal canto suo, Trib. Roma 24 giugno 2019, n.13287 precisa ulteriormente che l'alterazione del decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che modifichino l'originario aspetto soltanto di singoli elementi o punti dell'edificio tutte le volte che l'immutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto del fabbricato (v., altresì, Cass. n. 17398/2004; Cass. n. 8174/2012).

Fissati così i presupposti che integrano il decoro architettonico dell'edificio diviene anche più semplice la formulazione del quesito da porre al consulente tecnico nella controversia, non richiedendosi allo stesso alcun giudizio estetico (come invece a volte viene richiesto) ma semplicemente di descriversi e di individuarsi le linee essenziali che conferiscono all'edificio la sua specifica identità, accertandosi se queste risultino apprezzabilmente e visivamente alterate.

L'accertamento del pregiudizio non dovrebbe mai, infatti, condurre a svolgere valutazioni sulla dignità o nobiltà delle opere effettuate in relazione alla parte comune interessata o ad indagini sull'eventuale deprezzamento del fabbricato, i quanto il decoro di cui all'art. 1120, comma 2, c.c. prescinde da un significato di pregio estetico, essendo costituito dal mero dato obiettivo dell'insieme delle linee, dei motivi architettonici ed ornamentali che imprimono all'edificio stesso la sua particolare fisionomia.

Guida all'approfondimento

Branca, Comunione e condominio negli edifici, Roma-Bologna,1965, 380

Salis, Nozione di decoro architettonico e limiti al dovere di rispettarlo, in Riv. giur. edil., 1973, I, 703

Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, Milano, 2015, 178

Triola, Il nuovo condominio, Torino, 2013, 308

Visco, Le case in condominio, Milano, 1967, 196

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