Le condannate con figli affetti da disabilità grave possono beneficiare senza limiti della detenzione domiciliare speciale

Lorenzo Cattelan
28 Febbraio 2020

È costituzionalmente illegittima, per contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma, Cost., la disciplina della detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, legge 26 luglio 1974, n. 375
Massima

È costituzionalmente illegittima, per contrasto con gli

artt. 3,

primo e secondo comma, e

31, secondo comma, Cost.

, la disciplina della detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, legge 26 luglio 1974, n. 375

(Norme sull'

ordinamento penitenziario

e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà

)

, nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere il beneficio anche nei confronti delle condannate madri di figli affetti da disabilità grave ai sensi dell'

art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992

(Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), accertato in base alla medesima legge

.

Il caso

Il caso origina da un'istanza rivolta al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria da una detenuta, condannata per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione continuata e ricettazione (con attuale fine pena al 19.11.24), volta ad ottenere il beneficio della detenzione domiciliare speciale ai sensi dell'

art. 47-

quinquies

, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354

(di seguito “

ord. pen.

”), atteso lo stato di bisogno in cui versa la figlia affetta da grave disabilità, pur di età superiore ai dieci anni.

Così come accertato da una perizia appositamente disposta dal Tribunale di Sorveglianza, infatti, la figlia ventiseienne della condannata risulta soffrire di un importante handicap di ordine fisico causato da una paralisi celebrale infantile di ordine bilaterale che, pur conservando le funzioni intellettive della ragazza, l'ha resa totalmente impossibilitata a deambulare e bisognosa dell'aiuto permanente di un accompagnatore.

Sotto questo profilo va ulteriormente osservato che l'intero nucleo familiare della condannata si trova in regime di detenzione e che la donna beneficia – seppur non in maniera costante – di permessi

ex

art. 21-

ter

ord. pen.

per fare visita alla figlia malata, dal momento che l'istituto da ultimo citato non è ancorato ad alcun limite anagrafico del terzo interessato.

I giudici di Sorveglianza hanno respinto la richiesta di detenzione domiciliare speciale presentata

dall'interessata non in considerazione della natura dei reati per i quali era stata condannata, parzialmente riconducibili alla categoria dei reati ostativi di cui all'

art. 4-

bis

, comma 1,

ord. pen.

(dal momento che con sentenza n. 239 del 2014 la Corte Costituzione ha dichiarato contraria a Costituzione questa preclusione in relazione alla concessione della misura de qua), e neanche perché vi fosse un problema di previa espiazione di una quota/parte della pena inflitta (dato che la sentenza costituzionale n. 76 del 2017 ha caducato questa previsione, valevole per i condannati per i reati ostativi di cui sempre all'

art. 4-bis, comma 1,

ord. pen.

), bensì soltanto perché l'

art. 47-

quinquies

, comma 1,

ord. pen.

, impedisce l'accesso delle madri detenute alla misura alternativa della detenzione domiciliare speciale quando il figlio, alla data dell'istanza, ha superato il decimo anno di età.

In aggiunta, le valutazioni dei giudici di primo grado si sono spinte sino a sostenere che la disabilità di cui è portatrice la figlia della detenuta, pur fisicamente invalida al cento per cento, non avrebbe potuto essere equiparata, sotto il profilo cognitivo- comportamentale, vale a dire per “età mentale”, ad un soggetto inferiore ai dieci anni di età.

Contro tale decisione, i legali della detenuta hanno proposto ricorso per Cassazione eccependo, in via subordinata, l'illegittimità della richiamata decisione.

La Suprema Corte, dopo

aver respinto i motivi principali del ricorso, si sofferma nell'indagare la compatibilità con la Costituzione dell'art. 47-quinquies, comma 1,

ord. pen.

, alla luce sia della sentenza della Consulta n. 350 del 2003 (con cui si è dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'

art. 47-ter, comma 1, lettera a)

ord. pen.

nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi previsti dal comma 1, lettera b), del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante) sia di un precedente di legittimità (

Cass. pen., Sez. I, 19 dicembre 2017, n. 25164

).

Non giungendo ad una interpretazione conforme al dato costituzionale, la Prima sezione penale della Corte di Cassazione con ordinanza del 26 aprile 2019 ha sollevato

, in riferimento agli

artt. 3,

primo e secondo comma, e

31, secondo comma, della Costituzione

,

la questione di legittimità dell'

art. 47-

quinquies

, comma 1,

ord. pen.

«nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche nei confronti della condannata madre di prole affetta da handicap totalmente invalidante».

Le questioni

La prima questione che si pone all'attenzione dei giudici del Palazzo della Consulta attiene alla ragionevolezza della scelta legislativa di ancorare la concessione del beneficio in esame ad un rigido parametro anagrafico, ossia all'età infra decennale del figlio, dal momento che siffatta previsione non

consentirebbe

di apprezzare l'esistenza di situazioni omogenee a quella espressamente regolata, in cui si palesi la medesima necessità di assicurare al figlio l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno, del genitore, quali sono le situazioni in cui il figlio appaia portatore di un handicap totalmente invalidante

. Da questo punto di vista, sarebbe pertanto violato l'

art. 3 Cost.

nonché il dispositivo di una precedente pronuncia costituzionale in materia di detenzione domiciliare

ex

art. 47-

ter

, co

mma

1, lett.

a

) e

b

),

ord. pen.

(Corte Costituzionale, 24 novembre 2003, n. 350). Ancora, a sostegno dell'evoluzione del sistema deporrebbe la

legge 16 aprile 2015, n. 47

che, modificando il richiamato

art. 21-

t

er

ord. pen.

, ha garantito le visite di necessità del soggetto ristretto anche al figlio affetto da una forma grave di handicap debitamente accertata, a prescindere dal dato anagrafico del malato.

In seconda battuta, un'ulteriore questione si riferisce alla compatibilità della disposizione in esame con gli

art

t

.

3,

comma 2, e

31 Cost.

, in quanto l'indebita compressione delle finalità di protezione proprie della detenzione domiciliare speciale, realizzata tramite l'irragionevole restrizione dei suoi spazi applicativi, in grado di compromettere il valore di promozione della personalità umana, si porrebbe in potenziale contraddizione con il «programma costituzionale» di promozione della maternità

.

Le soluzioni giuridiche

La Corte comincia il suo percorso argomentativo ripercorrendo le tappe storiche che hanno giustificato l'introduzione della misura alternativa della detenzione domiciliare speciale. Infatti, se il tradizionale beneficio ordinario di cui all'

art. 47-

ter

, co

mma

1-

bis

, lett.

a

),

ord. pen.

, è applicabile nei casi in cui la madre debba scontare un pena detentiva, anche residua, non superiore ai quattro anni, con l'

art. 47-

quinquies

ord. pen.

(introdotto con

legge 8 marzo 2001, n. 40

) il legislatore ha voluto concedere il medesimo beneficio alle donne condannate a pene eccedenti la soglia suindicata, a condizione che i figli non abbiano superato i dieci anni di età – e sempreché:

non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti (o di fuga nei casi di cui al co. 1-bis), vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con la prole nonché sia intervenuta

l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo

.

La comune finalità delle due misure, come più volte ribadito da plurimi arresti giurisprudenziali, è ravvisabile nella tutela del soggetto debole e nelle conseguenti esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura genitoriale (

Corte Cost

.

,

sentenze

24 novembre 2003,

n. 350

;

Corte Cost.,

8 marzo 2017, n. 76

;

Corte Cost.,

22 ottobre 2014, n. 239

).

La Corte, a questo punto, osserva che le considerazioni implicanti la risoluzione dei descritti quesiti si pongono in continuità con la pronuncia n. 350 del 2003, in occasione della quale la Consulta ha statuito che

il riferimento all'età non può assumere un rilievo dirimente, in considerazione delle particolari esigenze di tutela psico-fisica il cui soddisfacimento si rivela strumentale nel processo rivolto a favorire lo sviluppo della personalità del soggetto. La salute psico-fisica di questo può essere infatti, e notevolmente, pregiudicata dall'assenza della madre, detenuta in carcere, e dalla mancanza di cure da parte di questa, non essendo indifferente per il disabile grave, a qualsiasi età, che le cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore

.

Ne consegue la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'

art. 47-

quinquies

, co

mma

1,

ord. pen.

nella parte in cui esclude l'applicazione del beneficio della detenzione domiciliare speciale alle detenute madri di figli portatori di handicap grave, accertato ai sensi

dell'

art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992

, di età pur superiore agli anni dieci.

La difformità rispetto alla grundnorm si rinviene, in primis, con riguardo all'

art. 3 Cost.

In particolare, il principio di uguaglianza formale risulta violato laddove la censurata disposizione stabilisce un trattamento diverso rispetto a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio minore di anni dieci dotato di un (quantomeno) minimo grado di autonomia fisica e quella della madre di un figlio disabile che necessita di essere assistito costantemente anche nelle più elementari esigenze di vita, in maniera dunque ancor più impegnativa rispetto al bambino che non abbia ancora compiuto i dieci anni.

Con riguardo all'impegno programmatico espresso dall'ultimo capoverso dell'

art. 3 Cost.

, inoltre, la Corte Costituzionale ritiene che concedere il beneficio in esame anche alle madri di figli disabili di qualunque età costituisca un preciso dovere della Repubblica, in quanto espressione della rimozione di un ostacolo di ordine sociale che limita di fatto il pieno sviluppo della personalità del figlio, soggetto incolpevole e bisognoso di scrupolose attenzioni anche nelle vicende penali che interessano i genitori. A tal proposito, la sentenza riporta un passaggio ripreso da

Cass. pen., Sez. I, 18 settembre 2015, n. 41190

, secondo cui

l'assenza della madre, per il figlio gravemente invalido, costituisce «un pregiudizio ancora più grave» di quanto non lo sia per il figlio sano di età inferiore ai dieci anni.

In secondo luogo, il fondamentale parametro sui cui si fonda la dichiarazione di incostituzionalità in esame è rappresentato dall'

art. 31 Cost.

Infatti, i giudici della Consulta affermano che

la tutela della maternità, cioè del legame tra madre e figlio, non può considerarsi esaurito dopo le prime fasi di vita del bambino, tanto più se il soggetto risulta affetto da grave disabilità, atteso che in questi casi egli si trova sempre in condizioni di particolare vulnerabilità fisica e psichica, indipendentemente dall'età.

D'altro canto, è la stessa

legge n. 104 del 1992

(legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) a esplicitare che nei casi di disabilità grave l'autonomia personale, destinata ad acuirsi con l'avanzare dell'età, è così ridotta da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione a qualunque età (art. 3, comma 3).

Da ultimo, volgendo un attento

sguardo al panorama internazionale, la Corte Costituzionale richiama la

Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, firmata a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva in Italia con la

legge 3 marzo 2009, n. 18

, in cui

le relazioni umane, specie di tipo familiare, vengono descritte quali fattori determinanti per il pieno sviluppo e la tutela effettiva delle persone più fragili. In questo senso, vi è copiosa giurisprudenza costituzionale che statuisce come una tutela piena dei soggetti deboli richieda anche la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana (sentenza n. 203 del 2013), nonché che il diritto del disabile di ricevere assistenza nell'àmbito della sua comunità di vita rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana (sentenza n. 232 del 2018).

In conclusione, la Presidente relatrice Cartabia ricorda che lo stesso legislatore è recentemente intervenuto, in dichiarata attuazione dei citati principi costituzionali e internazionali, con la

legge 22 giugno 2016, n. 112

(Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare), cosiddetta legge del “Dopo di noi”, ritenendo che proprio in relazione alle persone con grave disabilità il sostegno offerto dai genitori è essenziale.

Con tali premesse, quest'ultima creazione normativa si preoccupa di predisporre, alla morte dei genitori o al sopravvenire dell'incapacità di assistere il figlio, «misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave», volte ad assicurarne «il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia», ulteriori rispetto ai livelli essenziali di assistenza e agli altri interventi di cura e di sostegno comunque già previsti dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilità (artt. 1 e 2).

Osservazioni

La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, è tornata ad occuparsi della materia penitenziaria ribadendo il principio fondamentale, pur variamente declinato, afferente alla flessibilità della pena.

La particolarità della decisione de qua è rinvenibile nel fatto che l'enunciato criterio di elasticità, che ha comportato la potenziale estensione del beneficio della detenzione domiciliare speciale alle condannate madri di figli affetti da grave disabilità, non si fonda (solamente) sul dettato di cui all'

art. 27, comma terzo, Cost.

bensì sulla norma contenuta nell'

art. 31, comma secondo, Cost.

La ratio della dichiarazione di incostituzionalità che ha colpito la preclusione della

concessione del beneficio

ex

art. 47-

quinquies

, comma 1,

ord. pen.

alle madri di figli aventi età superiore ai dieci anni (indipendentemente, dunque, dallo stato di salute della prole), infatti, è rinvenibile non tanto nell'esigenza di assicurare la rieducazione della condannata, quanto nella primaria necessità di tutelare

la maternità

. Da questo punto di vista emerge chiaramente la natura assistenziale dell'istituto della detenzione domiciliare in esame. L'ordinamento, assegnando preminente valore al legame tra madre e figlio, non può tollerare l'arresto dell'operatività della detenzione domiciliare ai soli casi di persona infradecenne, ancor più se si ponga in rilievo – come fa la Corte – il dato esperienziale per cui le fragilità derivanti dalla disabilità grave tendono inevitabilmente ad aggravarsi con il procedere dell'età. La portata del valore costituzionale presidiato dall'art. 31 della Carta fondamentale connota, dunque, in particolar modo la sentenza in rassegna, e la iscrive in quella ormai ricca scìa giurisprudenziale che ha portato in primo piano le esigenze di protezione dell'infanzia e dell'armonico sviluppo del bambino e dell'adolescente.

L'esito della questione in esame non può dirsi di certo inaspettata, attesi sia i precedenti costituzionali intervenuti in materia di detenzione domiciliare ordinaria sia la circostanza che la Presidenza del Consiglio dei ministri non abbia proposto alcun atto di intervento nel giudizio a quo.

La sentenza si iscrive, infatti, in un solco giurisprudenziale già tracciato dalla Consulta (si vedano, in questo senso, le sentenze nn. 239/2014, 76/2017, 187/19) volto, per un verso, ad assicurare la tendenziale uniformità di disciplina delle due forme di detenzione domiciliare (quella ordinaria nelle ipotesi delle lett. a) e b) dell'

art. 47-

ter

, ord. penit

. e quella speciale) ai fini della migliore tutela delle esigenze di cura della prole, in particolare se affetta da disabilità grave e, per l'altro verso, a ribadire l'esigenza che tali pur ampie possibilità di accesso alla misura extramuraria siano precedute da una approfondita disamina da parte del giudice

che escluda il pericolo di commissione di nuovi reati da parte della condannata. Ancora una volta, in sostanza, la Corte richiama la necessità di valutare il caso singolo (in questi termini si pronuncia anche

Corte Costituzionale,

22 ottobre 2014, n. 239

), allo scopo di operare un equilibrato bilanciamento fra valori costituzionalmente rilevanti, in tutti i casi in cui questi entrino in oggettivo conflitto.

In altri termini, da un lato emerge l'esigenza preventiva e di difesa sociale costituita dalla valutazione del rischio di recidiva dell'autrice del reato – che, laddove giudicato ancora persistente, osta alla concessione della misura alternativa – mentre dall'altro lato si pongono le più volte richiamate ragioni di tutela del figlio disabile grave. Dal punto di vista pratico, nell'ipotesi in cui prevalgano queste ultime, i giudici di sorveglianza ben potranno accordare valenza indiretta alle esigenze contentive attraverso l'associazione alla detenzione domiciliare di prescrizioni particolarmente restrittive, ai sensi dell'

art. 284, comma 2, c.p.p

.

Peraltro,

la concessione del beneficio dovrà sempre essere subordinato alla verifica del dato oggettivo rappresentato dalla gravità della disabilità del figlio che, ai sensi della

legge-quadro n. 104/92

,

ricorre quando «la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un

intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione

». In questo senso, l'istruttoria dovrà contenere uno specifico riferimento alle risultanze degli accertamenti medico-legali.

Chiudendo sul punto, non si può fare a meno di osservare che simili considerazioni siano debitrici della riproposizione in ambito penitenziario dei consolidati principi privatistici, sviluppati in ambito di diritto di famiglia, relativi alla valorizzazione del concetto di best interest of the child. Il preminente interesse del minore, cui è equiparato il disabile grave, infatti, implica che

tutte le decisioni di autorità pubbliche o istituzioni private che coinvolgono anche solo indirettamente la sfera giuridica di minorenni, debbano prendere atto e conformarsi a tale presa di coscienza sociale e giuridica. Si tratta di una soluzione condivisa da plurime fonti normative, tra cui si ricorda, in ambito sovranazionale, l'art. 3, co. 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con

legge 27 maggio 1991, n.176, nonché l'art. 24

,

co. 2, della

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), che compongono lo “statuto dei diritti” del minore.

Quid iuris

del padre detenuto in rapporto alle esigenze di cura ed assistenza del figlio affetto da handicap grave?

La soluzione del quesito non suscita particolari dubbi interpretativi. In ogni caso, pare opportuno fornire una risposta accompagnata da un ragionamento di ampio respiro, che raffronti la situazione del caso di specie con quella della detenzione domiciliare ordinaria.

Come è noto, in rapporto a quest'ultimo, il testo originario dell'

art. 47-

ter

, comma 1, lett.

a)

, ord. penit

., non prevedeva la possibilità di concedere la misura in favore dei genitori di figlio portatore di disabilità grave. Con la sentenza n. 350 del 2003, la Consulta era intervenuta dichiarando l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'

art. 3, primo e secondo comma, Cost.

, dell'art. 47-ter, comma 1, lettera a),

ord. penit

., nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare ordinaria anche nei confronti della madre condannata «e, nei casi previsti dal comma 1, lettera b), del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante», con esplicito riferimento, dunque, a entrambe le posizioni.

A differenza della pronuncia del 2003 con la quale la Consulta ha preso esplicitamente posizione con riferimento sia alla situazione della madre che a quella del padre, la sentenza in commento pare prima facie non occuparsi della posizione paterna.

A ben vedere, tuttavia, la spiegazione a tale atteggiamento si rinviene dell'analisi della complessa struttura dell'

art. 47-

quinquies

ord. pen.

. Invero, il comma settimo della indagata disposizione contiene un rinvio automatico che estende al padre

la disciplina delle condizioni di accesso alla misura domiciliare speciale prevista per la madre nel comma 1 della medesima norma. L'automatismo che governa tale estensione non pare lasciare spazio ad alcuna riserva a ritenere estesa anche al padre la possibilità oggi dischiusa dalla sentenza della Corte costituzionale. Così come già affermato da autorevole dottrina, tale risultato pare coerente con una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'

art. 47-

quinquies

ord. pen.

, nonché conforme alla preminente valorizzazione che a livello convenzionale viene ormai annessa alle relazioni umane e familiari, nell'ambito delle tutele da apprestare per le persone disabili (FIORENTIN). Le stesse motivazioni della Corte Costituzionale, inoltre, hanno efficacemente richiamato la consonante volutas legis espressa da ultimo con

legge 16 aprile 2015, n. 47

(che ha esteso ai figli con handicap grave la possibilità di visita domiciliare accordata ai genitori di figli minori infermi ai sensi dell'

art. 21-

ter

ord. pen.

) e

legge 22 giugno 2016, n. 112

(che ha rafforzato le prestazioni sociali in favore dei soggetti che non possano essere assistiti dai genitori), del che pare indiscusso l'approccio teso a fornire la più ampia tutela possibile alle persone affette da disabilità grave.

In conclusione non resta che evidenziare, ancora una volta, la circostanza che l'estensione oggetto della pronuncia in commento era già stata suggerita dalla valida proposta di modifica normativa confluita nella bozza del decreto legislativo attuativo della c.d. Riforma Orlando e, purtroppo, arrestatasi per effetto del mutato assetto politico istituzionale.

È sempre più chiaro, in altri termini, che la Corte Costituzionale stia sopperendo, soprattutto in materia penitenziaria, ad un legislatore troppo timido e, al contempo, eccessivamente affascinato dalle dinamiche proprie delle cabine elettorali.

Guida all'approfondimento

FIORENTIN,

Detenzione domiciliare speciale senza limiti per condannate con figli affetti da disabilità grave

,

in Guida al diritto, in corso di pubblicazione.

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